È la rivincita di Gutenberg


Da: L’Espresso, 16 marzo 2000, p. 87.


Paolo Fabbri insegna Semiotica al Dams di Bologna, ed è un illustre studioso dei linguaggi giovanili portati alla ribalta dagli short message.
Lei ne fa uso?
«No: utilizzo il cellulare, ma solo per parlare. Però ne ho parlato a lungo con mia figlia, degli Sms, e ho raccolto preziose informazioni».
Cosa le ha detto?
«Che i messaggini vanno suddivisi in tre categorie: stenogramma, memo e memoranda».
Ovvero?
«lo stenogramma è la scrittura abbreviata, sul genere di quella sviluppata su Internet, ma ancora più essenziale. Tutti gli utenti ferrati, per esempio, sanno che “y” sta per “yes” e che “x te” vuol dire “per te”».
Memo e memoranda, invece, cosa sono?
«II primo è un messaggio che dà un’asciutta informazione. Tipico memo è: “Ci vediamo alle 7”. Il memoranda invece è una comunicazione personale, e in questo senso fortemente enfatico. È la poesia del messaggino, il mondo del punto esclamativo. Perché lo spazio è ridotto, le frasi necessariamente brevi, e si vira su uno stile poetico che ricorda gli haiku giapponesi».
Perché questo modo di comunicare piace tanto ai giovani?
«Attenzione. È un errore continuare a studiare da una parte i telefonini e dall’altra gli uomini, e pensare che possano stare separati. Dobbiamo studiare l’uomo con attaccato il suo telefonino. Per strada oggi vediamo spesso i telefonini che portano a passeggio i ragazzi. Giovani che perciò non possono più essere tenuti separati dalla tecnologia. Bisogna rapportarsi con il nuovo ibrido: una persona con una cosa appiccicata all’orecchio».
Quindi?
«Quindi va detto che il giovane uomo tecnologico ha ritrovato il gusto di scrivere. È una piccola vittoria di Gutenberg. Seppure con frasi smozzicate, prive di verbi e grammaticalmente discutibili, i ragazzi scrivono. Pensare che pochi anni fa eravamo tutti convinti che la tv avrebbe sepolto per sempre la comunicazione scritta».
È un fenomeno che durerà, questo dei messaggini?
«Sì, perché è il telefono che durerà, in connessione con Internet. E ci si continuerà a scrivere. Per sentirsi meno soli».

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