E l’Italia si riflette negli specchi di Talleyrand


Articolo di Emilio Tadini, Corriere della Sera, 23 Febbraio 1994, p. 29.


Il restauro dell’Hotel de Gallifet, sede dell’istituto italiano di cultura in Francia: un esempio isolato nella crisi generale delle nostre rappresentanze culturali

Sede, a Parigi, dell’Istituto italiano di cultura, l’Hotel de Gallifet, di proprietà dello stato italiano fin dal 1909, è uno dei più bei palazzi del Faubourg Saint Germain. In questi giorni è stato festeggiato il compimento del suo restauro, promosso e sostenuto dal ministero degli Esteri, dall’ambasciatore italiano a Parigi, Guidobono Cavalchini, e da Paolo Fabbri, attuale direttore dell’istituto. Il restauro è stato progettato e diretto dall’architetto Italo Rota, conosciuto a Parigi per aver già lavorato, tra l’altro, a ripristinare le 39 sale del Louvre. Uno dei punti centrali del restauro è la sistemazione della grande sala degli specchi. Talleyrand, che ha abitato e lavorato qui durante tutta la sua interminabile carriera di ministro degli Esteri della Rivoluzione prima, poi di Napoleone e infine della Restaurazione borbonica, usava la sala per le grandi feste. Ma non erano soltanto feste. Erano cerimonie, vere e proprie cerimonie di stato. I personaggi che ricoprivano le cariche più alte si esibivano in questa sala, insieme alle loro donne, come su un grande palcoscenico. Recitavano una specie di “mistero” laico. Portavano abiti lussuosi, complessi, elaborati. Abiti di scena, si potrebbe dire. Tutto un codice d’abbigliamento, e ben preciso – tutta una trama di significati… E, alle pareti, le grandi specchiere rimandavano l’immagine di quella cerimonia, di quel rito. E ne facevano parte, naturalmente. Ne erano un elemento essenziale. Perché funzionavano come una macchina per figure che garantisse la solennità dello spettacolo – che, scorporandolo, con quella specie di formula visiva di consacrazione già lo preservasse, per così dire, nella dimensione immateriale del senso. Quando, con la restaurazione, i vecchi proprietari, i Gallifet, tornarono in possesso del palazzo, la sala, così com’era, si trovò probabilmente a non soddisfare le loro tranquille aspirazioni borghesi. Fu divisa in due – e molti specchi furono coperti da stucchi. Il restauro di Rota ha ristabilito la sala nella sua forma originaria, ha riportato alla luce le grandi specchiere. È un’indicazione delle funzioni cui la sala deve rispondere nella vita dell’istituto. Questo è ancora un palcoscenico per cerimonie sociali – anche se molto diverse da quelle che vi andavano in scena una volta. Non più feste simili a parate, nella “piazza d’armi” di un salone pieno di specchi. Riunioni culturali, adesso, incontri, discussioni. Non i riti di una società che esibiva splendidamente la struttura rappresentativa della gerarchia del potere, ma quelli di una società che nella produzione della cultura – per sua natura critica – dovrebbe trovare, o almeno dovrebbe proporsi di cercare, la figura sfuggente del proprio senso. Gli istituti italiani di cultura nelle varie capitali andrebbero potenziati, questo è certo. Potrebbero costituire una formidabile rete di rappresentanza dei nostri illimitati “beni culturali”. E servirebbero non solo a far conoscere la nostra cultura attuale, ma anche a metterla in relazione con le altre culture. Paolo Fabbri, l’attuale direttore dell’Istituto di Parigi, continuando il lavoro del suo predecessore, Fernando Caruso, ha fatto diventare l’Hotel de Gallifet uno dei luoghi della vita culturale della città. A Parigi, Fabbri, già conosciuto per la sua attività di semiologo, è considerato anche un organizzatore capace di dare un senso concreto a una espressione burocratica come “scambi culturali”. Evoca molti ricordi, questo palazzo. Napoleone e Madame de Stael, riflessi in questi specchi, qui si sono incontrati e scontrati. È successo durante una festa sontuosa data da Talleyrand in onore di Napoleone – appena tornato dalla trionfale campagna d’Italia. Madame de Stael si era proposta di conquistare l’eroe della Repubblica. Evidentemente, ne aveva intuito il formidabile futuro – e sperava di condividerlo. Quella sera mise in atto tutte le sue doti, parlò e parlò, ostentò la propria cultura straordinaria, il proprio ineguagliabile spirito. Ma con tale euforica sicurezza che il guerriero, a quanto pare, ne rimase terrorizzato. Così , quando Madame De Stael, sicura del proprio successo, piazzò la botta finale e gli chiese quale tipo di donna preferisse, Napoleone Bonaparte, brusco, addirittura brutale, le rispose: “Quella che fa più figli, signora!”. Nemici, da allora. Per sempre.

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