(Micro)biografia di un osservatore


Prefazione a Renato Calligaro, Mi piaccio, dunque sono, Mimesis Edizioni, Milano, 2015.


 

“Le figure prendono su di loro le nostre curiosità e le nostre inquietudini, per questo le salutiamo come le nostre muse” (Italo Calvino)

1.
Dal mondo, numeroso e incantato, delle vignette di Calligaro, mi fissa un personaggio monocolo. Quello che lamenta di essersi perso la fine del mondo (pag. 176). Ricambio lo sguardo che così m’impedisce lo strabismo divergente della distrazione e m’attira in un gioco inatteso di soliloqui, conversazioni e di aforismi.
Uno spazio, poetico e gnomico, di segni e calembours che concilia il pensiero; un tempo di riflessioni, umorali e morali, che mettono e chiedono giudizio. Una dimensione “icastica” come ebbe a proporre Calvino, a cui la parola “iconologia” pareva troppo compromessa con la raffigurazione mimetica.

2.
Le vignette ordinate nel libro ospitano personaggi intenti al soliloquio e alla conversazione. Calmi o agitati, mi toccano per il loro tasso di figuralità: il tratto nuvoloso e la levitazione costante. Come se i “fumetti” che contengono le parole delle vignette fossero entrati a far parte della costituzione e tipologia degli attori di questi piccoli teatri. Personaggi-cirri, personaggi-cumuli, personaggi-nembi della sostanza pulviscolare del mondo. La loro lieve meteorologia, immagini al vento, offre il minimo di appigli all’attenzione, per concentrarla sul linguaggio. Li computo con curiosità, che è il piacere della cura, un po’ come Swift recensiva gli abitanti dell’isola volante di Laputa. Uomini con cappelli e bastoni fogli, borse e cartelle; con papillon e raramente baffuti; talora provvisti di armi e di fiori. Raramente dotati di nome proprio: Ypsilon. Le Donne hanno borse, e cartelle, calze, tacchi e collane; cappellini e talvolta grandi toillette. E rare cocottes con riccioli e sigarette.
Involucri con un passo danzante che, anche se immobili, galleggiano con una gravità senza peso. Leggerezza scherzosa e pensosa che fa sembrare pesante e opaca la frivolezza delle caricature. Gli attori delle vignette di Calligaro conversano con tutta la vivacità e moblità della sua intelligenza. Con un humour dichiarativo che mette in dubbio l’io e il mondo e la rete complicata di rapporti che li costituiscono. Le relazioni transitive della politica, dei sentimenti, del sesso e quelle riflessive sull’identità dell’Io con tutti i suoi giochi di possesso e di rinuncia, di narcisismo (Mi piaccio dunque sono, pag. 139) e di depressione (Per tutta la vita ti devi accontentare di un solo io… e poi ti tocca anche restituirlo all’uscita, pag. 149). Una modulazione esistenziale che permette di contemplare in sospensione i paradossi del vivere e a scioglierli con ironia e forse malinconia. Pungenti e talvolta triviali, ma mai insipidi; tracciati per alleviare la compattezza stereotipa del mondo.

3.
I personaggi di queste strips, i locutori Striptici, riflettono e dialogano, ci parlano e si interpellano. Una condensazione linguistica a cui la leggerezza visiva offre il massimo appiglio. Un piccolo teatro sentenzioso fatto di domande e affermazioni, repliche e risposte. La lettura simultanea della singola vignetta raggiunge l’audacia logica del witz, con la brusca diversione dei percorsi mentali. L’allineamento in libro invece dà un nuovo impianto di confronti, anticipazioni e retroazioni. Con i loro blanks, gli spazi tra le vignette invitano a nuovi reperimenti e puntamenti, rinvii di senso e richiami all’osservatore. La versatilità della lettura pagina per pagina cambia l’accento di senso e provoca una variazione retorica dei contenuti verbovisivi. Le vignette in serie si lasciano leggere come uno zibaldone figurato, un centone di pensieri. O meglio di aforismi grafici – così come si dice graphic novel – fatti di figure e di motti di spirito.
Molte vignette hanno una composizione binaria: paia adiacenti di domande-risposta, che i linguisti chiamano frasi di modulazione. Una struttura chiusa e apparentemente equilibrata – il binarismo è forse l’esito di uno scambio conversazionale. Ma nelle interazioni disegnate da Calligaro il significato, sarcastico e paradossale, eccede la simmetria espressiva e lo stereotipo formale; invita o ad associazioni originali e incita ad inattese inferenze. Le repliche si accumulano via via in un vocabolario emblematico di massime, le quali sono riflessioni decurtate, così come le riflessioni sono massime esplicitate. Un trattatello frammentario di morale? No, perché lo humour e il sarcasmo permettono gli spostamenti concettuali che portano al limite della logica comune (Lo so di mentire a me stesso. Ma è l’unica verità che so, pag 145). Più che di massime, è meglio quindi parlare di aforismi, che sono più elaborati dei paradossi e che, per il loro oscillare tra poesia e prosa, lasciano che il filologico si svolga.

4.
Gli Aforismi Grafici di Calligaro hanno una loro intonazione, un distacco esistenziale divertito ed amaro, disilluso ma tutt’altro che rassegnato. Polemico verso gli stereotipi che si mascherano nell’evidenza (Qual è il suo sogno più bello? Quello di svegliarmi, pag. 63). E talora cinico, ma in un’accezione che l’italiano confonde in una sola parola, mentre altre lingue, il greco classico e il tedesco, separano in due accezioni (Sloterdijk). (Mi piacerebbe essere cinico…, pag. 115). Un cinismo1, quello di chi ha il potere senza farne uso sottolineandone l’inanità (Se governassi bene dovrei chiedere le mie dimissioni, pag. 17) e il kunismo2 che afferma la sconsolata inutilità di quelle cose che non ha i mezzi di mutare (E allora sai che è veramente finita: quando incocci in desideri che si vergognano di te…, pag. 167). Mentre il cinismo1 dei mezzi si riverbera sui fini, il kunismo2, quello di Calligaro, invita ad una certa moralità, obliqua e indiretta, dei fini. Non attacca i principi com’è proprio dell’ironia (Uno più uno fa due. Non si faccia troppe illusioni, pag.70), lo storna invece fino al nonsense, perché deride umoristicamente le conseguenze (Ci decidiamo a morire o no?/ Mi vergogno, pag. 125).

5.
Merita un capitolo metagrafico a parte il lessico di arguti, silenziosi emblemi disegnati per Le Monde: da “Autunno” a “Virus”. Mi limito ad additare i ruoli molteplici della testa, recisa, trasformata, sostituita in molte ingegnosissime maniere, metaforiche e metonimiche. Come La faccia al di sopra delle mie possibilità, nel motteggio di un Striptico a pag. 148. E la parola-(letteralmente)chiave “Illusione” che, fuori della filza alfabetica, chiude l’intero volume. Il disegnatore qui disegnato presenta la sua rappresentazione e la trasforma con i mezzi pittoricamente tradizionali dell’ombra e della luce. Un ritratto e un autoritratto che traccia, nel cono d’ombra, una figura femminile: un’istanza androgina o ermafrodita (Lei è androgino? / Ma non lo vede? Androgina!, pag 54). Per accrescere il sorriso di chi guarda, ricordo che il contornare la propria ombra è, con quello di Narciso, il mito d’origine della pittura.
Così forse non è, ma mi pare. Ho rotto il silenzio – nonostante la precisa interdizione dello Striptico a pag. 77 (E parli dunque, parli/ No!! E non mi rompa il silenzio!). Calligaro comprenderà: “Ci sono giorni in cui i segni parlano ai segni, si dicono cose diverse da quelle che noi non gli vorremmo far dire” (Italo Calvino).

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento