Arnaldo Pomodoro: segno e monumento


Da: Catalogo della mostra di A. Pomodoro, Il segno e il monumento, Galleria Franca Mancini, Pesaro, 2001.


A S. Leo, durante la mostra che A. Pomodoro ha dedicato a Cagliostro, ho compreso meglio il ruolo del segno e del monumento nella sua opera.
(Comprendere è altra cosa dal capire. Capire è catturare con la mente – che può sempre mentire; comprendere è sentire in tutti i sensi e con ogni senso).
In quella visita, ho compreso dunque il senso del monumentale di Pomodoro e la sua relazione alla memoria. E che i segni sulle superfici dei suoi monumenti sono geroglifici.
Lontano dalla parte monumentale della cittadina del Montefeltro, c’era un modesto obelisco, dedicato ai caduti in guerra. Eretto al ricordo, sembrava là proprio per essere scordato. Come dice Musil, il monumento è comeuna pietra che leghiamo al collo di chi vogliamo dimenticare. Solecismo, sovrappiù retorico di bronzo. Ma Pomodoro, con un intervento semplice quanto efficace, gli aveva reso e aggiunto un senso che non saprei chiamare altrimenti che “futuro”. Era come un invito alla concentrazione e mi sembrava che lo spazio banale dei giardini che circondano l’obelisco, mi chiedesse d’intendere qualcosa, come un suggerimento segreto. Credo di aver compreso allora il legame tenace con Cagliostro (il fondatore della massoneria egiziana) e l’Egitto, gli obelischi e la loro scrittura geroglifica. E d’aver inteso, alcuni caratteri dell’opera maggiore di Pomodoro, di cui troviamo nella mostra di Franca Mancini qualche esempio paradigmatico.
Chi conosce la cultura del Montefeltro ricorderà il dialogo di T. Tasso, Il conte ovvero delle imprese. Da una finestra del palazzo ducale di Urbino, due colti personaggi discutono dei segni geroglifici iscritti sul piccolo obelisco che sta di fronte all’edficio. Parlano della saggezza d’una cultura, l’egizia, in cui il tempio era un libro e la scrittura monumentale aveva un ruolo visivo. Tentano di leggerne il senso ignoto usando la loro cultura di emblemi e di blasoni, ma intanto generano idee nuove o esplorano la virualità di altre immagini .
Il monumento è sempre eretto a futura memoria; è un segno (“semeion” era la parola per le mete dei circhi) che organizza uno spazio a venire. Non è un cippo o un palo, la parte piantata, ma la stele, la colonna, cioè la parte che emerge nello spazio e nel tempo. Non è scandaglio, ma sonda verticale – come le sonde atmsferiche o celesti. Sonda a spirale o a rotazione, per un’inchiesta, un sondaggio di significato.
L’ispirazione esplicita di Pomodoro, che è orientale o classica, nella sua creazione diventa però ultra storica. Va verso una profondità antropologica: non è animistica, cioè non chiede che proiettiamo nelle sue sculture i nostri problemi psicologici o sociali; all’esatto contraio è totemica, cioè vuol usare la forma materiale per farci pensare a noi stessi. E sembra chiederci che nello spazio intorno alle sue opere s’inventino nuovi riti: dei riti di lettura.
Gli oggetti-segno di Pomorodo ci chiedono un silenzio interno per permetterci di scorrere le superfici, così come si leggevano le fasce dei templi egizi o le spirali delle colonne romane. Non è il leggere in senso proprio, ma un riconoscere il carattere geroglifico, misterioso, allusivo delle iscrizioni – segni, marchi, tracciati, punzoni. M. Boatto e J. L. Schefer, due critici illuminati, hanno visto come questi “endorilievi” scoprono la pelle dell’opera e ne mettono a nudo la carne. (Pomodoro scarnisce la superfice dei suoi monumenti come l’Apollo di Tiziano tratta la pelle di Marsia). Questi bassorilievi in calco (“sottorilievi”?), geroglifici d’oriente, mettono una mano sensibile nei nostri stessi occhi. Scorrendoli, percepiamo simultaneamente la superfice intatta e le sue cicatrici. Emblema vuol dire ferita! Leggere allora è un’esperienza tattile, “aptica”, che ci fa percepire, cioè comprendere con tutti i sensi un senso a venire.
Se è vero che il mito è fatto di tutte le sue varianti, allora c’è un mitismo in queste opere di Pomodoro, di cui il monumento funebre a Fellini è la più esatta realizzazione. La prua che si leva davanti alla morte non ha nulla di intimo o esistenziale. La morte non dà senso alla vita a partire dalla fine dei nostri giorni è l’interruzione di un progetto che sta ad altri proseguire. La nave va e continua a lasciarci la sua scia.
È il senso, uno tra i possibili, dell’opera monumentale e geroglifica di A. Pomodoro?

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