Le maschere del mistero


Anna Maria Mori, la Repubblica, 6 novembre 1995.


PARIGI – Come sarà il passaggio dall’Istituto italiano di cultura di Parigi, al Mystfest di Cattolica? La domanda è a Paolo Fabbri, professore di semiotica, amico fraterno di Umberto Eco, appassionato erudito come il suo amico ma più pigro di lui nello scrivere, allegramente infaticabile, sempre, nell’inventarsi giochi, che qualche volta hanno a che vedere solo con le parole (chi cita di più e meglio, chi ricorda il tale passaggio del tale libro o film, e via conversando), spesso anche con iniziative in vario modo culturali, e si va dal tradizionale convegno, al meno tradizionale ballo in abito da sera, per esempio per festeggiare la Liberazione.
Dal 12 aprile del prossimo 1996, Paolo Fabbri lascerà l’Istituto di cultura italiano di Parigi, e si trasferirà a Cattolica come nuovo responsabile del suo festival quasi-storico dedicato al giallo e al mistero, succedendo a Gian Piero Brunetta: “Sarà piacevole”, ride, e spiega, “intanto per il cambio di ruolo: da direttore che ero all’Istituto, divento ‘curatore’… Esco dalla direzione e dalle direttive; entro nella dimensione, più piacevole, e a me congeniale, della ‘cura ‘e della curiosità”. Sì, ma partendo da quali premesse, e conoscenze: qual è il suo rapporto con il cinema? “Sono uno spettatore”, risponde. E ribadisce: “Non un ‘aficionado’, ma uno spettatore. E, come tale, rivendico il diritto e il piacere di non essere un tecnico: rispetto al cinema ho forse meno conoscenze, ma più desideri”. Forse meno ‘serietà’ nella sua accezione di ‘seriosità’, e più volontà e capacità di giocare: per esempio, racconta, “la prima edizione del ‘mio’ Mystfest avrà a che vedere con la Maschera e le maschere… Ma l’idea mi è venuta proprio dalla mia appartenenza al popolo degli spettatori: quando mi hanno detto ‘cinema’, il Festival del cinema di Cattolica, la prima associazione mentale è stata quella con la ‘maschera’ che, quando vado al cinema, da spettatore appunto, mi accompagna al mio posto”.
Così, eccolo, il Mystfest del 1996, ‘curato’ da Paolo Fabbri: “Dall’idea delle maschere, sono arrivato dritto dritto alle spie: sono affascinato dal fatto che nei romanzi di spionaggio la spia è mascherata ‘nell’evidenza’, voglio dire che la faccia della spia è il viso banale di un uomo che deve somigliare il più possibile a un uomo qualunque”. Presentazione ufficiale del nuovo comitato consultivo del Festival del giallo e del mistero di Cattolica: hanno già detto di sì Alberto Abruzzese, Giorgio Celli, Vincenzo Mollica, Furio Colombo (“nel suo ruolo, poco o niente conosciuto, di autore di romanzi di spie, che lui scrive e pubblica sotto uno pseudonimo che non sono autorizzato a rivelare”) , e poi Dominique Paini, direttore della Cinémathéque francese, Daniel Soutif direttore del dipartimento cultura del Beaubourg, l’argentino Eliseo Veron, Vassili Vassilikos scrittore e sceneggiatore greco, autore di ‘Zeta, l’orgia del potere’. Mentre sono entrati a far parte del comitato di consulenza cinematografica del Festival, Claudio Carabba e Antonio Costa, cui si aggiungeranno in seguito altri ‘esperti’: “Quelli che dovranno andare in giro a pescare i film del concorso, che vorrei non fossero più di dieci all’anno”.
Ancora pensieri-progetti del suo ‘curatore’, sul Mystfest 96: “Si parlerà di musica. Parto dall’idea che senza la musica non ci sarebbero i gialli: il ‘giallo’ è jazz, così voglio mettere un’orchestra jazz che suonerà in piazza tutte le sere, per tutta la durata del festival. Vorrei anche che a Cattolica arrivasse il mio amico Nanni Balestrini, le cui vere specialità e passioni, non sono né la politica, né la cultura, a differenza di quel che si può credere: è, bensì, la cucina. Nanni Balestrini porterà al Mystfest la sua ‘cucina gialla’: lavorerà due serate in cui offrirà al pubblico le ricette ricavate da Nero Wolfe, Maigret e Montalban”. Fabbri: permette che le si chieda se e quanto è preparato ad avere delle critiche, dai critici di cinema? Premette: “A questo proposito, parlo davvero seriamente”. Poi risponde: “Mi assumo la responsabilità di dire pubblicamente che bisogna smetterla di pensare il cinema in termini di critica e di crisi: due concetti etimologicamente uguali. Sono convinto del fatto che bisogna rapportarsi ai testi cinematografici con forme e discorsi diversi: il discorso della critica cinematografica non può, e non deve essere unicamente il discorso dei critici”. E non contento, aggiunge, ridendo: “I critici credono di affrontare la crisi, e invece la producono: nel saggio critico analitico, che è il loro, viene ucciso definitivamente il piacere del testo, vale a dire del film. Del resto, non sono io a scoprirlo: l’aveva già scritto Roland Barthes nel suo ‘Critique et veritè’, ed era il 1966”.

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