Mattiacci, l’orbita del cielo e il colore dell’occhio


Da: Mattiacci at UCLA, Los Angeles, a cura di D. Montanari, Los Angeles (USA), maggio 2005.


 

se l’occhio fosse un animale, la sua anima sarebbe la visione
Aristotele, De anima

1.

Con che occhi guardare questo Occhio di metallo che prende il nome dal cielo ed è posato sul suolo di California? Una terra meteorica di sole e di faglie terrestri, di oceani, deserti e terremoti che sembra perfetta per la scultura di Eliseo Mattiacci, artista che va costruendo una personale cosmologia, un privato firmamento in terra e uno zodiaco monumentale. O, meglio, una mitologia astronomica realizzata in grandi sculture e installazioni metalliche. Quest’Occhio di metallo, più grande della taglia umana è uno dei suoi ultimi cosmogrammi.

Cominciamo allora con alzare gli occhi. Proprio a quel cielo che sta nel titolo dell’opera.
La volta celeste è la superficie su cui si sono tracciati tutti i miti antropomorfi. Oggi, invece, all’occhio nudo sembra disabitata. Può guardarla solo la scienza con i suoi strumenti rigorosi e fertili, che misurano la distribuzione delle quasar, le radiazioni fossili, i buchi neri, l’abbondanza relativa dell’elio rispetto all’idrogeno o il brillare delle nebulose. Possiamo avvicinarci al cielo, letteralmente, solo con le sonde spaziali o, metaforicamente, con le passioni intense, quelle che ci portano al settimo cielo. È il cielo invece a non guardarci più, cone se ci fossimo sottratti noi, e per sempre, alla sua prospettiva, al suo punto di fuga.
Ma Eliseo Mattiacci continua a pensare e creare cone un filosofo naturale. Per lui il cielo deve essere a portata di mano e ad occhio nudo. Ha deciso quindi di far scendere un’orbita nella terra sublunare di Los Angeles: un’orbita planetaria e ottica, il cerchio metallico di una pupilla e il diagramma di una antica rotazione astrale. Il cielo in terra si fa guardare con altri occhi.
Aver occhio significa veder chiaro, capire persino colpir giusto. Negli antichi vocabolari italiani sull’arte del disegno, i muscoli dell’occhio di dividevano in due gruppi: quelli adibiti all’azione – torcitori e obliquatori – e quelli addetti alla passione. – superbi e umili, amatori e indignatori.
Con cosa guardare, dunque, l’Occhio di Eliseo? Con la geometria, appannaggio del disegno o con l’emozione, portato del colore? O con entrambi?
Prima di rispondere alla domanda, vediamo dove guardare.

2.

Gli esseri viventi abitano l’interfaccia degli elementi: tra l’acqua e la terra, tra la terra e l’aria, tra l’acqua e l’aria. Anche le opere dell’uomo, come le sculture, stanno tra gli elementi. Ci sono le sculture sotterranee delle caverne, delle catacombe e dell’earth art, i Cristi degli abissi marini e le sospensioni di Calder, campate lievemente in aria. L’Occhio di Eliseo guarda dall’interfaccia tra terra e aria, ma col delicato equilibrio d’una modalità particolare. Non si alza dal suolo verso il cielo, come le stele, i colossi e le colonne. Non è attaccato o staccato da terra, ma calato. Dà l’impressione cioè di essere disceso dall’aria, di restare posato sull’erba.
La sua presenza non vive nello stallo delle installazioni. Un effetto dovuto all’assenza di piedestallo – teorizzata da Schopenhauer e praticata da Rodin – il piede è un’escrescenza della terra nei corpi umani e nelle statue!
In quest’opera la sospensione è l’effetto della forma circolare e quasi spirale, che lascia scorrere l’aria e il respiro. Questa scultura – posta, ma non imposta – è leggera nonostante la sua mole e aggetta la sua orbita flessibile ed elastica su quello che la circonda. Dà, per il suo disegno, una mobile impressione di deformabilità: reversibile, ma senza metamorfosi. E conserva un carattere diafano che inquadra la diversità delle stagioni e ammicca agli sguardi che l’attraversano.
Un oggetto astrofisico che ci fa astronomi di terra, come quei personaggi di De Chirico per cui i cocci di un vaso sparsi sul pavimento prendevano la forma di una costellazione. Astronomi che non hanno bisogno di levare il capo e guardano davanti a loro.

3.

L’arte contemporanea ha mescolato i generi artistici tradizionali. Difficile decidere della natura pittorica, teatrale, architettonica o scultorea d’una istallazione. Nell’antica terminologia artistica per contro, l’artista plastico, il “maestro di figura”, veniva classificato secondo le materie impiegate. L’intagliatore per il legno, il modellatore per la terra e la cera, il formatore per il gesso e la cartapesta. Il maestro del metallo era chiamato “gettatore”, perché era suo compito amalgamare nella forma i composti, le leghe.
Atto filosofale che conserva un sapore lontano di alchimia – la parola greca “amalgama” è giunta al nostro medioevo attraverso la traduzione araba. Quanto alla forma, sappiamo che essa si trova ai bordi della materia, come l’atto creativo sta all’interfaccia della potenzialità. La forma della scultura in acciaio di Eliseo Mattiacci deriva la sua leggerezza dal disegno. È la realizzazione tridimensionale, nel metallo e con metallo, del tracciato della mano sulla superficie della carta. Come in altre sue opere, la materie impiegate, ferro, pietra, acciaio, calamite diventano sostanze espressive nell’incontro con il segno cartaceo.
Il suo Occhio celeste, Eliseo l’ha gettato in una lega d’acciaio, il corten, molto usata in architettura e scultura. È un’amalgama più flessibile dell’acciaio, ma più tenace del ferro e più resistente al tempo. Mentre l’acciaio persiste nel proprio invariabile grigio colore, indifferente agli elementi, il corten si copre di una ruggine rossobruna che risponde con la sua ossidazione alla contingenza meterologica, al variare delle stagioni.
Le sostanze hanno i loro ritmi di mutazione e l’Occhio di Eliseo ha quindi un suo destino cronologico. Non sarà perenne, prenderà tempo e colore, uno strato di materia che gli darà una patina esistenziale. Anche il ferro trascolora, la durata lo corrode e l’assottiglia. Il corten, per contro, se perde la sua lucentezza ed esibisce i segni di una consumazione, persiste invece nel suo essere materiale, ostinato e quasi invulnerabile, come l’acciaio. Ma il tempo non scorre intorno all’Occhio celeste senza lasciare traccia, la ruggine segnala la sua entropia colorata, la sua memoria metallica. Una vita lenta e segreta in interazione con gli elementi naturali i quali modificano cromaticamente l’esattezza della più intemporale delle forme: il cerchio.
Lunga vita e vista all’Occhio di Eliseo!

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento