Presentazione del primo volume di «Semiotica in nuce»


Da: (con G. Marrone), Semiotica in nuce. Vol. I: I fondamenti e l’epistemologia strutturale, Meltemi Editore, Roma, 2000.


Quando un discorso è condotto dalla sua stessa forza a derivare nell’inattuale, si sottrae a ogni forma di gregarietà e può diventare il luogo, per quanto esiguo, di una affermazione.
(Roland Barthes)

A dispetto della sua continua evoluzione interna, la semiotica appare oggi come una disciplina fortemente inattuale: la sua ragion d’essere esula dal presente, non per mancanza di pertinenza teorica o di efficacia esplicativa, ma per l’insistente e implicita azione di disturbo che essa esercita, appunto, verso ciò che nel presente, agitandosi, si trova a dominare. Quali sono le ragioni di questa nietzschiana inattualità?
Al di là delle motivazioni di politica o di sociologia della cultura, questo accade per una ragione epistemologica facilmente ricostruibile: oggi ci troviamo in una situazione culturale e intellettuale dove si è tornati a credere che da un lato ci sono i fatti (studiati dalla Scienza) e dall’altro i valori (di pertinenza dello Spirito), da un lato la Natura e dall’altro l’Uomo, da un lato la Ragione e dall’altro la Storia. Si professano così due tipi di tendenze teoriche che, a ben guardare, sono due facce della stessa medaglia, due poli di un unico sistema d’idee: da un lato il cognitivismo, che porta avanti un programma di ricerca sostanzialmente naturalistico, dall’altro lo storicismo, che riformula ogni desiderio di conoscenza nei termini del magistero fagocitante dell’esperienza umana. Siamo insomma tornati a una fase del pensiero e della ricerca scientifica di marca pre-husserliana, o, se vogliamo, pre-strutturalista.
Il che tocca da vicino il semiologo poiché – come vedremo – le basi epistemologiche della scienza delle significazioni sono fenomenologiche e strutturaliste, e appaiono dunque del tutto in antitesi con le tendenze oggi dominanti del cognitivismo e dello storicismo. La semiotica, per sua configurazione interna, non può che distinguersi da questa generalissima doppia opzione teorica: se ogni segno è composto da due facce, ognuna delle quali non può fare a meno dell’altra, non possono esserci fatti fisici senza fatti intellettuali, significanti privi di significati, espressioni senza contenuti e viceversa. Il linguaggio non è lo strumento di una semplice mediazione tra oggetto e soggetto, tra essere e pensiero (come spesso s’è pensato all’interno della storia della filosofia); esso è semmai il luogo della loro reciproca costituzione. Detto in altri termini, soggetto e soggetto, senza il linguaggio, non hanno ragion d’essere. Se lo strutturalismo è nato per edificare, a partire da questa idea tanto semplice quanto innovativa, una nuova forma di studio dei fatti umani e sociali, la semiotica ha coltivato l’ambizione di porsi come metodologia di queste scienze strutturali, come strumento di traduzione e di sintesi tra di esse in nome di alcune generali categorie della significazione e della comunicazione.
Il problema è che oggi questa forma di studio appare pressoché dismessa: e molti non ne colgono l’utilità e l’urgenza. Ed eccola ancora, la semiotica, in quel “varco strettissimo” tra metafisica e logica matematica in cui si ritrovava trent’anni fa1, dal quale ha sempre fatto fatica a venir fuori, salvo riuscire talvolta ad ampliarlo e a distendervisi con maggior agio e una qualche possibilità d’azione. Attaccata contemporaneamente sui due fronti del calcolo logico e della speculazione filosofica, la ricerca sulla significazione ha dovuto – e deve ancora – combattere una doppia battaglia, fornendo materia sensibile e sociale alle pure forme intellettuali, ma al tempo stesso segmentando e articolando il mondo dell’esperienza umana e storica. Eccessiva ambizione?
Non crediamo, se – come alcuni filosofi hanno spiegato2 – la vecchia dicotomia ermeneutica tra Spiegare e Comprendere non va più distribuita automaticamente nei due campi antitetici delle Naturwissenschaften e delle Geisteswissenschaften, ma viene più sottilmente articolata all’interno di ognuno dei due: non ci sono da un lato le cause, studiate dalle scienze della natura, e dell’altro le ragioni, studiate dalle scienze dello spirito; non ci sono da un lato i fatti, esaminati da rigorosi sguardi matematizzanti, e dall’altro i segni, esperiti da empatie più o meno condivise; ci sono semmai complesse dialettiche interne, sia alle discipline cosiddette esatte sia a quelle cosiddette umane, tra il momento della spiegazione causale dei fatti e quello della comprensione razionale dei segni. E se per l’ermeneutica, da questo punto di vista, la spiegazione è una mediazione obbligata per giungere a una migliore comprensione del mondo, per la semiotica, al contrario, la comprensione è un semplice effetto di superficie di una più profonda spiegazione dei fatti umani e sociali. Detto in altri termini: laddove per il filosofo l’accostamento al mondo-opera mira a renderne manifesto il senso, e per questo deve in qualche modo analizzarne le forme costitutive, per il semiologo l’analisi del testo-mondo ha lo scopo precipuo di svelarne l’articolazione di base, salvo poi, a cose fatte, metterne meglio in evidenza il senso.
Superando questo genere di dicotomie, la semiotica si configura insomma come un programma di ricerca sul senso (secondo lo slogan: mettere il senso in condizioni di significare) che non sta né dal lato della filosofia meditativa né da quello della scienza rigorosa, né dal lato della pura teoria contemplativa né da quello della semplice applicazione di modelli già dati a oggetti qualunque: essa distribuisce semmai il proprio lavoro su quattro diversi livelli di ricerca, strettamente collegati fra loro.

  1. Al primo di questi livelli il lavoro semiotico è soprattutto analisi empirica di insiemi significanti, incontro concreto con alcuni dati ricchi di senso di cui occorre rendere conto; senza un qualche contatto diretto con il mondo sensibile e significativo, nessuna scienza della significazione sarebbe possibile. Prima ancora di configurarsi come una ipotesi generale sul funzionamento dei linguaggi e della comunicazione, la semiotica fa propria l’esigenza fondamentale di una descrizione di quei linguaggi e di quella comunicazione, e quindi di una valenza pragmatica del lavoro intellettuale.
  2. Una tale analisi empirica, però, per avere reale efficacia esplicativa, ha bisogno di un preciso metodo che permetta di dirigere verso quegli insiemi significanti uno sguardo orientato, una ricognizione che vada alla ricerca di pertinenze prestabilite, che trasformi cioè la primitiva percezione di una qualche presenza del senso in un vero e proprio testo. L’analisi semiotica, da questo punto di vista, è analisi testuale poiché riconfigura i dati sensibili da esaminare in termini di precise forme, ossia di processi e sistemi di significazione. E la nozione di testo, in tal modo, non comprende soltanto i testi propriamente detti, ossia i supporti materiali scritti di cui si occupano i filologi, e nemmeno tutti i prodotti comunicativi di qualsiasi altro linguaggio (gestuale, iconico, musicale etc.), ma, più in generale, qualsiasi porzione di realtà significante che può venire studiata dalla metodologia semiotica, acquisendo quei tratti formali di chiusura, coerenza, coesione, articolazione narrativa, molteplicità di livelli etc. che si riscontrano con maggiore facilità nei testi propriamente detti (ma che, a ben guardare, li eccedono).
  3. Per far ciò, non tutti i metodi vanno bene. Piuttosto che avvicinarsi al testo con modelli fra loro incomparabili o con categorie interpretative eteroclite, è necessario che il metodo usato venga passato al vaglio di una teoria che faccia interagire modelli e categorie, interdefinendoli fra loro. In tal modo, le categorie d’analisi divengono concetti, riorganizzati in un quadro d’insieme che ne controlli non solo il valore esplicativo rispetto al mondo ma anche il rigore teorico in sé: se l’analisi deve essere efficace, è necessario che si fondi su una teoria determinata; tale teoria, però, non viene fondata a priori, ma si basa a sua volta sull’esito di precedenti lavori d’analisi. Il che impedisce qualsiasi forma di distinzione tra momento teorico presunto puro e momento interpretativo che ne consegue più o meno meccanicamente: l’analisi semiotica dei testi, infatti, non è il momento applicativo di un metodo elaborato in precedenza, ma indica la direzione di una teoria a venire. L’analisi, in altre parole, non è fine a se stessa, né tantomeno serve a esibire le derive intellettuali di un’ermeneutica più o meno mascherata. Essa mira semmai alla teoria generale del senso e della significazione: mettendo il senso in condizioni di significare, essa dà luogo a nuove ipotesi teoriche e metodologiche, tracciando la strada per una loro parziale verifica. Da qui un celebre paragone3: come l’etnologo, di fronte alle culture altre, è portato a mettere in discussione se stesso e le proprie categorie interpretative, allo stesso modo il semiologo, di fronte al testo, deve saper abbandonare i propri sguardi stereotipi in nome di più efficaci strumenti di descrizione e di comprensione. Il testo è il “selvaggio” del semiologo: le resistenze che esso gli oppone si trasformano in stimoli per la ricerca ulteriore.
  4. Occorre infine che i concetti, dopo essere stati interdefiniti teoricamente, vengano passati al vaglio di una riflessione filosofica più ampia che ne valuti le conseguenze epistemologiche, esercitando una sorta di controllo al vertice, instaurando cioè una sorta di dialogo con altre forme di riflessione filosofica che s’esercitano sui medesimi campi d’indagine. In questo senso, la semiotica è una filosofia del linguaggio, ma di tipo molto particolare; si tratta, potremmo dire, una filosofia con altri mezzi: non quelli della pura analisi concettuale, ma quelli di una analisi testuale fondata metodologicamente e teoricamente.

Questi quattro livelli della semiotica, ovviamente, non sono separabili tra loro poiché, se pure di natura diversa, fanno parte di un comune progetto di ricerca. La gerarchia fra essi è di tipo logico, non valutativo, e non esclude anzi una necessaria circolarità: laddove l’analisi empirica ha bisogno, oltre che di metodi adeguati, di nozioni teoriche che quei metodi giustifichino, la riflessione epistemologica ha a sua volta bisogno del supporto testuale che la ancori all’empiria. E così via: epistemologia, teoria, metodo e analisi empirica non possono e non devono procedere autonomamente, pena la fallacia esplicativa e la mancanza dì comprensione dei fenomeni posti a oggetto del proprio sapere. Così come, per esempio è del tutto inutile un’ analisi semiotica delle passioni senza una parallela riflessione sui nessi tra ragione, passione e azione, è assolutamente fuorviante una riflessione sulla sensorialità senza alcuni chiarimenti concomitanti circa il tipo di esperienza percettiva a cui ci si sta riferendo, l’immagine del corpo si presuppone o l’idea di cognizione che ne deriva. Uno degli scopi della ricerca semiotica futura è infatti quello di cercare gli anelli mancanti che uniscono e organizzano questi quattro fondamentali livelli4, di occupare gli interstizi e costruire dei ponti tra momenti della ricerca che ancor oggi vengono spesso intesi in modo pericolosamente autonomo.
Da qui l’idea di elaborare una Semiotica in nuce attraverso un’antologia di alcuni dei principali testi fondatori della disciplina. Più che proporre un ennesimo libro introduttivo5 – col rischio di costruire più un anamorfico Manuale Cencelli della ricerca che uno reale strumento didattico per gli studenti -, abbiamo preferito far parlare direttamente i testi, ordinando li per capitoli tematici e accompagnandoli con brevi presentazioni che mettano a fuoco i principali problemi da essi trattati. Uno strumento di lavoro, quindi, non senza una precisa idea della semiotica che implicitamente lo sorregge.
Ci sono infatti – schematizzando – due modi di intendere la semiotica. Il primo è quello di pensarla come un campo di problemi di varia natura, con una qualche tangenza fra loro ma sostanzialmente non traducibili in vista di una comune linea di ricerca: così, intorno al tema generale del linguaggio e della comunicazione si agitano questioni di ineguale complessità e di eterogenea base epistemologica come quelle della cognizione, della comunicazione animale, della semantica linguistica, dei linguaggi iconici, dei mass media etc. Il secondo modo è invece quello di tagliare all’interno di questo campo aperto di questioni una serie e di concetti e di categorie, cercando – come s’è detto – di interdefinirli fra di loro e di orientarli verso un’unica direzione di studio: quella del senso umano e sociale, dunque della sua articolazione in quanto significazione.
Questa antologia intende inscriversi all’interno del secondo orientamento, illustrando i punti chiave di un cammino teorico che ha inizio con la linguistica strutturale di Saussure e di Hjelmslev, è continuata con le ricerche di Jakobson, Lévi-Strauss e Barthes, per approdare alla semiotica generativa di Greimas e della sua scuola. Più che rendere conto degli orientamenti di una specifica corrente semiotica, questo libro vuole però mostrare alcune fasi fondamentali del suo sviluppo teorico, non solo per motivarne la coerenza interna, ma anche e soprattutto per arrivare a rendere conto di alcuni problemi ancora oggi aperti.
La divisione dell’opera in due volumi consegue appunto da questa scelta programmatica.
Il primo volume (che qui si presenta) si occupa, per così dire, del passato prossimo della semiotica, soprattutto in relazione a quel vasto movimento d’idee e di metodi che è stato lo strutturalismo. Suddiviso in cinque grandi capitoli – Sguardi introduttivi, L’epistemologia strutturalista, Analisi poetica e mitologia, Senso e significazione, Dal racconto alla narratività – vi si troveranno i testi dei principali studiosi che hanno messo in relazione una teoria della significazione con il metodo strutturale. Il secondo volume si occuperà invece del futuro anteriore della scienza della significazione, in modo da ricostruire le piste che gli attuali lavori in corso stanno preparando in vista della ricerca ulteriore: in esso si troveranno questioni tuttora aperte quali la teoria dell’enunciazione, il discorso, la figuratività, le passioni, l’estesia.
Tra il primo e il secondo volume si colloca una vera e propria svolta interna alla ricerca semiotica: l’introduzione dei problemi legati al valore, e all’efficacia, all’affettività e alla credenza, alla sensorialità e al corpo ha infatti modificato fortemente la fisionomia di una teoria della significazione, nella direzione di uno studio dei processi semiotici oltre che dei sistemi, del valore performativo dei testi più che rappresentativo, del carattere somatico del semantico più che cognitivo. Una svolta che, a ben guardare, affonda le proprie radici proprio in quel passato prossimo dal quale, volente o nolente, deve prendere le distanze. Non si tratta di un rinfaccio o di un rifiuto: è semmai un’interessata dimostrazione di gratitudine.

Bologna, marzo 2000

P. F. – G. M.


Note

  1. Cfr. Greimas (1970). torna al rimando a questa nota
  2. Cfr. Ricoeur (1990). torna al rimando a questa nota
  3. Cfr. Greimas (1976). torna al rimando a questa nota
  4. Cfr. Fabbri (1998). torna al rimando a questa nota
  5. Dopo una prima fase pionieristica, in cui l’entusiasmo della ricerca sulla significazione ha moltiplicato i libri introduttivi – come i celebri Barthes (1964) e Eco (1975) –, ecco adesso una nuova ondata di testi che propongono sintesi della semiotica, a scopo prevalentemente didattico. Cfr. per es., in lingua italiana, Marsciani-Zinna (1991), Bettetini-Cigada- … – … eds. (1999), Volli et al. (2000). torna al rimando a questa nota
Print Friendly, PDF & Email