La maieutica del semiologo


Da: Tiziana Migliore, Il Verri, Milano, Edizioni del Verri, n. 65, Travagli, ottobre 2017.


La raccolta di interviste L’efficacia semiotica. Risposte e repliche (a cura di Gianfranco Marrone, Mimesis, Milano 2017), mentre ricostruisce un patrimonio intellettuale orale disperso, evidenzia, nei dialoghi, il gesto strategico di Fabbri di sfaccettare e differire il pensiero, di deviare e riorientare continuamente la rotta, provocando il volgersi dell’altro dal sé. Mette il senso in condizione di significare e incita, maieuticamente, a fare altrettanto.
Agisce così La svolta semiotica (Roma-Bari, Laterza 1998), che reimmette nel vivo di ogni giorno il principio del metodo strutturale: conoscere l’identità attraverso l’articolazione della differenza.
Se i linguaggi in cui Fabbri fa parlare l'”essere” sono molti – forme espressive varie (verbali, visive, gestuali, musicali…) in traduzione reciproca e trasformazione – la parola, però, è una sola: rigore intellettuale. Lontano dai saperi imposti per autorità, del tutto ininteressanti, Fabbri è un maestro accanto al quale si pratica l’intelligenza, come capacità di sentire e riorganizzare i momenti della percezione, di vederci giusto, “altrimenti” e “oltremente”. Trovarsi alla pari con lui non è facile: richiede medesimi ritmi di lavoro, concentrazione costante nell’analisi dell’impensato, riconoscimento della relazione allievo- maestro, sull’altalena della fiducia. Un patto inaccettabile per chi separa lavoro e svago, ma che riempie di euforia chi ha capito che la semiotica è un progetto di vita, perché possibilità di comprensione del senso.
Le conversazioni del libro disegnano l’economia di una disciplina che Fabbri intende come “scienza della significazione” e di cui ha a cuore i destini. Lui che ha avuto un solo maestro, il geniale Algirdas Julien Greimas, festeggiato quest’anno nel centenario della nascita, riunisce, come nessuno, le due tradizioni della disciplina: la semiotica, semantica dei linguaggi verbali e non verbali, con la semiologia secondo Greimas, indagine degli accoppiamenti fra piani dell’espressione e piani del contenuto mediati dall’esperienza fenomenologica. Nel modus operandi professa strenuamente una semiotica marcata, rispetto ad altre dove tutto fa brodo. L’efficacia di questo approccio sta nell’andirivieni fra quattro livelli – descrittivo, metodologico, teorico ed epistemologico – e nella ricerca degli anelli mancanti che li legano. È cioè una teoria che, per funzionare, per spiegare e comprendere il mondo, deve assumere responsabilità filosofica rispetto a pochi presupposti epistemologici, partire da casi-studio scelti secondo criteri di empiria e di pertinenza, ed essere coerente con il metodo di descrizione, che non è un canone, ma un organon di concetti in fieri – istruzioni alla lettura dettate direttamente dai casi-studio: “programma narrativo” (da miti e da fiabe!), “modalità”, “enunciazione”, “punto di vista”, “aspettualità”, “salienza” e “pregnanza”, “dimensione passionale”, “estesia”… Un metalinguaggio molto meno tecnico del gergo calcistico, come piace dire a Fabbri per respingere le accuse mosse alla semiotica, e interdisciplinare: fornisce alle altre discipline delle “massime” (più che regole) in senso kantiano, indicazioni di necessità co-occorrenti. Qualunque insieme significante, a prescindere dalla sostanza espressiva, dal fascio di pertinenza e dagli ambiti del sapere, è un textum, un tessuto di relazioni in cui è inscritto il testis, un testimone con le sue proposte di testimonianza. Le riflessioni sulla testualità permeano l’intero libro.
Negli anni Sessanta l’interesse per le connessioni fra eventi singolari e codice, fra lo spessore della vita e la formalità del discorso giuridico orienta Fabbri agli studi in Legge. Ogni accadimento è riportato a codici e norme solo attraverso ricostruzioni, le cosiddette “fattispecie“, che sono sempre l’esito di un conflitto – cioè di un fecondo divergere di posizioni – su come interpretare una norma o un evento. Il valore positivo del conflitto, “la polemica, la diatriba, preferibili ai termini pseudonarrativi di una supposta obiettività” (Gadda, Sul neorealismo, 1950), è il tratto distintivo, irrituale e denso, del pensiero di Fabbri. Che è poi il suo modo schietto di verificare il fondamento e il funzionamento della società tramite “contrasti” strutturali, a livello micro e macro. A Parigi l’incontro con Barthes e Greimas lo avvicina alla semiotica, negli anni in cui è una critica dei discorsi ideologici, consistente e rivelatrice di diversi tipi di pratiche. Si trattava di “svelare”, di “sbiancare” i messaggi che i poteri dominanti in politica e nei media spacciavano per ovvii e innocenti. Dietro ci sono strategie di enunciazione, simulacri offerti all’altro e decisioni interdipendenti. Così il camouflage, nelle società animali e umane, non è un’eccezione, ma la prassi comune di utilizzare la normalità a scopo di segreto. La guerra, semplicemente, la mutua dal quotidiano e la potenzia. In uno dei passi più intensi de L’efficacia semiotica Fabbri racconta di esser rimasto colpito da alcune foto in cui si vede suo padre, che non ha conosciuto perché ufficiale di aviazione della seconda guerra mondiale, accanto ad aerei camuffati. Sprona allora a sviluppare un'”antiepistemologia”, come indagine dei modi in cui si nasconde la conoscenza (conversazione con Marcello Serra, 2012).
Questa prospettiva implica un segno-processo articolato internamente, in significante e significato, espressione e contenuto, superficie e profondità (Saussure, Hjelmslev, Greimas). Di qui il confronto di Fabbri con la più nota semiotica di Peirce-Eco, spesso ridotta, nelle indagini che vi si richiamano, al problema del segno che rinvia a un altro segno o a un presunto referente “reale”, come anche risolta nel meccanismo inferenziale: se il segno è camuffato, allora mente. Il che, secondo Fabbri, manda in cortocircuito la disciplina, le toglie il ruolo unico e insostituibile di campo della significazione, la priva di utilità culturale e sociale.
Dalle interviste emergono precise discipline di riferimento – l’antropologia, la linguistica (conversazione con Francesco Marsciani, 2014), le scienze politiche (con Leonardo Romei, 2006), la teoria della comunicazione (con Massimo Franceschetti, 2000), la storia dell’arte (con Angela Mengoni, 2013), la critica letteraria (con Fausto Curi, 2013) – autori cardine – Greimas, Saussure (con Sergio Benvenuto, 2001), Hjelmslev, Lévi-Strauss, Jakobson, Barthes (con Tiziana Migliore, 2015), Foucault, Lotman, Deleuze, Benveniste, Goodman, Thom – e temi ricorrenti – il pensiero strutturale (con Anders Toftgaard, 1998), la poesia, la traduzione (con Nicola Dusi, 2000), i linguaggi (con Lello Voce, 2005), l’arte (Rai Educational, 2002), i media, vecchi e nuovi (con gli studenti del DAMS di Bologna, 1998; con Vincenza Del Marco, 2009; con Riccardo Finocchi e Antonio Perri, 2012), la moda, lo spionaggio (con Pierluigi Cervelli, 2015), il camouflage (con Tiziana Migliore, 2008), la profezia (con Maria Cristina Addis, 2014). Nella riflessione sulle arti, in particolare, Fabbri sa “vedere doppio”: osserva la figurazione per come rende esemplarmente attenzionali tratti dell’esperienza; e riconosce all’opera funzione di scoperta, analoga a quella scientifica o filosofica.
Più volte ribaditi sono alcuni minima epistemologici del modello a quattro livelli. Il primo I) è la tesi che, in semiotica, il fine ultimo della conoscenza è il senso, non la verità. Bisogna anzi “volare in soccorso della verità” (Goodman), “è grama la verità” (Gadda): se è trascendente, lascia fuori gli usi della lingua verbale e di altri sistemi espressivi; se è immanente, ha bisogno di aiuto per affermarsi, di un punto di vista che la renda significativa per qualcuno. Il secondo minimum II) è l’impegno nell’indicare, comparare e valutare le procedure di costruzione della significazione. Il semiologo è un attivo costruttivista, non è il relativista pigro per cui anything goes. Lavora parecchio, sa che occorre demitologizzare e decostruire perfino gli elementi della “natura”, perché appaiano entità oggettive (conversazione con Gianfranco Marrone, 2012). “L’ontologia è qualcosa che ha dimenticato il processo di costruzione che l’ha posta in essere. E si bea dei fatti e delle cose in sé” (Rastier).
Sorprende questa semiotica fabbriana così fedele ai nostri vissuti. Permette di rispondere alle contingenze immediate, ma anche di produrre anticipazioni. Nell’apprenderla, diventa la lingua del pensiero che non si lascia più.

Fabbri, Paolo
2017 L’efficacia semiotica. Risposte e repliche, a cura di Gianfranco Marrone, Mimesis, Milano.

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