Metto in fila parolacce e titani


Da: La Voce di Romagna, martedì 16 settembre 2014.


BELLE COSE Il superprof Paolo Fabbri ha inaugurato una collana editoriale di pregio assoluto. Si parte con un poker di grandissimi: Baudrillard, Lyotard, Lotman e Uspensky

Peripezie verbali. Non sai mai dove lo trovi, il professor Paolo Fabbri. Una volta è a Covignano, nei recessi di Rimini, l’altra in Bolivia o a Katmandu. «Mare straordinario, posto magnifico». Questa volta è a Camogli, Festival della Comunicazione. In mezzo a un mucchio di star in pensatoio (ad aprire il festival, venerdì scorso, Umberto Eco), da Furio Colombo a Salvatore Settis, da Massimo Recalcati a Corrado Augias, il riminese Fabbri ha parlato, domenica, di parolacce. «Alla Luiss ho fatto un corso sull’ingiuria politica, che come esito ha dato la pubblicazione di Est iniuria in verbis per le Edizioni del Verri. Adesso voglio studiare il genere del pamphlet politico, da Swift a Zola e Céline esiste una notevole tradizione. Che in ltalia, paese di epigrammisti, sembra mancare, tranne rari esempi: quello di Leonardo Sciascia e di Oriana Fallaci, ad esempio». Succo del discorso, «l’idea che il linguaggio è un insieme di forze, è un “segno all’offensiva”: pensa alle formidabili caricature di Giannelli». In soldoni, «tutti parlano di comunicazione come di una trasmissione consensuale, che serve comunque per scambiarsi informazioni». Invece… «invece, come dice Bataille, “il segno è energumeno”. Il linguaggio più che per persuadere è fatto per offendere, è un insieme di imperativi e di provocazioni, è un coacervo di forze». Da qui, le parolacce. Che Fabbri ha messo in fila. «Ho creato una lista di parolacce terribili. Un esempio: tutti gli insulti che Carlo Emilio Gadda rivolge a Mussolini in Eros e Priapo».
Dall’offesa all’offensiva editoriale. L’occasione fa ilgiornalista avido: in realtà contatto Fabbri per una impresa editoriale avveniristica, guidata da lui e dal Centro Internazionale di Scienze Semiotiche dell’Università di Urbino (qui: semiotica.uniurb.it), una autorità nel campo specifico. Il Centro è stato fondato da Fabbri medesimo insieme a Carlo Bo e al professor Pino Paioni, scomparso lo scorso novembre. «Ha custodito il Centro con straordinaria competenza», ricorda Paolo Fabbri. «Tuttavia con la sua scomparsa era vivido il rischio di chiusura». Per fortuna non è andata così. «Il rettore dell’Università, Stefano Pivato, mi ha chiesto di prendere la direzione del Centro. Lavoreremo su due fronti: da una parte realizzando cose nuove, dall’altra creando una collana di ricerca, pubblicando dei veri e propri “classici”». Eccoci al punto. «Di fatto, Paioni era seduto sopra un tesoro di pubblicazioni, che riguardano i più grandi autori della cultura contemporanea». Così nasce “In Hoc Signo”, collana editoriale universitaria, pubblicata dal riminese Guaraldi.
Arrembaggio di genialità. Leggerli d’un fiato, è sconcertante. La prima infornata di autori è un quartetto mondiale: Jurij M. Lotman, Jean-François Lyotard (il pioniere che per primo ha elaborato il concetto di postmodernità), Boris A. Uspensky e Jean Baudrillard (autore di libri epocali come Lo scambio simbolico e la morte). Interpreti del nostro mondo, colonne contese dagli editori di tutto il pianeta. Di cui si editano testi ignoti, pressoché inediti. Brevi (non oltre le 70 pagine), economici (6 euro il cartaceo, 3,99 il formato digitale), malleabili. E, in alcuni casi, in lingua originale. «Un modo di uscire dal provincialismo: d’altra parte, il nostro è un Centro internazionale». Il prossimo mese, altri tre titani: Michel de Certeau, Françoise Bastide e Algirdas Julien Greimas (qui: www.guaraldi.it).
Felliniana (inevitabile). «So che ci sarà Kusturica a San Marino». E anche a Riccione. «Benissimo. Quando ero direttore della Fondazione Fellini lo volevo al Premio: nella sua autobiografia, Dove sono in questa storia, dedica pagine importanti a Federico». Sarebbe stato un cortocircuito sublime: Kusturica ha già ricevuto a Rimini un Premio Fellini. Era il 1995, a consegnarlo era la kermesse Riminicinema. All’epoca il regista slavo confessò (via la Repubblica), «se oggi esistesse uno Shakespeare sarebbe di certo Fellini». Ssss, silenzio, non ditelo ai riminesi. (D.B.)

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