Tutti i colori del gatto


A cura di Gian Piero Jacobelli, MIT Technology Review, 6/2015, pp. 28-29.


Ma sì, è proprio vero che in Rete ne succedono di tutti i colori. Le cose vanno e vengono assumendo le infinite sfumature del grigio, del nero, del rosso, e chi più ne ha più ne metta. Non soltanto perché la Rete fertilizza la contemporaneità, nel senso che tutto è a disposizione di tutti, ma anche perché talvolta, contro lo stesso senso comune, fa dialogare il passato con il presente e magari anche il futuro, come insegna il recentissimo e al tempo stesso remotissimo caso di raycat, il “gatto nucleare”, che negli ultimi mesi sta “colorando” sia i siti on-topic, sia quelli off-topic.
Raycat nasce molti anni fa negli Stati Uniti, ma sarebbe più giusto, in questo caso, scrivere in America, con quel tanto di mitico che ancora resta implicito nella frontiera dove maturano gli scenari prossimi e venturi. Siamo agli inizi degli anni Ottanta, quando, mentre si stavano moltiplicando le centrali nucleari, cominciava a porsi urgentemente il problema delle scorie e dei conseguenti depositi nucleari. Il decadimento radioattivo delle scorie nucleari, infatti, risulta assai lento e quindi, per così dire, si proietta in un tempo così lungo da attraversare molte centinaia di generazioni. Così lungo da coinvolgere al limite persone che avranno perso ogni memoria dei siti di stoccaggio e persino dei segni (parole, immagini) con cui le generazioni attuali avrebbero potuto avvertire quelle future dei pericoli celati sotto terra, tanto più insidiosi quanto più invisibili, silenziosi e inodori: insomma, al di fuori di ogni possibile percezione sensoriale, ma non per ciò meno dannose per il corpo di chi si aggirasse nelle vicinanza senza avere più alcuna consapevolezza di questa presenza ostile.
Basta guardarsi indietro di poche migliaia di anni per rendersi conto di quanto poco servirebbero oggi eventuali analoghi avvertimenti che ci pervenissero da civiltà scomparse o anche da quelle, più recenti, di cui siamo in grado di decifrare le iscrizioni, come i Sumeri, i Babilonesi o gli Egizi. Il fatto è che nel corso dei millenni non muta solo il linguaggio, ma anche le visioni del mondo con le connesse attitudini comportamentali, tra cui il senso del rischio, e ovviamente mutano le tecnologie che del rischio costituiscono la causa, ma almeno in questo caso potrebbero costituire anche un rimedio.

Tecnologia e semiotica

Progressivamente consapevole di questo crescente problema, nel 1981 il Dipartimento della Energia degli USA convocò un gruppo di esperti (ingegneri, archeologi, linguisti) per discutere come fosse possibile comunicare con il futuro lontano, di cui sarebbe stato troppo difficile ipotizzare i cambiamenti sia sul piano antropologico, sia su quello ambientale. Il gruppo di esperti precisò che il messaggio affidato alla bottiglia nel mare magnum dei millenni avrebbe dovuto consistere tanto in segni fisici, quanto in tradizioni orali che fossero in grado di passare di generazione in generazione fino alle più remote e diverse, mantenendo il loro valore deterrente.
Del gruppo di esperti faceva parte il grande linguista e semiologo Thomas Sebeok, scomparso nel 2001, che si espresse a favore della opportunità di creare una sorta di “rituale” relativo ai depositi in questione e capace di “tenere lontana” la gente del luogo. Nel 1984 la rivista tedesca “Zeitschrift für Semiotik” pubblicò una dozzina di risposte alle provocazioni di Sebeok, a cavallo tra il concreto, il bizzarro e il fantastico, tra cui anche quella dello stesso Sebeok, il quale ipotizzava la creazione di una sorta di “chiesa del nucleare”, con i suoi sacerdoti e i suoi rituali. Ma la risposta più curiosa, che, evidentemente non a caso, è rimbalzata sino a oggi, trovando una risonanza davvero virale nella Rete, è quella di due allora giovani semiologi, la francese Françoise Bastide e l’italiano Paolo Fabbri, che inventarono il cosiddetto raycat, il gatto radioattivo, una creatura mutante che cambia colore in presenza di radiazioni, come un contatore Geiger animato. Il testo di Bastide e Fabbri è stato ripreso nello stesso 1984 dalla rivista parigina “Change International”.
Invenzione semiotica e letteraria, destinata a diventare proverbiale e ad aggregare intorno a sé filiere proverbiali e folkloristiche, il gatto radioattivo è rimasto latente per qualche decennio sino a riesplodere quest’anno in maniera del tutto inaspettata, a seguito di un articolo apparso su “The Atlantic”, la celebre rivista bostoniana, e subito ripreso da periodici e quotidiani. A una canzone composta dall’artista americano Chad Matheny* ha poi fatto seguito un documentario realizzato da Benjamin Huguet e Debanjan Nandy, in cui il giornalista americano Matthew Kielt intervista Paolo Fabbri. Né poteva mancare una fiorente offerta in Rete di merchandising, che conferisce una concreta attendibilità alle argomentazioni di Bastide e Fabbri sulla viralità dei simboli. Insomma, ci ha pensato la Rete a fungere da cartina di tornasole per le tante proposte di oltre trent’anni fa, selezionando la più creativa e incisiva, che tra l’altro ha nel frattempo acquisito anche una sua credibilità e forse fattibilità scientifica, dal momento che le recenti tecniche di ingegneria genetica rendono più plausibile la ipotesi di un gatto che possa cambiare colore quando passa in prossimità di radiazioni nucleari.

Ma l’obsolescenza mediatica?

Se mai, in conclusione, dopo avere dato molti colpi al cerchio del successo mediatico, vorremmo darne uno alla botte della obsolescenza digitale. Se infatti, in certa misura e con le cautele del caso, possiamo confidare che i progressi tecnologici riescano a colmare il divario tra le nostre preoccupazioni e le nostre aspettative, con le prospettive della comunicazione pubblica si procede su un terreno ancora più incerto e insidioso. In effetti, il sistema mediatico tende a distruggere i suoi miti così in fretta come in fretta li crea. Proprio nella misura in cui ray cat ha fatto irruzione nel mondo della Rete, ci si può chiedere se la sua diffusione attuale, e quindi la possibilità di perpetuarsi in un futuro lontano, non sia destinata a venire rapidamente rimossa dalla frenesia dell’agenda setting. Ai posteri – è proprio il caso di dirlo – l’ardua sentenza!


Don’t Change Color, Kitty
Chad MathenyDon’t change color, kitty.
Keep your color, kitty.
Stay that pretty gray.
Don’t change color, kitty.
Keep your color, kitty.
Keep sickness away.
Don’t change color, kitty.
Keep your color, kitty.
Please, ‘cause if you do,
or glow your luminescent eyes
we’re all gonna have to move.

Don’t change color, kitty.
Keep your color, kitty.
Stay that pretty gold.
Don’t change color, kitty.
Keep your color,
and we’ll keep you from the cold.
Don’t change color, kitty.
Keep your color, ‘cause
we need your kind around.
But the minute you change your looks,
we’re bringing you with us out of town.

Don’t change color, kitty.
Keep your color, kitty.
No, I don’t know why.
Don’t change color, kitty.
Keep your color, kitty.
God said it’s not right.
So don’t change color
or flash your eyes.
Lord knows if you do,
I hope you think it’s cozy in your travel case,
because it’s time to move.

Don’t change color, kitty.
Keep your color, kitty.
Stay that midnight black.
The radiation that the change implies
can kill, and that’s a fact.
The radiation, whatever that is,
is something we don’t want,
‘cause it withers our crops
and it burns our skin
and it turns our livestock gaunt.

So don’t change color, little kitty.
Don’t flash your eyes.

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