Viva Carlo Magno


Da: Au Bout du fil, Catalogo della Mostra di Pupi Siciliani, Palermo – Parigi, 1994.


0.

I pupi siciliani tornano alla terra di Francia e alla città di Parigi.
Sulle rive del Mediterraneo, Orlando e gli altri Paladini, appesi ai fili e mossi da innumerevoli mani, non hanno mai smesso di difendere lealmente il regno di Carlo Magno. Dalla riconquista normanna, tra assedi e battaglie campali, duelli, idilli e incantagioni, la tradizione del ciclo bretone della cavalleria si è trasmessa e tradotta in parole e immagini. Al prezzo di qualche tradimento, tutte le armi e tutti gli amori risuonano ancora nello spazio ridotto di poche assi di legno. E si ripercuotono sull’immaginario dal cinema – L’Armata Brancaleone – fino alla letteratura. Vigny diceva “j’ai mi mis sur le cimier doré du gentilhomme / une plume de fer qui n’est pas sans beauté”.
Così i nostri pupi tengono viva e vicina la letteratura italiana da Boiardo a Pulci, fino al Tasso; frequentano i testi di Calvino, che li prediligeva; suggeriscono a chi abbia occhi, quanto la scrittura in Italia debba, oltre che a Dante e Petrarca, ad Ariosto e Galileo. Cioè al gioco ridente dell’avventura e alle narrazioni sperimentali del sapere1.

1.

Tragga chi vuole, dalle armi istoriate dei paladini e dei Mori, un sapere storico o geografico: la nascita dell’Europa nel confronto con l’Islam, la carta della Sicilia segnata dai nomi dei paladini.
Io vorrei solo rinnovare il diletto che sulla scena procurano le parabole di queste figure di carte e di blasone. Ripassare i loro nomi, quelli delle loro spade e dei loro cavalli, riconoscere i Saraceni di Spagna da quelli d’Africa, i tipi di mostri e i giganti, i maghi bianchi e neri, i messaggeri e i demoni. Vederli combinarsi, come tarocchi nelle fila di narrazioni interrotte, riprese – come si direbbe d’un tessuto (nota Ariosto e Boiardo) – e di nuovo interrotte2. Come in un arazzo in cui tutto tiene, i pupi si passano la spola di un racconto fatto di ridondanze e di variazioni, in un vertiginoso incastro di motivi. Lo stesso episodio è incluso o include altre storie, un personaggio si perde o riappare – attendeva fuori scena? – senza una spiegazione plausibile. Il gioco combinatorio aperto produce situazioni fantastiche, l’assenza di un finale impedisce la totalizzazione della memoria e schiude le virtù del possibile.
Ma l’erranza dei cavalieri dà alla storia un “tempo”, una cadenza. Discorrere è correre diceva Boccaccio, per cui raccontare è andare a cavallo. La prosodia dei tornei di corte e degli scontri di foresta organizza infatti un ritmo narrativo, una musicalità inimitabile dei motivi. Di questo significante i significati sono la leggerezza e la rapidità che Calvino proponeva come valori del prossimo millennio3.

2.

Ma forse è un’altro il senso dell’avventura dei paladini francesi.
Il piacere della conoscenza è compatibile con la forza del guerriero solo attraverso le arti reversibili dell’incanto d’amore.
Come Calvino, che si è posto per tutta la vita il rapporto tra il libro e la spada, tra S. Giorgio e S. Gerolamo, anche Orlando dice ad Agramante – il quale ha rotto la testa al proprio maestro e lo invita a parlare solo di armi ed amori -: “io tiro teco a un segno / Che l’arme son de l’omo il primo onore / ma non già che il saper faccia men degno, / anzi lo adorna come un prato il fiore”. Ma la passione eccede il sapere: “perché ogni cavalier che è senza amore / se in vista è vivo, vivo è senza core”4. Si può certo tentare di trasporre alla relazione amorosa quella strategica, il formale accostamento e il minuzioso parallelismo per cui ogni abbraccio è una battaglia. E fare così della guerra un gioco è un modo di ricreare indirettamente il mito della passione (de Rougeamont). Però il mondo delle tattica è reversibile e singolare. “Nel campo della strategia”, dicono i tattici, “un corso d’azione non può persistere indefinitamente. Tenderà ad evolvere nel suo opposto”. I Paladini bevono infatti sempre e a controtempo alle fontane dell’amore e dell’indifferenza. Inoltre in amore e in guerra se si “è colpiti, lo si è in tutt’altro posto di quel che si crede”. Per questo forse il pupo di Orlando è strabico, nello sforzo di parare il colpo che verrà di là dove gli occhi non guardano. D’altra parte, la stessa posizione di forza cambia di segno. “È con la nostra fragilità che seduciamo, mai con poteri o segni forti. È questa fragilità che mettiamo in gioco nella seduzione ed è ciò che le dà tanto potere” (Baudrillard).
Ma c’è il rischio della follia: anzi, “non c’è di follia segno più espresso che voler per amor perder se stesso” (Ariosto). Lo sa il conte Orlando che pure nell’Orlando innamorato aveva affrontato e vinto la Sfinge con la spada, trascurando il libro offertogli da un eremita, in cui erano scritte le risposte alle domande della “fiera diversa”. Orlando sarà furioso non per l’ubris guerriera, ma perché l’amore lo attraversa e lo coglie là dove non si conosce. Preso nel gioco di escalation e di reversibilità della seduzione, il pupo-paladino getta le armi e il senno. Se recupera il senno, come vuole Calvino nel Castello dei destini incrociati, si trasforma nel tarocco dell’Appeso; l’io si incanta, lucidamente impotente.

3.

I pupi però non sono i manichini metafisici alla De Chirico e forse lo strabismo d’Orlando ha un altro senso ancora.
Ammicca ironicamente alla “musa giocosa” del romanzo di cavalleria da Merlino a Turpino5. Le marionette sorridono nell’ironia delle loro citazioni interne, alle esagerazioni della Chanson de Roland, ai pastiche di antichi miti e storie folkloriche.
Chi ha comprato il pupo di Gano, il traditore di Roncisvalle, per fucilarlo, appeso ad un albero siciliano, ha ripetuto il gesto di Don Chisciotte che fa a pezzi le marionette. Per difendere la cavalleria, ha dimenticato che la storia infarcita d’eventi è anche una farsa e che il verso dell’epica cavalleresca è sinonimo di lusus et ludicrus, di divertimento.

4.

Si può sorridere molto seriamante. A differenza dell’Orlando di Virginia Wolf, che gioca come un pupo con la testa di turco appesa alle travi del suo castello, D. H. Lawrence ha sentito nel suo viaggio in Sicilia, l’impulso del grido guerriero dei pupi: “Andiamo, Andiamo”. Lo stesso che spingeva i cavalieri polacchi che liberarono Vienna dall’assedio turco, ad attaccare ali d’angelo alle loro corazze.
Ed ora? Che fare di quest’impulso a dar battaglia in un tempo in cui l’utopia è solo una metafora temporale?
Si è detto ad nauseam che la postmodernità consiste nella fine della narrativa a senso unico: quella della liberazione (il mito della caverna), del romanzo di formazione (cartesiano) e dell’epopea d’emancipazione (illuminista). Resterebbero i piccoli racconti intrecciati in liberi giochi di linguaggio, senza passaggi prescritti e garantiti in anticipo. Resterebbe quella enunciazione ironica che fa accadere il racconto lasciandolo perfettamente incompiuto; la voce ininterrotta dell’interruzione, voce ripresa non per concludere ma per far durare l’inizio.
È quest’arazzo che intrecciano gli scontri e i voli dei pupi?
Non ne sono sicuro. A uno sguardo più attento si vedrà che le corazze dei pupi non sono immacolate come quelle di Agilulfo, il Cavaliere inesistente di Calvino, ma ammaccate come quelle dell’altro suo eroe, Rambaldo. Qualche mischia, singolare e non prefissata ci attende. Anche l’antica morale cavalleresca era così: “il suo fascino era nella esitazione tra numerosi ideali, a volta vicini, a volte opposti” (Curtius).
Ricordo soltanto che in un ristorante di Palermo, davanti ad uno spettacolo di volgare potere, qualcuno si è rivolto a me alzando le mani al cielo, sorridendo: “Viva Carlo Magno”.
È forse la miglior definizione del fantastico: mi sono svegliato è il cavaliere era ancora là.


Note

  1. R. Curtius, “Il faceto e il serio nella letteratura medioevale”, in La letteratura latina e il medioevo europeo. torna al rimando a questa nota
  2. M. M. Boiardo, l’autore dell’Orlando Innamorato, ha scritto i Capitoli del gioco dei Tarocchi, con due sonetti (sulla prima e l’ultima carta) e cinque capitoli di terzine (sulle altre carte); in tutto 78 carte.
    I. Calvino ha scritto, usando i tarocchi, il suo Castello dei destini incrociati; l’avventura principale è quella di Orlando. torna al rimando a questa nota
  3. I. Calvino, Lezioni americane, Garzanti, Milano, 1988. torna al rimando a questa nota
  4. Vedi l’Orlando Innamorato, vol. I., c. 18, 40 e segg. torna al rimando a questa nota
  5. Curtius, op. cit., sull’importanza dello Humor nell’epica cavalleresca. Vedi il § 6, sul comico nell’epopea e le sue tracce dell’epica latina. Ad esempio, Geoffroi de Monmouth comincia la sua Vita Merlini rivolgendosi alla “musa giocosa” di Merlino. torna al rimando a questa nota
Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento