La violenza ha ucciso la disco


Da: Andrea Oliva, Il Resto del Carlino, domenica 16 giugno 2019, p. 3.


Paolo Fabbri: «C’era lo sballo ma la pista esorcizzata i conflitti»

«La colpa non è delle discoteche». Per il semiologo Paolo Fabbri, fratello del mitico patron del Paradiso di Rimini, sono i titolari dei locali le vittime di fenomeni che stanno cambiando il mondo, incluso quello della notte. La logica
conseguenza sono le chiusure legate a episodi di violenza e spaccio che in più occasioni, e non a caso, sono accadute fuori dai locali.
Paolo Fabbri, c’era una volta lo sballo.
«Ricordo che cantavamo ‘Stasera mi butto e faccio di tutto’. Invece è cambiato tutto».
Perché?
«Per due fenomeni convergenti. Il primo è l’aumento della violenza nella vita di tutti i giorni. Quando in passato si diceva sballo, in realtà erano comunque comportamenti che ponevano dei limiti. Oggi invece non vediamo più limiti. Mi spiego meglio. Parto dal mondo del calcio, diventato un esempio per la collettività. Assistiamo a violenze inaudite fuori dagli stadi che nulla hanno a che fare con il tifo o la partita».
Discoteche come stadi?
«Il modello dello scontro è sempre più accentuato e pervade la società riproponendosi con i locali. Fuori dalle discoteche assistiamo a botte e risse. Questo è il primo fattore da tenere presente. Nella società c’è una crescente divisione, anche in base al reddito, e lo scontro aumenta. Le discoteche invece erano un’altra cosa: luoghi per tutti, dove relazionarsi».
E il secondo?
«Il politicamente corretto. Guardiamo a Hollywood, un tempo era il luogo del politicamente scorretto mentre oggi è diventato l’esatto contrario. Si ostenta la correttezza, pensiamo al #metoo. Siamo davanti ad atteggiamenti che a volte sconfinano nel bigotto. I locali si sono trovati schiacciati tra la violenza e politicamente corretto».
I titolari che colpa ne hanno?
«Non darei la colpa a loro, come non demonizzerei questi luoghi. Anzi sono state proprio le discoteche in passato ad avere esorcizzato il conflitto. Non lo accentuavano, ma lo esorcizzavano».
Quindi a suo parere il mondo della notte non ha alcuna responsabilità?
«Gli si può imputare di non avere capito che i tempi cambiavano e servivano nuove soluzioni. Mio fratello Gianni aveva capito che la pista e l’alcol dovevano evolvere, tant’è che parlava di cultura delle discoteche, di moda. Aveva introdotto il ristorante nei locali. Oggi il cibo è diventato più importante del sesso che, al contrario, ha perso la sua forza trasgressiva diventando persino banale. Quello di mio fratello Gianni era un tentativo per uscire dalla ‘dieta alcolica’ delle discoteche».
Le istituzioni si sono tolte dalla discussione sul futuro del divertimento, non le pare?
«Cito la Molo street parade come esempio. Si sono accorti che il modello era rischioso e hanno dovuto virare. Sopravvive la Notte rosa che è molto più all’acqua di rose. Nel periodo del politicamente corretto non è semplice prendere posizione. Così hanno scoperto l’importanza delle attività culturali, puntando su queste e incoraggiandole».
Ma così facendo non si abbandona il mondo del divertimento?
«Lo si lascia a se stesso. Oggi una discussione sul divertimento è difficile da affrontare».

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