I segni tornano. Come vento, come onda


Da: L’Unità, 10 febbraio 2002, p. 28.


Gli scritti di de Saussure sono stati scoperti nel ’96 in un hotel di Ginevra: ora formano gli «Écrits de linguistique générale»
Esce in Francia un libro che raccoglie gli appunti inediti dell’inventore della semiologia

Ho pensato a Ermes de Marana, il falsario che mette in moto tutte le storie di Una notte d’inverno un viaggiatore. Così calviniana m’è parsa la scoperta nel 1996, nell’Hotel Saussure a Ginevra, d’una risma di manoscritti del rifondatore della linguistica generale e inventore della Semiologia. Si sapeva che Ferdinand de Saussure era uomo di pochi scritti e che il celebre Corso di linguistica generale era stato redatto, nel 1916, da C. Bally e A. Sechehaye a partire dagli appunti dei suoi studenti. Tullio De Mauro ce ne ha dato un’edizione italiana accuratissima. Nel ’57, R. Gödel apriva però l’era delle ricerche esegetiche, pubblicando alcune fonti manoscritte e dieci anni dopo, R. Engler aveva raccolto tutte le note di studenti e i testi autografi disponibili, per una nuova edizione critica del Corso. Starobinski aveva pubblicato poi un singolare scritto sugli anagrammi. Ma ecco la scoperta dei nuovi manoscritti, scrupolosamente curati da S. Bouquet e da R. Engler nel nuovo volume Écrits de linguistique générale, presso Gallimard. Il mosaico degli appunti è ordinato con molta acribia in quattro parti:

  1. Sulla doppia essenza del linguaggio,
  2. Item e aforismi,
  3. Altri scritti di linguistica generale,
  4. Note preparatorie per i corsi di linguistica generale.

Insomma non era un imbroglio ma un brogliaccio, ora accessibile in rete sul sito dell’Istituto F. de Saussure: www.institut-saussure.org. Nell’asciutta introduzione si fa cenno ad una successiva pubblicazione di Leçons de Linguistique génerale. E si sottolinea la novità d’alcuni snodi del pensiero di Saussure, nell’incompiuta redazione della sua scoperta. Qui non è il caso di reiterare i termini della rottura epistemologica che ha rifondato la scienza dei linguaggi. Anche in una recente introduzione, a fumetti, allo studio dei mass media, un capitolo era dedicato all’arbitrario dei segni, alla loro apprensione sincronica, all’opposizione tra lingua e parola, all’articolazione bifacciale di significante e significato. La parola saussuriana, pur nella redazione altrui, ha impregnato – non senza equivoci e resistenze – la nostra cultura linguistica, discorsiva, testuale. Nelle pagine di questo libro, troviamo le tracce d’un pensiero nel suo farsi, le sue inflessioni e le accentuazioni nel divenire della scoperta. Il segno non è un’unità e uno stato, ma una «operazione» di correlazione tra una faccia espressiva variamente denominata (segno, sema, significante) e una faccia significata. Non solo, ma le due facce sono anch’esse fatte di differenze e di rapporti. I linguaggi sono luoghi del valore, nel senso matematico del termine: correlazioni di correlazioni. Di questo filone concettuale, il dibattito successivo ha trattato i materiali preziosi e le scorie. Una scoperta si comprende sempre a ritroso, ad una svolta dei suoi effetti: lo strutturalismo. Con gli effetti ben noti nel mondo del simbolico, dalla filosofia alla antropologia, dalla linguistica alla psicanalisi. Ma i sociologi della scienza giubileranno nel mostrare come le scoperte procedono tra dubbi e reticenze, anticipazioni e ripensamenti. Saussure fonda la linguistica generale sulle ricerche ottocentesche della grammatica comparativa, sulla semantica inaugurata da Bréal alla fine del secolo. Ne esplicita e generalizza il saper fare: è un gigante sorretto da tanti, operosissimi nani. Procede a tentoni, moltiplica e saggia la terminologia e prova nuove metafore. Chi ha letto il primo Corso sarà sorpreso che la semiotica avrebbe potuto chiamarsi «segnologia», ma che ragioni di pronuncia l’hanno sconsigliato. Che il termine «significante», per definire la faccia espressiva del segno, s’é affermato poco a poco. Prima il raccordo era tra segno e significato e di questa variazione c’è chi non si è ancora accorto! Quanto alle metafore, Saussure, in questi scritti sembra rifiutare la lingua come gioco di scacchi («i pezzi dice non sono smontabili, scrive, le parole sì»), ma oltre a quelle del segno come foglio a doppia, inscindibile facciata o all’onda come intersezione tra vento e mare, ne aggiunge altre: il segno come aerostato, motivo musicale, rotta di nave. Così forse è ogni scoperta: quando si tenta di dire quanto è nascosto nelle e dalle nostre stesse parole, il non detto si scioglie un grappolo di metafore. C’è del nuovo o si tratta soltanto di conferme? I curatori ci assicurano che gli Écrits sono più interessati del Corso all’epistemologia e alla filosofia del linguaggio, alla retorica e alla stilistica. E che la semiotica è piuttosto marginale nel progetto. Retorica a parte – Saussure non trovava pertinenti le differenze tra linguaggio proprio e figurato – mi sembra invece che il rovello porti sulla metodologia («l’enormità del lavoro per mostrare al linguista quel che fa»), che troviamo implicita nella sua Memoria sulla «a» indoeuropea. E soprattutto la fondazione di una scienza generale della significazione di cui la lingua sarebbe un settore specialistico. Di questa «segnologia» – che richiederebbe «induzione e divinazione» – gli esempi addotti sono pochi: scritture, forme di saluti, segnali militari, ecc., ma forse era questo il punto, postulato e non svolto, che sconsigliava Saussure dalla pubblicazione (e perché non sperare in nuovi appunti!). Gli equivoci semiotici sono antologia, ma al di là di questa scoperta non si torna. Ci sembra che gli Écrits confermino la presentazione della scienza dei linguaggi come un’antropologia collettiva e sociale («la langue è anima della massa parlante»), una scienza umana delle culture, a buona distanza da spiegazioni naturalistiche e dalle logiche formali («tutto ciò che sta nel sentimento dei soggetti parlanti è fenomeno reale»). Riletta, ai tempi della teoria dell’informazione come studio di codici, oggi la semiotica ha cambiato rotta. È studio degli atti linguistici e semiotici, delle passioni e delle pratiche enunciative, della narratività e discorsività sociale. Se manteniamo il capo, vedrete che Saussure, padre frammentario, ci segue come guida.

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