Considerazioni (e aggiornamenti) sulla prossemica


Da: Isabella Pezzini e Riccardo Finocchi (a cura di), Dallo spazio alla città. Letture e fondamenti di semiotica urbana, Milano, Mimesis, 2020, pp. 185-202.


I. Considerazioni sulla prossemica1

Ogni atto di denominazione di una nuova disciplina è di natura semiotica. Motiva una nuova disposizione del nostro sguardo verso i segni attraverso i quali i fenomeni studiati sono espressi, e con lo stesso gesto riunisce uno spazio strategico e gli strumenti per percorrerlo.
È il caso dell’apparizione della prossemica, branca della semiotica che studia la strutturazione significante dello spazio umano e non umano. E tuttavia la sua creatività è solo apparente. Sappiamo che una definizione verbale ha poco “contenuto” scientifico; un concetto scientifico ha il suo significato integrale solo collegato ad altri concetti della stessa natura. E se un concetto non può essere inventato indipendentemente dal suo contesto, ciò è dovuto al fatto, apparentemente paradossale, che era già lì, abitava virtualmente nella differenza che ha permesso la sua articolazione. Questo è anche il caso della prossemica. Il suo certificato di nascita è stato modellato nello spazio predefinito di una semiotica generale che mira a comprendere il mondo delle qualità sensibili in una gerarchia di metalinguaggi in grado di descriverne la struttura significante.

1. L’atto prossemico è un atto semiotico nella direzione translinguistica che questa disciplina persegue. Ma se il senso generale è inequivocabile, non possiamo dire lo stesso dei percorsi specifici. Il programma prossemico, appena abbozzato, richiede, per la comprensione della sua coerenza interna, che si ricordi il quadro epistemologico che lo ha reso possibile.
Il suo discorso si basa sull’assioma primario: cultura = comunicazione, che fonda le scienze comportamentali negli Stati Uniti2. La cultura (cioè il modo in cui l’uomo dà senso al mondo che lo circonda e dà un senso a se stesso in relazione agli altri) consisterebbe nella somma dei repertori di comportamenti codificati, eseguiti e interpretati dai membri dell’organizzazione sociale in situazioni comunicative. Questi modelli di comportamento, molto strutturati, sono organizzati in sequenze, articolate in modo diverso a seconda delle diverse culture.
Se i membri di una cultura vogliono esprimersi in modo prevedibile e comunicativo, dovrebbero imparare a comportarsi (quindi a parlare, a gesticolare, a muoversi nello spazio, ecc.) sulla base di questi modelli convenzionali3. Questi modelli sarebbero organizzati secondo il paradigm case del linguaggio: le categorie analitiche della linguistica sono estrapolate verso una dimensione più vasta della comunicazione, ampliata fino ad includere tutta l’influenza esercitata da un organismo su un altro. I comportamenti sono divisi in unità minime (behavioremi) all’interno di un livello; si integrano come unità più grandi al livello superiore e così via. Queste unità sono disposte in serie di sequenze strutturate che si traducono in un comportamento “programmato”: per codice si intende un’astrazione generalizzante dedotta dall’interazione dei comportamenti. Differenti culture manifestano quindi particolari configurazioni programmatiche idiosincratiche, vale a dire sequenze caratteristiche di comportamenti, situate su diversi livelli di strutturazione.
Proveniente da una psicologia transazionale, questa semiotica della comunicazione prevede un comportamento significativo, non nel suo agire, nell’atto deliberato della comunicazione, ma nell’essere dell’uomo nella comunicazione, nell’esercizio di una conoscenza tanto rigorosamente articolata quanto nascosta.
Per realizzare il suo progetto, una semiotica così concepita deve andare oltre la superficie mutevole del comportamento percepito, il gioco illusorio dei segni al livello della manifestazione sensoriale e andare oltre le “sorprese del mondo” nella direzione della struttura immanente. In questo senso, i comportamentisti parlano di grammatica culturale o, più in generale, di un parallelismo tra i più alti livelli della struttura sociale e i più alti livelli della struttura linguistica4.
La struttura sociale sarebbe appresa dai membri di una cultura allo stesso modo della grammatica. La caratteristica distintiva di queste regole del comportamento sociale che le renderebbe soggette al trattamento linguistico, è il carattere inconscio e necessario del loro apprendimento e manifestazione. In modo non uniformemente distribuito ai diversi livelli della coscienza, regole e programmi disegnano una tipologia complessa di modelli disposti secondo una stratigrafia cumulativa nell’inconscio sociale5.
Un secondo movimento di questa semiologia dovrebbe formulare la classificazione sistematica dei contesti di comunicazione: quindi dovrebbe essere elaborata una tipologia della dimensione “pragmatica”, per integrare programmi e schemi (patterns) nella struttura sociale6.

2.1. L’ipotesi alla base dell’attuale ricerca prossemica rientra in questa matrice teorica. Nelle parole dei ricercatori (in particolare del linguista Trager), era necessario dar conto del fenomeno comunicativo come un quadro complessivo. All’interno di una simbolica generalizzata si ordinano (a) fatti pre-linguistici (eventi fisici e biologici, set di voce, le qualità vocali, insieme corpo, qualità del corpo, ecc), (b) la comunicazione che studia lingua e fenomeni che sono strettamente associati ad esso; fenomeni paralinguistici (vocalizzazioni e qualità della voce) e cinetici (movimenti e gesti), studiati con le stesse tecniche dell’analisi fonemica7. A margine di studi semiotici su cinestesia (Birdwhistell) e paralinguistica (Trager, Smith, Pittenger, McQuown, Bateson), Hall, antropologo, ha individuato un ambito che è attraversato da una “parola silenziosa”. A partire dalla lettura linguistica dell’antropologia delle maniere (manners)8 e degli studi (con Trager) sul lessico nordamericano che definisce il campo semantico del tempo e dello spazio, Hall ha effettuato un taglio operativo che lo ha portato alla definizione della prossemica: “lo studio di come l’uomo struttura inconsciamente i microspazi: la distanza tra gli uomini nel condurre le transazioni quotidiane, l’organizzazione dello spazio nelle sue abitazioni e negli edifici, e infine la dislocazione delle sue città”9. L’intera problematica della semiotica dell’informazione è implicata, a partire dal paradigma linguistico. “Proxemics parallels language, feature for feature”10. Il comportamento umano nello spazio, di conseguenza, è ripartito per Hall in isolates (unità di comportamento manifestate allo stesso titolo del morfema), stes (o sintagmi) e patterns (omologate alle regole grammaticali e semantiche.). Questi elementi si distribuiscono a diversi piani di coscienza. Per ogni comportamento comunicativo, strutturato come linguaggio, si suppone che esistano tre livelli: tecnico, informale e formale. Utilizzando una metafora spaziale, il comportamento culturale potrebbe essere rappresentato da un fiume: il flusso superficiale sarebbe la dimensione tecnica, l’acqua profonda l’informale, il letto, la dimensione formale11.
Per Hall, la manipolazione dei segni spaziali, che conosciamo nei loro aspetti tecnici e formali, richiede un’analisi semiotica della dimensione nascosta, dove si formano i codici delle relazioni spaziali e delle interazioni sociali12. Allo stesso modo delle coordinate temporali (il tempo parla, secondo i ritmi degli orari, il lavoro e i pasti, la festa e il sonno, i nostri progressi e ritardi), la dimensione spaziale è rigorosamente strutturata (discorsi spaziali)13 e deriva da modelli e regole apprese e compiute in modo perfettamente inconscio, ma capace – per coloro che superano la motivazione naturalizzante della propria cultura – di un’evidenza eloquente. Le distanze intrapersonali, gli orientamenti spaziali ci parlano: ma dal momento che li percepiamo sempre avvolti e quasi camuffati all’interno di complessi atti semici, siamo portati a ridurli a fattori esterni. La prossemica, al contrario, ci invita a una lettura immanente della struttura di questo linguaggio.
(A) Come ogni altro organismo vivente, l’uomo possiede una territorialità; una sorta di proiezione simbolica nello spazio circostante, non meno reale del suo limite fisico. Questa territorialità è modellata: può quindi essere descritta dall’osservatore così come viene appresa dall’attore. Nello spazio che l’uomo attraversa, l’intera serie dei suoi incontri (transazioni) disegna figure di significato. Figure codificate allo stesso livello delle regole della parentela, delle maniere a tavola, delle forme di cortesia. Eppure l’uomo tratta questo territorio simbolico così elaborato, come i problemi del sesso: o non ne parla mai, o lo fa in modo non serio. Per cause ancora da scoprire, le ragioni per cui l’uomo deve “essere al suo posto”, i suoi mezzi per trovare questo posto, sono repressi. È quindi necessario che queste tecniche spaziali espresse nel linguaggio silenzioso di una cultura, dimenticate o descritte fino ad ora in modo impreciso, trovino negli strumenti semiotici il loro rigoroso “transfert” descrittivo.
(B) La semiotica dell’architettura, dell’urbanistica e della pianificazione spaziale ci introduce ad un livello più alto di complessità. Senza ricorrere all’esempio dell’indiano Hopi che monta la sua capanna sulla strada che attraversa una regione desertica, l’articolazione inconscia dei macro-spazi è ovviamente più percettibile e le sue dimensioni tecniche e formali più sviluppate. Per illustrarlo sarebbe sufficiente confrontare la concezione spaziale della cultura occidentale (che parla in termini di linee che delimitano superfici o si intersecano) con la concezione giapponese (espressa da spazi concepiti come unità e punti organici). Gli esempi potrebbero moltiplicarsi14.
Le ipotesi di Hall sono dedotte, con un procedimento contrastivo, da una patologia della comunicazione inter-e-intrapersonale che la psicopedagogia americana ha denominato alienation from interaction15. L’interazione culturale si presenta come un modello della struttura del significato: si oppone e connette comportamenti differenziali dotati dello stesso significato, e viceversa; segnalando per così dire, i vuoti del nostro discorso sullo spazio, indica le sue varianti; impone una descrizione rigorosa, un accumulo significativo di materiali e fornisce i punti di riferimento per l’approccio delle categorie semantiche.

2.2.1. La prossemica si è sviluppata nella direzione del confronto interculturale. Una distinzione preliminare è però necessaria. La sua definizione tanto stimolante quanto il suo progetto è ambizioso, ma allo stato attuale della ricerca dovremmo almeno distinguere due settori di complessità diseguale e assai diversi nel grado della loro elaborazione.
Finora ha fornito la maggior parte dei risultati prossemici la struttura inconscia del micro-spazio, il modo in cui l’uomo valuta la distanza tra se stesso e gli altri nella vita di tutti i giorni. Alcune assunzioni informali di Hall sull’interazione spaziale con diversi gradi di affinità sociale sembrano essere confermate da analisi quantitative empiriche. Secondo questo schema le modalità degli incontri interpersonali sarebbero collocate su otto intervalli di zone diverse. Ci sarebbero quindi distanze cosiddette normali e appropriate secondo ciascuna delle otto diverse varietà di interazione. La progressiva e continua diminuzione della distanza non può corrispondere, ad esempio, a una diminuzione proporzionale dell’intimità della relazione. La qualità complessiva delle interazioni sarebbe più o meno uniforme all’interno di un’area e cambierà bruscamente una volta superato un confine spaziale, una soglia diversa a seconda dei modelli culturali delle diverse società. Questo gioco di monadi dotato di forza di varia gravità può essere colto a livello di scambi personali tra popoli dotati di strutture prossemiche differenziate. In una conversazione formale tra un arabo e un nordamericano, il primo tende ad avanzare per stabilire la “giusta distanza”, l’altro, d’altro canto, a ritirarsi. Dati verificati sperimentalmente sulla base di una scala di valutazione, utilizzata come tecnica di misurazione prossemica16. Il dubbio sul campione scelto non toglie nulla al valore dell’esperimento. Gli Arabi interagiscono in un confronto più diretto, che giunge al contatto con l’interlocutore (dove intervengono fattori termici e olfattivi), tendono a guardare più direttamente negli occhi e a usare toni vocali più elevati17.
Date queste esperienze, (a) è stata tentata una classificazione generale del micro-spazio. Distinguiamo uno spazio a caratteristiche fisse (che comprende l’ambiente e che costituisce la dimensione invariante dell’interazione), uno spazio a caratteristiche semi-fisse (dove sono classificate le componenti spaziali suscettibili di spostamento), uno spazio dinamico (che può essere manipolato dal soggetto per definire un contesto appropriato alla comunicazione). E una bozza di (b) di tipologia prossemica relativa a più culture differenziate in base all’uso dei fattori indicati. (Ad esempio, il sistema prossemico negli Stati Uniti esclude l’uso del codice olfattivo durante le interazioni formali, mentre il cinese trova scorretto il contatto visivo degli occhi negli occhi, ecc.). Infine, è stato messo in evidenza il ruolo cruciale svolto dall’organizzazione dello spazio e le implicazioni prossemiche a diversi livelli di coscienza (tecnico, formale, informale) all’interno di sequenze più ampie. Questo è il caso degli (c) accenni (adumbrations), segni informali di indicazione che precedono o scortano le sequenze formali di comunicazione (di solito l’inizio e la fine) e che ci danno i mezzi per valutare le informazioni “coperte” che accompagnano sempre l’uso di codici ristretti. L’incomprensione degli Accenni non impedisce di ricevere il messaggio, ma può portare a un equivoco sul suo significato globale, a una comunicazione “paratassica”; poi, dal cortocircuito dei segni può condurre all’aggressione finale18. La gestione dello spazio ci direbbe, dunque, molto di più del “tono” della comunicazione verbale e gestuale che può marcare o anticipare. Viene coinvolto il contenuto stesso del messaggio: è il senso che richiede una corretta manipolazione dello spazio (Immaginate, in questa prospettiva, la comprensione dell’Accenno-prefigurazione nelle relazioni interne di comunità con una struttura gerarchica forte).

2.2.2. I processi prossemici potrebbero essere discussi, non solo nei loro fondamenti informazionali – ciò che verrà fatto in seguito – ma anche all’interno della stessa semiotica della comunicazione.
L’antropologia e la linguistica americana hanno sempre distinto un emic account, un approccio basato sui tratti rilevanti del comportamento analizzato e un etic account caratterizzato da osservazioni che, pur sistematiche e ripetute, sono prive di obiettività e validità. La distinzione è stata generalizzata da Pike a partire dall’opposizione tra phonemic e phonetic: così che l’analisi delle capacità fonetiche di un linguaggio deve operare, per determinare l’insieme di tratti fonematici, su suoni distinti e identificati come pertinenti per chi usa quella lingua, allo stesso modo la valutazione delle capacità culturali è tenuta a specificare l’insieme dei tratti pertinenti al fine di distinguere e identificare il comportamento culturale dei membri di quella cultura19.
I criteri tassonomici e categoriali utilizzati dalla prossemica si presentano spesso come artefatti bricolati da usare sia come schemi preliminari per il cumulo di dati sia come matrici di confronto tra modelli emic che devono ancora essere costruiti. E questo è prossetico, non ancora prossemico!
Questa osservazione è tanto più valida per la seconda parte delle formulazioni di Hall, che riguardano lo spazio della città, l’architettura e il territorio20. Più che le opposizioni, affascinanti ma imprecise, tra le strutture formali della spazialità della nostra cultura e di altre culture, potremmo considerare a livello emic l’unica analisi del lessico americano dello spazio (delle unità acentriche ma riferite crossroad store, angolo, piccolo centro commerciale, capoluogo, piccola città, grande città, centro metropolitano, città e metropoli). Il lessico, tuttavia, non si riduce qui alle sue componenti semantiche che potrebbero consentire il confronto pertinente con i modelli strutturali della lessicologia etnoscientifica21, un’operazione tanto più necessaria in quanto Hall stesso riconosce l’assenza di gradazioni riconoscibili nel passaggio da una categoria all’altra. La prossemica implicherebbe una lettura delle transazioni corpo-ambiente in una prospettiva etnoscientifica (tassonomia spaziale transcodificata nel linguaggio naturale di una particolare cultura, suscettibile di un’analisi contrastiva) ed ecologica (sviluppo culturale di queste transazioni).
Ma per quanto riguarda il macro-spazio, la prossemica si ferma ai suggerimenti: confronto con gli studi etnologici sulla territorialità animale; possibile uso del materiale dell’ecologia umana ordinato secondo i principi strutturali, psicologia transazionale portata alla strutturazione della percezione come fatto di comunicazione, dell’urbanistica proto-semiologica, delle analisi pittoriche sulla distanza prospettica e dell’impostazione topologica, eccetera22. Si potrebbe aggiungere, senza essere esaurienti, la ricerca etnologica, di psicologia storica e di sociologia23.
In ogni caso, la seconda ipotesi prossemica è lungi dall’essere verificata, e ci si può anche chiedere se lo sviluppo terminologico a livello micro-prossemico possa essere estrapolato e applicato – nella sua forma attuale – alla lettura di macro-spazi.

3. Una volta affermato il discorso prossemico, dobbiamo verificare, a livello metodologico, la coerenza interna dei suoi concetti.
La semiotica di Hall si situa – coerentemente con la matrice informazionale e con l’uso sempre più implicito di artefatti bricolati24 – al livello della manifestazione dell’evento – comunicazione in cui ha luogo la congiunzione del significante e del significato. Tuttavia solo i dati relativi al significante vengono presi in esame, mentre i problemi di significazione sono messi fra parentesi. La giunzione manifesta del significante e del significato non dovrebbe essere, al contrario, ridotta all’analisi di sistemi discriminatori (che possono solo fornire principi di esclusione), ma estesa alle strutture della significazione25. Gli attuali metodi prossemici, che si limitano a registrare i contrasti tra i diversi modi manifestati di organizzazione spaziale, o descrivono i diversi canali della comunicazione, sembrano più adatti a parlare della sostanza che della forma del contenuto. A nostro avviso mancano le condizioni epistemologiche generali di una assiomatica e una concettualizzazione minimale che fonda e giustifica la descrizione semantica.
Uno sforzo in questa direzione è stato compiuto da Greimas quando ha provato ad impostare un sistema semiotico della spazialità a partire dal lessico francese. Qui le opposizioni verificate sulle differenze del significante sono integrate in un’analisi delle categorie di significato26. Un’ipotesi sul modo d’essere della concezione dello spazio in sistemi significanti differenti della lingua francese (che impone un’analisi di tipo etic preliminare) ci permetterebbe, forse, di definire, attraverso il linguaggio naturale, un insieme di categorie semantiche relative allo spazio; per poi trattare i comportamenti prossemici come raccolte di semi le cui opposizioni operano la disgiunzione tra le varie componenti. Potremmo poi definire relazioni gerarchiche tra le unità che articolano il prossemico.

3.2. Dovremmo anche estendere il gesto prossemico alla definizione del campo delle distanze delle relazioni sociali limitato a due partner (diadi). È possibile che queste relazioni siano articolate sulla categoria spaziale universale simmetria vs dissimmetria. Trascritto nel codice delle relazioni sociali, questa categoria articolerebbe gli universi psicosociologici di solidarietà e status.
La simmetria sarebbe correlata alla prossimità = vicino (alla simpatia, alle interazioni frequenti e intime, all’uso reciproco del tu27), la dissimmetria sarebbe correlata alla distanza = lontano (l’indifferenza e l’antipatia, interazioni rare e formalità, all’uso reciproco del lei); o alle relazioni spaziali prima vs dopo o sopra vs sotto, quindi relative all’idea di superiorità e inferiorità (a influenzare potere vs sottomissione, e all’uso dissimmetrico di tu e lei). Il risultato sarebbe un modello generalizzato di relazioni che collegano universali di stato e affinità con la dimensione spaziale interpersonale28.
Se così fosse, lo spazio teatrale della società, il gioco (prossemico) delle maschere dei suoi ruoli ne verrebbe chiarito; e l’articolazione degli statuti che, almeno nella società occidentale, nasconde pudicamente le sue regole (velando così le sue caste), potrebbe essere resa esplicita dallo svelamento della “dimensione nascosta”.

3.3. Un montaggio semantico più pertinente può portarci a formulare una serie di problemi che lo spazio prossemico così articolato pone in anticipo.
Che ne è della forma infantile di apprendimento della struttura spaziale? Il modello di apprendimento linguistico è valido per questo sistema semiotico? Esistono metodi per risolvere la “poliprossemia” che si verifica tra popoli che danno significati diversi a parità di distanze interpersonali? È possibile organizzare una tipologia esauriente di modelli prossemici manifestati in varie culture? Esiste un’acculturazione prossemica? All’interno dello stesso modello prossemico, ci sarebbero stili ineguali di realizzazione29? Possiamo parlare di una psico-prossemica nello stesso modo in cui parliamo di psico-linguistica? Si può considerare l’atto della manipolazione spaziale come un tratto della personalità? Possiamo considerare una patologia prossemica iscrivendola nel quadro più ampio dell’aprassia? Considerare le violazioni dei tabù dello spazio – dal vuoto sociale o dal contatto forzato? E ancora, dobbiamo cercare forme di contenuto architettonico e urbanistico, la cui sostanza non sarebbe altro lo spazio? C’è un senso di “senso”?
Ancora una volta, ecco il gesto rituale dello scienziato sociale. Mentre le scienze naturali conoscono i loro problemi, mettono in discussione le ipotesi, parlano dei risultati, le scienze sociali mettono in discussione i loro problemi, parlano dei loro metodi e tacciono sui risultati.
Sarà quindi necessario per il semiotico fare quasi tutto per la formalizzazione di questo spazio di configurazione in cui tutto è dato nei suoi segni muti, ma dove tutto è represso nel suo significato. Per la prossemica americana, riferita a una semiotica della comunicazione, è possibile descrivere i comportamenti espliciti della transazione corpo-ambiente, per far emergere l’inconscia dimensione simbolica. L’atto semiografico da solo permetterebbe allora di andar oltre la fatticità e l’atomismo comportamentista verso una cultura concepita come sistema di modelli di aspettativa riguardo al comportamento dei suoi membri. È però necessario sostenere questo sforzo, al di là dei sistemi di esclusione sul piano della manifestazione, mediante un’analisi semantica delle strutture di significazione.
Questo lavoro resta da fare, ma ci sembra tuttavia l’unica possibilità valida di articolare un modello spaziale che è la proiezione di categorie semantiche universali, di un atlante prossemico che disegnerebbe una configurazione semiotica del mondo dove l’uomo si trova collocato. Questa mappa della spazialità sociale arricchirebbe la nozione stessa di gesto proprio e altrui. Con una doppia implicazione, il gesto dell’altro delimita dall’esterno ciò che lo schema prossemico proietta fuori dal mio corpo, regolando lo spazio del mio stesso gesto. Parliamo e siamo parlati dall’altro. Da un effetto simile al fenomeno fisico chiamato cavitazione, il linguaggio agisce sulla sostanza spaziale – allo stesso modo degli ultrasuoni sui liquidi – creando il vuoto, la differenza, la spaziatura, quindi la relazione e il senso.

II. La prossemica a lungo corso

Dove trovare un uomo che dimentica le parole, così che io possa parlare con lui.
(E. Canetti)

1. Il Sessantotto è stato l’anno della presa della parola. Un tempo non avaro di neologismi anche nelle scienze umane e soprattutto nella linguistica, che la temperie strutturalista plaudiva come disciplina pilota negli studi della significazione. All’attrezzeria terminologica di Jakobson si aggiungevano la Paralinguistica (Trager) e la cinesica (Birdwistell, Pike), eccetera30. È nel ’68 che il termine Prossemica fa un sonoro ingresso nel lessico incipiente della semiotica, attraverso la traduzione italiana del libro di Hall, La dimensione nascosta. Nell’introduzione Umberto Eco (1968a) affermava che la Prossemica, tipologia interculturale delle distanze tra soggetti umani e non umani, era, se non una nuova scienza, “il primo tentativo organico di semiologia dello spazio”. Pur tra riserve culturali e ideologiche e senza illusioni sulla sua bonifica sociale – “la prossemica non salverà il mondo” – Eco intravedeva la possibilità di scoprire le regole di un linguaggio silenzioso, una grammatica spaziale intersoggettiva per generare altre articolazioni di senso e nuovi messaggi.
Sempre nel ’68, a partire dagli esiti di Hall, Eco (1968b) dedicava alla prossemica le pagine 238-249 de La struttura assente. Un interesse per i dispositivi spaziali del senso motivato dal suo ruolo di professore di Architettura presso l’Università di Firenze. Hall distingueva infatti le configurazioni fisse delle distanze intersoggettive, come i piani urbanistici e quelle semifisse, come piazze o bar; le discriminava tra centrifughe o centripete; offriva molti esempi interculturali di design d’ambienti costruiti.
A partire dalla matrice antropologica di Hall, Eco ribadiva che il rapporto spaziale tra individui in relazione di prossimità e/o distanza deve tenere e rendere conto delle valenze semantiche che acquisiscono in situazioni etnologicamente e sociologicamente rilevanti. Il significante architettonico non rinvia quindi ad un referente materiale, ma ad un significato culturale. Una postura risolutamente de-ontologica che Hall avrebbe poi approfondito attraverso il concetto di estensione simbolica (extention transference) prossima al saussuriano arbitrario segnico (Hall 1976). I valori semantici degli universi sensoriali che abitiamo e che ci abitano si enunciano come linguaggi culturali (bodily communication). Tra gli attori sociali in copresenza somatica si trovano bolle spaziali di vario calibro; zone prossemiche regolate da complesse convenzioni comunicative sulle maniere di situare i corpi interagenti – umani o non umani in specifiche forme di vita. Una posizione che trovava allora un pannello di controllo teorico in autori come Gibson e Bateson. Anche per Eco si trattava di codici antropici che decidevano dei comportamenti appropriati all’esterno e all’interno di complessi socio-culturali. La distinzione di Hall tra high context culture e low context culture – esplicita la prima e tacita la seconda – non poteva non ricordare al semiologo l’opposizione lotmaniana tra modalità grammaticalizzate e testualizzate della cultura31.
Tuttavia, e senza espliciti disconoscimenti, la Prossemica sarebbe diventata sempre meno Eco sostenibile; negletta per diverse ragioni: un entusiasmo (Watson) proporzionale al successivo disincanto – la giustificata diffidenza verso l’estrapolazione collettiva dei risultati di laboratorio; il passaggio da una teoria culturale “forte” dei codici a quella “debole” del rizoma; le ricerche sui segni distribuite in un dipartimento di semiotiche specialistiche; l’attrazione del quasi contemporaneo linguistic turn (1967) – la semiotica generale è disciplina filosofica fondata sulla semiosi.
Insomma, dopo una breve infatuazione teorica, la Prossemica è rimasta una semiotica connotativa, in attesa d’una metodologia “denotativa”, e soprattutto comparativa. Ha mantenuto comunque la vocazione antropologica: il raffronto tra i silenziosi linguaggi culturali della distanza inter-somatica possono ovviare infatti all’impensato dei nostri rapporti cognitivi ed emotivi: dirci quanto d’impercepito e d’in-sentito sia attivo all’insaputa delle nostre forme di vita.

2. Mentre correva l’anno ’68, la rivista Langages dedica il numero 10 “Pratiques et langages gestuels”, allo studio dei sistemi e processi della gestualità. Diretta da Greimas – che vi contribuiva con un memorabile studio sulla semiotica del mondo naturale – facevano parte della pubblicazione linguisti anglosassoni come Birdwistell, Cresswell, e semiologi continentali come Claude Bremond, Julia Kristeva, François Rastier e io. La Prossemica faceva parte del progetto di ricerca che poneva il problema della relazione tra verbale e visivo (Bremond descriveva i gesti enfatici del fumetto!) – destinato a proliferare; e anticipava lo status della corporeità nella costruzione e manifestazione del senso. Il dossier non ebbe però gli attesi sviluppi e seguiti. In primo luogo, riconoscendo alla Prossemica lo status di progetto di disciplina utile allo studio di semiotiche non verbali, naturali e costruite (riti, cerimonie, teatro, circo, danza, pantomima, cinema, ecc.), Greimas estendeva le “procedure di prossimazione” oltre l’accezione antropomorfa delle variazioni significative e reciproche sulla dimensione distale e prossimale. Includeva nell’indagine attanti non umani (si vedano le ricerche di Hall sul ruolo della manipolazione e controllo della distanza nella domesticazione animale), ma anche a rapporti interoggettivi; prevedeva distanze estensive e/o intensive, graduali e/o categoriche ed istanze statiche e in movimento. Quanto alla relazione con la gestualità, per il semiologo merleaupontiano essa non andava intesa come translinguistica o sovrasegmentale, ma nel quadro di d’una generale testualità somatica: manifestazione del corpo umano come volume e movimento, generatore di testi sincretici intelligibili all’interno di sistemi, e di pratiche di senso.
Per questo Greimas prende le distanze dalla Prossemica come translinguistica dei “cinémi”, costruita sul modello fonematico nell’accezione di Hall e di Edward Sapir. E riafferma la priorità della dimensione semantica dando la precedenza alla forma del contenuto, anche per il carattere non sufficientemente formato dei piani espressivi (si veda ad esempio la notazione Laban per la danza). In questa direzione si sarebbero orientate infatti le ricerche di semiotica dello spazio, in particolare di Manar Hammad.
Un’opzione deliberata e radicale che si espone alla critica “saussuriana” di François Rastier: per l’indifferenza al significante e l’assenza di presupposizione reciproca tra forma dell’espressione e del contenuto si ricadrebbe in un cognitivismo non naturalistico.
Un faux pas? È certo che la semiotica greimasiana ha mancato un’interdefinizione con quella comunicazione visiva che è la LIS, lingua dei segni con le sue grandezze somatiche e grammaticali (pronominalità, aspettualità, modalità, ecc.) la quale costituisce ormai un settore saliente della linguistica contemporanea. E ha rinunciato a ripensare alla Gestualità come correlazione tra significati e significanti verbo-visivi. Manifestazioni semiotiche queste ultime che inducono a pensare il rapporto tra il dicibile e il visibile al di fuori di ogni ontologia.

Cos’è allora la scienza? La scienza è un golem
(H. Collins, T. Pinch)

3. Il sostantivo di quella che fu dichiarata con enfasi una nuova scienza, è assente oggi dagli studi della gestualità ad orientamento cognitivo (McNeill). Oppure si integra in forma di aggettivo alle componenti situazionali (attoriali e cronotopiche), soprattutto nelle analisi conversazionali e terapeutiche (Tannen).
Nonostante la sua assenza tra le parole chiave della disciplina (Duranti), ci sembra però che mantenga la sua valenza nel programma interdefinito di una semiotica della cultura ad indirizzo antropologico “comparativo e sperimentale”. Per la sua dimensione non ontologica e interattiva la Prossemica non si limita ai coinvolgimenti sensoriali, incontri faccia a faccia in microambienti, distanze di fuga tra bolle interattive. Può estendere invece “la sua portata fino ad includere ogni umano comportamento nella interazione sociale” (Finnegan 2002, pp. 121-22). In continuità con studiosi della gestualità e dell’interazione come Goffman e Kendom, per Finnegan il sistema prossemico resta un linguaggio silenzioso. Indipendentemente dal calcolo estensivo delle distanze e della restrizione categoriale (cioè intimo, personale, sociale e pubblico), le convenzioni prossemiche permettono e impegnano zone sorvegliate di sicurezza ma anche punti o linee di tensione. Secondo regole apprese e non innate che articolano comunità passionali, condivise o conflittuali. Le infrazioni a regole più o meno stringenti in condizioni informali e/o cerimoniale sono veri e propri messaggi inavvertiti o intenzionali. Manipolare le distanze, trasforma la portata e il senso degli spazi propri e altrui.
Le discipline umanistiche che operano “in vista” della scientificità sono implicate nel loro mutevole oggetto, la significazione. Senza essere “debole” il loro cruscotto concettuale è sistematico senza essere deduttivo, gerarchico, calcolabile e replicabile. Hanno l’andatura robusta quanto erratica del Golem. Tolti molti paraorecchi, la traiettoria punteggiata che la semiotica traccia nelle vaste plaghe della semiosfera può tornare di nuovo ad intercettare la Prossemica. La quale, a differenza di altri saperi canonici, non è invecchiata, perché non offre soltanto buoni consigli ma fornisce modelli ed esempi.


Note

  1. Questo capitolo è formato da due testi successivi: il primo – Considerazioni sulla prossemica è la traduzione dei curatori del saggio Considérations sur la Proxémique, in “Langages”, 3e année, n. 10, Pratiques et langages gestuels, pp. 65-75; il secondo – La prossemica a lungo corso, è un saggio inedito. Per gentile concessione dell’autore. torna al rimando a questa nota
  2. It is taken as a given that language is the principal mode of communication for human beings. It is further assumed that language is always accompanied by other communications systems, that all culture is an interacting set of communications and that, communication as such results from and is a composite of all the specific communication systems as they occur in the total cultural complex (Trager 1958). torna al rimando a questa nota
  3. Si veda “la cultura di una società consiste in quello che ciascuno deve sapere o credere per agire in maniera accettabile verso gli altri membri in qualunque ruolo sociale assuma” (Goodenough 1957). torna al rimando a questa nota
  4. I costituenti immediati di un evento sociale ben formato sono psicologicamente reali come i costituenti immediati di una frase ben formata (Brown 1965, pp. 303-304). torna al rimando a questa nota
  5. La linea intellettuale qui perseguita è stata tracciata da Sapir. torna al rimando a questa nota
  6. In questo orientamento, si veda, ad esempio, Pike 1967, e i lavori d’interesse psichiatrico del gruppo di Pittsburg: Condon, Charney, Loeb, Brosin e quelli di Bateson, Birdwhistell. Per una bibliografia, si veda Sheflen 1967. Dal punto di vista antropologico, vedi Gumperz, Hymes 1964. torna al rimando a questa nota
  7. Si veda Hall, Trager 1953, e Trager, Hall 1954. torna al rimando a questa nota
  8. Hall 1955. torna al rimando a questa nota
  9. Cfr. Hall 1963a, Id. 1963b. torna al rimando a questa nota
  10. Si veda Hall 1963b. Il segno spaziale avrebbe tutte le caratteristiche del linguaggio evidenziate da Hockett 1958: l’arbitrarietà, la dualità, l’intercambiabilità, lo spostamento e la specializzazione. Come nella lingua, in una forma più specializzata e più iconica, la prossemica parteciperebbe allo stesso tempo con un codice digitale e un codice analogico. torna al rimando a questa nota
  11. Si veda Hall 1959. torna al rimando a questa nota
  12. Si veda Hall 1966. torna al rimando a questa nota
  13. Molti elementi fanno parte della nostra esperienza quotidiana: la distanza rispettosa, la vicinanza affettuosa (ma anche la vicinanza aggressiva e la distanza indifferente o sprezzante), la gerarchia delle procedure e dei luoghi (il capotavola, la mia poltrona, la precedenza alle donne, ai vecchi, ai “superiori”). La disposizione spaziale della sala d’attesa di una stazione è semplicemente un indice sociografico. Gli estranei mantengono tra loro una “certa” distanza, se i posti sono sufficienti i posti che occupano saranno separati o anche distanti. Una famiglia, al contrario, tende a raggrupparsi, i bambini sulle ginocchia degli adulti. E tutto questo non è così diverso dalla disposizione degli uccelli sui fili del telefono. L’etologia ci ha fornito tanto per gli invertebrati quanto per i mammiferi (specie di contatto vs specie senza contatto, per esempio) sorprendenti paralleli (si veda Wynne-Edwards 1962).
    E ancora: tra estranei a stretto contatto, il back-to-back è più tollerabile del contatto faccia a faccia o side-by-side. Il contatto visivo sembra obbligarci a interagire: pensiamo alle reti di comunicazione che si stabiliscono all’interno dei microgruppi. Nella metropolitana, dove il contatto faccia a faccia è forzato, riduciamo l’inconveniente distogliendo lo sguardo: tutti guardano altrove! Per il senso della territorialità corporea, si veda Calhoun 1962, e McBride 1960. torna al rimando a questa nota
  14. A dire il vero, Hall attinge dalle analisi talvolta discutibili di Benjamin Lee Whorf: nel linguaggio Hopi lo spazio che si riflette in esso manca di lessicalizzazione per gli spazi tridimensionali (camera, caveau, corridoio, ecc.). Per esempio, il turco non ha terminologia per classificare i bordi. torna al rimando a questa nota
  15. Essenziale per il lavoro sul gesto e lo spazio ci sembra il lavoro di Goffman 1957, pp. 47-70; Id. 1961; Id. 1959. torna al rimando a questa nota
  16. Per ritagliare la sostanza del contenuto prossemico, sono state pianificate otto classi di elementi: (a) identificatori di genere-posturale, (b) asse socio-demografico-e-sociopetico, (c) fattori cinetici, (d) codici visivi, (e) tattile, (f) termico, (g) olfattivo e (h) una scala di intensità vocale. torna al rimando a questa nota
  17. Ogni dimensione è graduata in modo differenziale: (a) distingue i sessi e le tre posizioni: seduto, in piedi, sdraiato, (b) comprende ancora otto posizioni tra schiena contro schiena e faccia a faccia, (d) valuta la direzione dello sguardo: diretto (verso gli occhi dell’interlocutore), semi-diretto (verso la testa), periferico (sul corpo), esterno (attorno al corpo). Si veda Hall 1963b. torna al rimando a questa nota
  18. Hall 1964. torna al rimando a questa nota
  19. Si veda Pike 1967. torna al rimando a questa nota
  20. Si veda, soprattutto per l’architettura, Eco 1967. torna al rimando a questa nota
  21. Si veda il numero speciale di American Anthropologist (Hammel 1965) e il bilancio di Sturtevant 1964. torna al rimando a questa nota
  22. Si vedano, Hedinger 1961; Sebeok 1965; Barker L.G., Barker L.1961; Kilpatrik 1961; Lynch 1960; Grosser 1951; e Dorner 1958. torna al rimando a questa nota
  23. Per esempio in Francia, secondo diversi metodi e obiettivi, Mauss e Lévi-Strauss, Meyerson e Vernant, Gurvitch. torna al rimando a questa nota
  24. Si veda soprattutto Hall 1966. torna al rimando a questa nota
  25. “Registrare degli scarti differenziali al livello dell’espressione, per quanto certo ed esaustivo, è soltanto un sistema di esclusioni e non porterà la menoma indicazione sulla significazione. Cioè gli scarti di significazione non si deducono a partire dagli scarti del significante e la descrizione semantica appartiene ad un’attività metalinguistica situata ad un altro livello e che segue le leggi dell’articolazione strutturale della significazione. La quali si presentano come costitutive d’una logica linguistica immanente” (Greimas 1966). torna al rimando a questa nota
  26. Questo sistema semico di spazialità includerebbe i semi spazialità, dimensionalità, verticalità, orizzontalità, perspettività, lateralità. Sul lato incompleto l’analisi, ma sulle sue possibilità concrete, si veda Greimas 1966, pp. 32-36 e Togeby 1965. torna al rimando a questa nota
  27. Si veda Brown 1965, pp. 71 ssg. Brown and Gilman 1960. The terms “solidarity” and “status” will be used in a maximally general way to characterize the two kinds of relations: symmetrical and asymmetrical (1965, p. 73). torna al rimando a questa nota
  28. Lo studio mira alla definizione di un modello culturale universale e invariante, che opera allo stesso modo in qualsiasi forma di indirizzo: la forma linguistica che è usata per un inferiore in una diade di status in coppie di stato uguale usato reciprocamente dagli intimi; Status disoccupati, in coppie di pari status, usati reciprocamente da estranei (1965, 92). torna al rimando a questa nota
  29. Come sono stati classificati da Joos 1962, per la lingua: intimo, casual, consultivo, formale, freddo. torna al rimando a questa nota
  30. I primi studiosi di semiotica consideravano “il lavoro di Hall un testo indispensabile per tutti i cinesiologi e paralinguisti” (La Barre). torna al rimando a questa nota
  31. La prossemica di Hall aggiunge alle dimensioni dello Spazio e del Tempo la dimensione culturale dove distingue codici forti e codici deboli. Per quanto riguarda il Tempo è interessante distinzione tra stili di vita (i) policronici, in cui la temporalità è assunta paradigmaticamente nella simultaneità, (ii) monocronici, in cui i tempi sono sintagmaticamente disposti in sequenza. torna al rimando a questa nota

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