Appunti per una semiotica delle passioni


Da: (con Marina Sbisà), Aut-Aut, n. 208, luglio-agosto 1985.


1. È nostra intenzione in questa sede tentare di delineare un tipo di obiettivo teorico – la costruzione di una semiotica delle passioni – e alcuni degli strumenti atti a perseguirlo. Non affronteremo perciò le passioni come tema storico-filosofico, non riprenderemo né commenteremo tipologie e fisionomie passionali proposte in sede filosofica o in altre sedi disciplinari: benché naturalmente fare queste cose abbia un’utilità, che volentieri riconosciamo, nei confronti dello sviluppo di un discorso teorico-passionale contemporaneo. E anche in ciò che intendiamo trattare, non abbiamo la pretesa di essere esaustivi (d’altra parte, nessuna sistemazione complessiva del campo passionale ne prefigura, per ora, una trattazione esaustiva). Vorremmo soprattutto dare indicazioni, segnalare punti di partenza e possibili linee di sviluppo.

1.1. L’esigenza di una semiotica delle passioni ha una duplice fonte. In un primo senso si tratta, semplicemente, di un nuovo modo di manifestarsi dell’esigenza ricorrente di rendere le passioni oggetto di teoria. Che questo modo si autodefinisca oggi come semiotico è a nostro avviso un caso particolare di una congiuntura storico-culturale più ampia, nel cui ambito il riferimento a dimensioni linguistiche e semiotiche s’è reso parte integrante del fare filosofia. Non vorremmo interpretare questa congiuntura come una tendenza della filosofia a farsi più operativa, più tecnica; ci sembra invece il caso di attirare l’attenzione sul sempre maggiore contatto che s’è prodotto, su scala planetaria, fra le lingue e culture occidentali e tante lingue e culture diverse: contatto che non poteva non rivelare l’attaccamento del modo tradizionale di fare filosofia alle caratteristiche di singole lingue, rendendolo impraticabile. Lo sforzo posto dal nostro secolo sugli studi semio-linguistici ha indubbiamente a che fare con questa vicenda di svolta, di “conversione”, delle energie e dei bisogni filosofici; e l’elaborazione di strumenti tecnici, operativi, è in questo quadro motivata dal tentativo di ottenere generalizzazioni, che non siano mere estrapolazioni arbitrarie.
Inversamente, è proprio il recente sviluppo della teoria del linguaggio ad aver bisogno, per potersi estendere adeguatamente alle dimensioni strategiche e manipolatorie dell’uso linguistico, di definizioni teoriche ed esplorazioni analitiche del campo della passionalità. Come Fontanier, in un momento d’eclissi del discorso teorico-passionale, abbandonava l’esplorazione retorica delle “figure di passione” dicendosi scoraggiato dal troppo vasto compito di definire e classificare l’universo passionale1, così oggi appare indispensabile intraprendere di nuovo e con gli strumenti che oggi possediamo – quasi raccattando, una bandiera caduta – il tipo d’impresa teorica già proposto a più riprese, e in particolare sviluppatasi nei secoli XVII e XVIII, dal discorso filosofico sulle passioni. Così, è dall’interno stesso del campo semio-linguistico che si determina un’esigenza di teoria delle passioni, tale da confluire con gli stimoli e gli interessi ereditati dalla filosofia tradizionale.
Uno dei modi in cui quest’esigenza teorico-passionale interna alle discipline semiotiche può sorgere, è l’apparire “imbarazzante”, nel quadro di comportamenti altresì interpretabili in base a codici, a regole, di uno “scoppio” passionale. L’analista dovrà forse riconoscere nello “scoppiare” della passione un limite al proprio operare, lo scacco dei suoi strumenti d’analisi? Quasi, una zona di “irrazionalità” che sfugge ora e sempre agli approcci di un metodo, alle griglie dei codici? Oppure si tratta di una sfida, rispondere alla quale richiede uno spostamento del problema, l’invenzione di un nuovo tipo di approccio, d’un altro livello d’analisi, così da poter dare una descrizione semiotica di ciò che accade, non a livello dei codici e delle regole il cui funzionamento appare perturbato, ma in modo più astratto?
Meno drammaticamente, ci si trova davanti al problema delle passioni anche quando ci si accorge che la progettazione-esecuzione di una manovra di manipolazione, di un tentativo di far fare qualcosa a qualcuno, non ne comporta automaticamente la riuscita (è stato questo uno degli stimoli che ha richiesto il passaggio della ricerca greimasiana, dopo la formulazione d’una semiotica della manipolazione, alla semiotica delle passioni). Nessuna tattica per far-fare ha mai riuscita automatica; il fare fattitivo ha una tappa intermedia, un far-essere, riguardante appunto l’essere del ricevente dell’azione, del soggetto preso di mira (il paziente), e che contiene un’incognita – appunto, la prospettiva del ricevente, la passione.
Lo stesso problema sorge in modo insieme più limitato e più specifico nella teoria degli atti linguistici, in relazione alla distinzione fra illocuzione e perlocuzione. Se quest’ultima – l’effettiva reazione o risposta dell’interlocutore – non ha da rimanere nel campo dell’inanalizzabile, un campo di residui di ciò che sfugge alla descrizione pragmalinguistica, è necessario che una teoria delle passioni si affianchi in modo complementare e persino teoreticamente prioritario alla teoria dell’azione. Contemporaneamente, il confronto con l’idea (tipica della teoria degli atti linguistici) che ogni atto linguistico abbia in sé una pluralità di livelli, suggerisce anche un’articolazione più complessa (perlomeno duplice) del fattore passionale nell’interazione verbale. Una volta che si sia capito in qualche modo il procedere dell’altro, la risposta che vi sarà data non è ancora determinata: ma data la stessa comprensione, non sono ancora decisi l’orientamento della risposta (allineamento, contrapposizione ai – supposti – scopi dell’altro), gli scopi di questa, né la strategia scelta per rispondere, il modo della risposta (che potrà corrispondere a diversi stili espressivi, a diverse adesioni valutative, a diversi stili d’azione). Inoltre, il, fattore passionale sembra agire, anche a un livello più fondamentale, a monte del capire. Non v’è mera comprensione: a un’indagine più consapevole dei fattori microsociologici (fra l’etologico e lo strategico) che sono all’opera in ogni interazione, la ricezione del significato e della forza dei un atto linguistico si mostra intessuta di passionalità. Come altro dovremmo chiamare infatti il fidarsi o il diffidare, la lealtà o la slealtà nei confronti dell’altro, la volontà di far prevalere un proprio progetto e l’intendere le mosse dell’altro in relazione a questo, l’atteggiamento di gioco o il burlarsi di qualcuno, l’impaccio e l’imbarazzo di sentirsi non accettati (o di non riuscire ad accettare), la paura d’un pericolo e la rapida reazione ai segnali d’allarme?
A seconda di quale posizione passionale è quella in cui un ricevente si situa, sarà diversamente propenso a intendere l’agire (e l’agire linguistico) dell’altro: lo prenderà alla lettera o in sensi più o meno traslati, lo prenderà sul serio o alla leggera, come avvisaglia d’uno scoppio d’ostilità o come normale amministrazione… Passione ed effetto di senso si toccano, e così la passione può trascinare con sé sia la competenza modale del soggetto (il suo potere, dovere, sapere, e insieme e al di là di questi il suo volere), gli scopi, le strategie, lo stile della sua risposta attiva, sia anche il significato complessivo dell’azione patita.

1.2. Continuando con altri mezzi il gesto della filosofia, dove punta la semiotica delle passioni che qui cerchiamo di delineare?
Oltre che un mutamento strumentale, tecnico, rispetto a più tradizionali impostazioni speculative, è in gioco anche lo svincolamento del discorso teorico-passionale dalla morsa, banale ma sempre opprimente, del “razionale” (“-ismo”) e dell’ “irrazionale” (“-ismo”). Come abbiamo già accennato, non sempre la presenza dei fattori passionali in un testo e/o in un’interazione si manifesta come una perturbazione più o meno “irrazionale”; anzi, la passione si rivela presupposto, ingrediente, effetto ineliminabile di “razionali” comportamenti strategici. La passione sembra essere qualcosa che tanto il calcolo strategico, quanto lo scoppio appassionato hanno in comune, e una teoria semiotica dovrà appunto distinguere il “discorso delle passioni” dal “discorso appassionato” perturbato dalle passioni2, fornendo tuttavia i mezzi per analizzare ambedue.
Certo, così non si fugano definitivamente né il sospetto di razionalismo semplificatore, né quello d’irrazionalismo serpeggiante, che la costruzione di una semiotica delle passioni deve senz’altro reincontrare a diverse tappe, in corrispondenza a ulteriori difficoltà d’analisi e/o di scelta metodologica. L’individuazione, di cui abbiamo sopra parlato, d’un (complesso) elemento “passione” fra un’azione/atto linguistico e la ricezione/risposta che questo riceve non è infatti che una mossa iniziale, del tutto insufficiente. E, volendo svilupparla, ci basterà creare connessioni ad hoc, ciascuna valida in un singolo caso, in un singolo contesto d’analisi? O si ambisce ad andare più oltre, a dare analisi che risultino applicabili non in modo sporadico, ma secondo criteri generalizzabili? Una serie di soluzioni ad hoc, non sono ancora semiotica. Ma d’altra parte non è facile, bisogna ammetterlo, far quadrare l’esigenza di una dimensione sistematica, generalizzabile, con la viva e mutevole realtà delle interazioni e dei testi, dei contesti sia informali che istituzionali e delle variazioni culturali (in senso storico o antropologico). Non è facile perché si può incappare nell’antico errore di far assurgere un’analisi linguisticamente e culturalmente limitata (come può essere a esempio un’analisi lessicologica e iconologica) a sistemazione implicitamente normativa e universalmente valida del campo passionale. Ci si può così trovare a far violenza ai propri testi, a imporvi una ragione loro estranea, artificiosa.
Noi sosteniamo comunque, vorremmo ribadirlo, che la semiotica può uscire da queste strettoie: purché non limiti la sua analisi alle superfici dei testi, e si volga invece a cogliere le dimensioni semantiche sottostanti alle singole realizzazioni (linguistiche, figurative, letterarie, ideologiche…) dei sistemi passionali o di loro frammenti. Un’indagine semiotica correttamente impostata mira ai principi di costruzione che governano tali sistemi, che – al limite – governerebbero qualunque sistema passionale possibile o, per metterla in termini più empirici: che permetterebbero d’analizzare, relativamente ai suoi fattori passionali, qualunque processo di significazione. Perché anche a questo livello dei principi di costruzione non si ricrei il problema di una chiusura, di una normatività coercitiva (e tale da impoverire l’oggetto che pretende di governare), bisogna chiarire che l’individuazione, la formulazione di questi principi ha più a che fare con l’apertura di campi di. possibilità descrittive, ciascuno con la sua strumentazioni adeguata (sempre modificabile in seguito all’impatto con nuovi testi), che con regole, codici e tassonomie.
La semiotica delle passioni non è dunque un tentativo “razionalistico” di dominare, schedandolo, un campo tradizionalmente “irrazionale”; ma non è neppure apologia di un pathos indifferenziato. Nel sottolineare la rilevanza del fattore passionale nei testi e nelle interazioni non vogliamo sminuire il pensiero (non sceglieremmo, per il pensiero, metafore di debolezza o indebolimento: ci attraggono piuttosto immagini di agilità, di duttilità, e – perché no? – di passionalità forte del pensiero stesso)3. Semmai, vorremmo istituire, rilevare, una relazione (passionale) di sfida fra le passioni e il pensiero; rispondervi (magari con una teoria semiotica debitamente astratta e adeguata) sarà la forza (passionale?) del pensiero, correlativa alla forza passionale della sfida che ve lo costringe e che tuttavia, proprio se la teoria è adeguata, non ne sarà né banalizzata né esaurita.

2. Due movimenti concorrono a costruire, come per ogni altra questione semiotica, una semiotica delle passioni: da un lato l’analisi di testi, dall’altro la precisazione dei concetti teorici che costituiscono gli strumenti dell’analisi e ne sorreggono la metodologia.
Il rapporto fra questi due livelli di ricerca non è semplice: non si tratta di elaborare concetti teorici per poi “applicarli”, né di estrapolare regolarità empiriche dalle superfici dei testi, ma di guardare ai testi cercando di individuarvi strutture più astratte, dinamiche generalizzabili, e/o elaborare concetti tali da prefigurare possibilità dell’analisi testuale. Solo in questo continuo interscambio la semiotica delle passioni può non cristallizzarsi, deteriorandosi, in liste, tassonomie, o sistemi di segni irrigiditi.
In questo rapporto complesso si può d’altronde meglio comprendere una funzione del riferimento alla storia della filosofia nella semiotica delle passioni. Non tutti i testi che si possono prendere in considerazione ai fini di un’analisi semiotico-passionale sono situati a un pari grado di elaborazione, di esplicitezza, nei confronti del discorso delle/sulle passioni che vi si esprime. Di fronte all’apparente opacità dei testi quotidiani e al sottile artificio di testi letterari, da cui per motivi diversi può riuscire difficile enucleare categorie teoriche astratte e generalizzabili, i dibattiti filosofici sulle passioni – fornendo definizioni di nozioni passionali, descrizioni delle loro dinamiche e così via – costituiscono una sorta di semi-lavorato in cui alcune strutture di rilevanza semiotica già si presentano parzialmente esplicitate. Perciò lo sviluppo di una contemporanea teoria delle passioni trova un aiuto importante, non solo nel riferimento agli intenti e ai progetti manifestati (e anche lasciati cadere) dalla precedente riflessione filosofica, ma anche nella considerazione approfondita dei contenuti da essa proposti al discorso teorico-passionale4. E ciò vale, beninteso, anche per tutte le descrizioni e definizioni passionali elaborate non più in ambito strettamente filosofico, ma in scienze umane comunque distinte dalla semiotica5.
In questa sede, non daremo alcuna ricognizione di questa base nozionale e testuale tanto ampia e disciplinarmente varia. Sarebbe un compito troppo ambizioso per svolgerlo tutto d’un colpo – e d’altronde il suo svolgimento esula dalla prospettiva meramente progettuale in cui qui ci collochiamo, fino a identificarsi con la costruzione, passo passo, dell’edificio della semiotica delle passioni nel suo complesso. Qui ci dedicheremo invece a una ricognizione degli strumenti teorici e analitici che l’indirizzo di ricerca che vogliamo delineare ha a disposizione (e/o dovrebbe elaborare).
Come si sarà intuito da quanto abbiamo detto finora, non vi sono in linea di principio restrizioni per quanto riguarda la sostanza dell’espressione dei testi, cui l’analisi semiotico-passionale può rivolgersi. Può trattarsi di testi narrativi, o poetici, o in generale letterari, di testi pittorici o filmici, eccetera, i cui attori sono personaggi (singoli o collettivi) messi in scena in una prospettiva passionale determinata; può trattarsi dell’analisi di lessemi appartenenti a lingue naturali e la cui semantica appartiene al campo passionale, nel qual caso ci sarà da ricostruire la scena che nel lessema si condensa e su cui il suo senso offre una prospettiva; può trattarsi di interazioni micro- e macro-sociali, i cui attori sono individui, gruppi, istituzioni, nel qual caso bisognerà considerare la definizione della situazione accettata dai partecipanti, ed eventualmente una pluralità di messe-in-prospettiva. In molti di questi casi e senz’altro in quest’ultimo, inoltre, i testi che si offrono all’analisi sono in misura maggiore o minore “sincretici”, formulati cioè secondo più sostanze espressive (verbale, fonica, visiva, gestuale, prossemica…) contemporaneamente. Ciò rende ulteriormente evidente che la semiotica delle passioni non può fermarsi a constatare le relazioni espressione-contenuto e la loro regolarità o sistematicità, ma deve attraversare questo tipo di esperienze e porsi a livelli più astratti di quelli che vincolano l’indagine alle singole sostanze espressive.
Con le debite differenze a seconda delle sostanze espressive e del modo di presentazione degli attori, in ogni caso un’analisi semiotico-passionale sarà analisi di soggetti semiotici, ricostruiti a partire dal testo al quale sono correlati, non di individui psicofisici che di tali soggetti sono, in certi tipi, di situazione, il supporto. Di questi soggetti un’indagine semiotica costruisce i simulacri, ricchi di attribuzioni modali (qualificazioni del soggetto dal punto di vista del potere, del dovere, del sapere, del volere, del credere…) e delle specificazioni passionali di queste. Tali simulacri sono d’altronde qualcosa di assai quotidiano – tutt’altro che un espediente raffinato per addetti ai lavori. Fa parte del carattere strategico di ogni interazione sociale che ciascun partecipante, oltre che far capo a una definizione della situazione, a un frame, si costruisca anche un simulacro del suo partner alle cui qualificazioni modali e passionali commisurerà i suoi scopi, le sue tattiche, il suo agire; le sue aspettative, e infine le sue stesse passioni. Inoltre, se un’interazione ha da essere caratterizzata come messa in opera di strategie, dovrà contenere anche l’elemento dell’autocontrollo, del monitoring, continuo apprezzamento di un soggetto riflessivamente rivolto a se stesso, comprendente quindi il riferimento a un simulacro riflessivo della propria competenza modale e passionale. Infine, questo gioco di simulacri non è neppure qualcosa di puramente arbitrario, cui una più corposa realtà interpersonale possa essere contrapposta: la risposta dell’altro, o il sorgere di una propria reazione fuori dal raggio previsto dall’autocontrollo, potranno sempre smentire, vanificare i simulacri costruiti, ma solo obbligando il soggetto a modificarli, adattarli, trasformarli, costruirne di nuovi, aggiustando così le relative strategie e con esse lo stesso rapporto intersoggettivo; di nuovo fino a che ulteriori esigenze di adattamento non si manifestino. Un’analisi semiotica percorre, così, le stesse vie del testo (o dell’interazione) che descrive; solo, con una categorizzazione più esplicita degli elementi in gioco, con lo sforzo di esibirne le dinamiche.

2.1. Timismo. A parte la modalizzazione dei soggetti, connaturata al costituirsi (semiotico) di ogni soggettività necessaria allo stabilirsi di una dinamica passionale, l’elemento centrale d’una analisi semiotica delle passioni può essere identificato nella categoria timica. “Si tratta – dice Greimas6 – di una categoria ‘primitiva’, detta anche propriocettiva, con l’aiuto della quale si cerca di formulare molto sommariamente il modo in cui ogni essere vivente, iscritto nel suo ambiente, ‘si sente’ lui stesso e reagisce a ciò che lo circonda, essendo l’essere vivente considerato come ‘un sistema di attrazioni e di repulsioni'”. Le articolazioni positive o negative della categoria timica possono essere proiettate su quelle d’una qualsiasi categoria semantica, assiologizzandole (relativamente alla percezione che di queste ultime ha un soggetto); e si faranno così carico, in generale, dell’orientamento euforico o disforico del soggetto nei confronti dei suoi oggetti, dei programmi narrativi (unità elementari di azione/ narrazione) propri e altrui, degli stati della propria e altrui competenza modale.
Come articolazione del campo timico, proponiamo qui il quadrato semiotico:

I meta-termini diaforia e adiaforia stanno a indicare le due situazioni rispettivamente di orientamento timico ben marcato e di neutralizzazione dell’orientamento timico. Ma laddove l’adiaforia si specifichi come assenza di orientamento disforico, si preparerà la strada per un orientamento euforico (e con ciò diaforico); e viceversa. Non proponiamo alcuna lessicalizzazione per i due sub-contrari, che ci limitiamo a indicare come negazioni dei due contrari; certo, ciò può apparire insoddisfacente, ma è cosa nota che non a tutte le articolazioni di una categoria semantica corrispondono lessicalizzazioni nelle singole lingue naturali.
Il timismo ha una relazione privilegiata con alcune modalità. Per esempio, potere (in quanto il soggetto si rappresenta se stesso come potente) sembra essere una modalità sostanzialmente euforizzante; così pure volere (almeno, finché non si incontra con un non-potere). Dovere invece appare timicamente ambiguo: euforizzante (forse) se stimolo all’azione, in altri casi porta evidente disforia. Quanto al sapere, è curioso notare che la sua relazione al timismo varia proprio in relazione all’immagine del sapere, della verità, cui si fa riferimento. Per tutti coloro che hanno una nozione riduzionistica di verità, il vero come ciò cui tutto si riduce, sapere non potrà non avere una più o meno marcata connotazione depressiva. Ma cambiando paradigma, anche le proiezioni timiche potranno cambiare.

2.2. Aspettualità. Le nozioni passionali sono tutte nozioni più o meno fortemente aspettualizzate. Presuppongono, cioè, ciascuna una particolare prospettiva sul processo di cui la reazione passionale fa parte. Questa può essere vista come un fatto concluso, monolitico, o come uno svolgersi progressivo; può essere considerata come istantanea, puntuale, o come tale da durare nel tempo; può essere inquadrata come momento o fase iniziale di un processo, evento che si ripete in occasioni successive od abitualmente, oppure fase di un processo in cui, tramite cui, questo volge al suo fine7. Tale messa in prospettiva trova espressione in vari modi, attraverso sostanze espressive anche diverse fra loro. Può essere parte integrante del significato dei lessemi passionali ed emergere così dall’analisi di questi: ira e rancore, contentezza, allegria, gioia e felicità, le varie specie d’amore dall’affetto al colpo di fulmine, sono passioni la cui definizione è caratterizzata soprattutto da differenziazioni aspettuali. Ma la messa-in-prospettiva aspettuale può risultare, nel testo che esprime la passione, da vari fenomeni: linguistici (morfologici, lessicali, sintattici), paralinguistici, di concatenazione sintagmatica delle azioni, di selezione (cosa evidente in molti testi visivi) d’un determinato punto o segmento di tale concatenazione come saliente.
Così, per quanto riguarda le passioni espresse dai personaggi di un testo, il ricevente (lettore o ascoltatore o spettatore) è indotto a capire e eventualmente a partecipare della passione del personaggio secondo una prospettiva aspettuale che è il testo stesso a impostare; e analogamente, nell’interazione sociale, l’espressione di passioni si determina non solo a partire dalla competenza modale e dallo stato timico del soggetto, ma anche in relazione alla prospettiva secondo la quale la passione è vista/presentata. L’aspettualità sembra così far parte della passione anche come elemento costitutivo del monitoring riflessivo del soggetto.

2.3. Intensità. È un concetto assolutamente intuitivo, e forse proprio per questo estremamente sfuggente. Verrebbe la tentazione di farne a meno, se non fosse – intuitivamente! – indispensabile al discorso teorico-passionale.
Nel tentativo di precisarlo, passiamo in rassegna alcune sue accezioni specifiche. Anzitutto, intensità può essere intensità del coinvolgimento passionale: quanto una determinata passione e le sue alleate condizionano il comportamento, le scelte, le strategie di un soggetto; quanto “spazio” prendono, che ruolo esercitano, nella sua competenza modale. Oppure, l’intensità può essere considerata correlativa alla posta in gioco, all’importanza che il soggetto dà a quanto sta succedendo (a ciò cui la sua reazione passionale risponde, all’oggetto che valorizza euforicamente o disforicamente). Di queste due nozioni si potrebbe forse rendere conto, rispettivamente, con l’approfondire le relazioni fra timismo e competenza modale, e mediante una considerazione scalare, graduata, della posizione timica del soggetto fra i meta-termini costituiti da diaforia e adiaforia.
Un’altra possibilità è considerare l’intensità come fattore ricorsivo, di riflessione, di appercezione della propria passione. Non che ogni riflessione sulle passioni le intensifichi: può modificarle anche in altri modi, farle trapassare in passioni/azioni diverse (tuttavia, si potrebbe sostenere che in parecchi casi il trapasso da una passione all’altra, o dalla passione all’azione, sia questione d’intensità, aumentata per gradi fino a raggiungere un punto critico, di catastrofe). Inoltre, non tutte le riflessioni sulle passioni che abbiano effetto intensificante sono formalmente equivalenti. Prendendo esempio da Musil, distingueremo perlomeno l’ascolto mistico della passione dalla gestione di questa mediante commenti metalinguistici. Si potrebbe parlare, nei due casi, di intensificazione autentica, “pura”, e di pseudo-intensificazione; di intensificazione “tragica” e “drammatica”? Si tratta, comunque, di una questione di notevole rilevanza per l’estetica.
Certo, alla questione dell’intensità passionale vi sarebbe anche una risposta assai semplice, quella cioè di considerare come intensità tutto ciò che nella passione può essere graduato. Ma è una scorciatoia solo apparente, in quanto nella passione è graduale sia il livello di euforia-disforia, sia il livello di tensione (concetto che introdurremo nel prossimo paragrafo); mentre l’aspettualità raffigura la passione stessa come qualcosa che ha sviluppo graduale o che si situa nell’ambito di un tale sviluppo. Si potrebbe parlare tutt’al più, a questo punto, di intensità del timismo, intensità della tensione, fase più intensa (acme) di una curva aspettuale. Comunque, un interessante punto di discussione potrebbe essere dato dal confronto fra le gradualità rispettivamente delle dimensioni timica, tensiva, aspettuale e le altre ipotesi qui suggerite ad interpretazione dell'”intensità” passionale.

2.4. Tensione. La tensione d’una situazione passionale non è coincidente con l’euforia (si può essere disforici e tesi), né con l’intensità, anche se spesso s’accompagna a delle forme di quest’ultima (o a dei valori “intensi” di qualche altro parametro passionale). Si potrebbe discutere, beninteso, se è la tensione a intensificare la passione, o se è l’intensità elevata (in uno dei sensi di tale nozione) a favorire il formarsi di altri gradi di tensione e a portare più facilmente la tensione stessa a un punto di rottura.
Comunque, il concorrere di intensità e tensione si produce in certe passioni ma non in certe altre: per esempio, un’aspettativa intensa sarà probabilmente anche tesa, ma non ha senso dire che una gioia intensa debba essere tesa. Ciò suggerisce che la tensione abbia anche e soprattutto una relazione con l’aspettualità: e cioè che sia un fattore particolarmente rilevante proprio per quelle passioni che si (auto)rappresentano come aventi una direzione di sviluppo nel tempo, per esempio in senso incoativo o terminativo, e non per quelle a carattere semplicemente durativo come la gioia.
Ancora, se in fisica la tensione è relativa alla resistenza nello sviluppo temporale d’una passione (nel testo o interazione in cui questa trova preparazione e/o espressione), potremmo sfruttare quest’idea come quella della difficoltà a mettere a punto e a sostenere i simulacri passionali di se stesso e dell’altro. Vi rientrerebbe, in questo caso, un fattore d’inquietudine, di incertezza sulle passioni proprie/altrui e sul loro evolversi e dunque sulla strategia da mettere in atto, o almeno sul timing di quest’ultima. L’attenzione si concentra sulle passioni e sulla loro espressione, si tende nell’aspettativa di una mossa anche impercettibile che o ratifichi o costringa a rielaborare i simulacri faticosamente costruiti, nell’attesa di un probabile momento critico, oltre il quale la strategia sarà già irrevocabilmente decisa, perché si sarà passati all’azione. La tensione, così, risulta un fattore particolarmente importante per le passioni quando queste sono considerate come disposizioni ad agire, anticipazioni dell’iniziativa di un soggetto – il rovescio del rovescio dell’azione patita.
In parte ispirandoci e in parte discostandoci dall’analisi proposta da Zilberberg8, vorremmo proporre per la tensione passionale il seguente quadrato semiotico:

Tensione e distensione risultano meta-termini: l’uno ricoprente le situazioni estreme di contrazione ed estensione, tensione – potremmo dire – rivolta all’interno di un soggetto, a rinsaldarne la chiusura, e tensione che lo dispiega ed espone; l’altro riguardante le due situazioni più elastiche e che possono combinarsi in una neutralizzazione dei due atteggiamenti in cui il soggetto non è contratto e non è esteso.
L’interesse d’un tale quadrato semiotico, comunque, sta soprattutto nel vederne l’aspetto dinamico: gli spostamenti dei soggetti lungo i vari assi del quadrato, intesi come possibili direzioni di mutamento, d’evoluzione d’una situazione. Ciò, nell’analisi di interazioni, può fornire la chiave per comprendere trasformazioni apparentemente impreviste e rovesciamenti paradossali. Ed è interessante notare che la nozione di distensione non è necessariamente connotata positivamente, né quella di tensione negativamente: l’una può dar luogo, inclinando dapprima verso uno dei sub-contrari e poi lungo uno degli assi verticali del quadrato (detti di deissi o d’implicazione), a brusche risalite di tensione; l’altra può calibrarsi in un equilibrato gioco d’opposti. (Si potrebbe anche suggerire, in questa chiave, d’indicare i due lati verticali del quadrato con i due ulteriori meta-termini di “cautela” ed “esposizione”; ma ciò richiamerebbe un concetto di rischio estraneo, almeno in parte, alla categoria semantica esaminata).

2.5. Ritmo. Il ritmo è una scansione discreta, non graduale, benché possa essere variato con gradualità. In questo suo doppio aspetto ci sembra importante rilevare la sua presenza come elemento delle situazioni passionali. Il ritmo di un testo, o quello di un gioco interazionale, o quello di una relazione che presenti aspetti passionali, può essere lento o serrato, regolare o irregolare; scandisce parti, fasi discrete di ciò che anima; contribuisce a istituire e a soddisfare o frustrare aspettative interferendo con la dimensione della tensione e/o con quella dell’intensità, e contribuendo a creare condizioni complessive di agio o di disagio.
Naturalmente, in un senso un po’ diverso e limitrofo a questo, il ritmo contribuisce a esprimere una passione – comparirà così in veste di carattere della forma dell’espressione, non della forma del contenuto. Ma così dicendo ci avviciniamo a un altro problema piuttosto complesso – la relazione fra espressione e contenuto nel caso delle passioni – che dovremo riprendere fra poco.

2.6. Semi-simbolismo. A chiusura di questa rapida rassegna degli elementi semiotici di un’analisi teorico-passionale, siamo in debito di qualche considerazione che chiarisca quale tipo di “segni” – e con ciò di relazioni espressione-contenuto – sia in gioco nel caso delle passioni e della loro considerazione semiotica fin qui delineata. Ciò non per indulgere a tentazioni tassonomiche prive d’interesse operativo, ma per meglio individuare la specificità del discorso teorico-passionale.
L’idea prevalente e per così dire prototipica dell’indagine semiotica è per lo più ricalcata sul modo di significare del linguaggio (o di altri sistemi a esso equiparabili). In particolare, suppone la biplanarità espressione-contenuto, dove il vincolo fra l’una e l’altro, altresì eterogenei fra loro, dipende dall’organizzazione di ciascuno in un suo sistema di opposizioni e differenze, e dove appunto si può parlare, distintamente, della forma del contenuto e della forma dell’espressione. Ora, numerosi aspetti delle passioni e dei modi in cui sono espresse non sembrano affatto adattarsi a un quadro di questo genere. Nel parlare concitato distinguiamo un ritmo incalzante, teso, il tono un po’ stridulo dell’ansia: ma potremmo dire sensatamente che si tratta di segni dell’ansia, della concitazione? È l’ansia stessa – espressa nel modo di un discorso. Nel sorriso amichevole, rilassato, riscontriamo la rassicurante benevolenza dell’amicizia; ma diremo che si tratta di un segno dell’amicizia, o è l’amicizia stessa, che in questo fare appunto amichevole si esplica e (fra l’altro) consiste?9 Così, l’espressione di una passione, più che a un linguaggio, all’uso di un sistema di segni, di un codice, si avvicina a quei modi di significare che non sono biplanari: quelli che Hjelmslev aveva chiamato (ma con termine estremamente equivoco) “simboli”, che Greimas definisce come semiotiche “monoplane”10. Si tratta di grandezze la cui interpretazione è socioculturalmente stabilita, e con ciò inventariabile, ma non fa sistema e, soprattutto, non si colloca su di un piano operativamente distinguibile da quello del simbolo stesso.
È ben vero che introducendo un termine come “simbolo” ci si avventura in un campo minato, tante e tanto diverse (almeno in superficie) sono le definizioni, gli usi di tale nozione. Qui, riferendoci alla tradizione Hjelmslev-Greimas, vorremmo osservare che vi è in essa il tentativo di render conto in termini di “simbolismo” di fenomeni disparati che sono stati anche in altre tradizioni, ora l’uno ora l’altro, considerati “simboli”: dalla bilancia simbolo della giustizia al simbolismo del gioco, dalla musica ai simboli logico-matematici; in particolare, in tutti questi casi vi sono convenzioni ad hoc (qualcosa di più ristretto d’un linguaggio) e insieme, di carattere non-solo-linguistico; e non si dà vera e propria biplanarità, sia che ciò dipenda dall’omogeneità fra il simbolo e la sua interpretazione, o dalla perfetta coincidenza, singola anziché sistematica, fra la forma dell’espressione e la forma del contenuto, che nella prima viene come riassorbita.
Fin qui, questa prospettiva rischia però di rimandare la ricerca semiotica sulle passioni a quelle connessioni ad hoc che abbiamo già dichiarato insoddisfacenti. Ma un suggerimento ulteriore può venire proprio dalla già discussa caratteristica di variazione scalare, graduale, che le passioni quanto le loro espressioni presentano lungo vari assi semantici. E così che il modo di significare proprio dell’espressione passionale si può ricondurre a quello che Greimas, nell’ambito delle semiotiche monoplane, chiama “semi-simbolismo”: un tipo di “linguaggio” caratterizzato – non, come nel caso del simbolismo in senso stretto (le “semiotiche monoplane intepretabili”, i linguaggi formali) dalla conformità di elementi isolati, ma dalla conformità fra categorie (hjelmslevianamente: classi paradigmatiche d’unità fra loro sostituibili a un punto determinato dalla catena sintagmatica). Che questa nozione di semi-simbolismo possa essere applicabile alla questione delle passioni, si intuisce d’altronde anche da semplici esempi, come il seguente esempio greimasiano: “le categorie prosodiche e gestuali sono delle forme significanti; il ‘sì’ e il ‘no’ corrispondono, nel nostro contesto culturale, all’opposizione verticalità/orizzontalità11. Assenso e consenso, atti linguistici (illocutori: trasformazioni modali) e insieme manifestazione d’adesione/ripulsa (un fattore passionale!), non sono che un caso circoscritto e specializzato di quanto avviene comunque nel parlare, nel gesto, nel tono di voce, nel volume della voce, e via dicendo, lungo una pluralità di direzioni di variazione che istituiscono, che sono tipi e stili di azione/passione.
L’elemento semi-simbolico nel linguaggio, il suo ruolo nei confronti dell’altresì riconosciuta biplanarità dei sistemi di segni linguistici, costituisce indubbiamente un nodo teorico ancora da meditare. Ma qui lasciamo in sospeso la questione; e vorremmo sottolineare piuttosto, che decidere che l’espressione passionale fa parte del “semi-simbolismo” anziché di una semiotica biplana o d’un altro tipo di semiotica monoplana, ha interesse non tanto per uno sfizio tassonomico da addetti ai lavori – cosa che del resto accade con uguale o anche maggiore facilità per altri tipi di tipologie semiotiche – ma in quanto permette analisi che sappiano correttamente cogliere, in alcuni testi, il fattore espressivo-passionale: che non si sviino nel tentativo di costringerlo nel modello bi- o pluri-plano del linguaggio verbale, ma ne trovino gli elementi sistematici e generalizzabili dove vanno cercati (nell’articolazione interna delle categorie, nel ruolo sintagmatico di ciascuna di esse…). Anche grazie alla nozione di semi-simbolismo risulterà più chiara la legittimità di una convergenza, da un lato, fra semantica lessicale, storia della filosofia, ridefinizione psicologica e psicanalitica di concetti passionali; dall’altro, fra lo studio pragma-linguistico e semiotico-visivo, prossemico e microsociologico, prosodico e semiotico-musicale, e via dicendo, dell’espressione passionale. Si noterà che quest’ultimo ordine di indagini si differenzia dal primo non per le categorie su cui può appoggiarsi, per gli assi semantici soggiacenti che le articolano; ma per la dimensione indessicale o, come anche potremmo dire, enunciazionale, in cui l’espressione è contemporaneamente (ri-)costruzione di soggettività che rimanda a quel soggetto, che è impersonato dall’attore che produce l’espressione in questione.

3. Abbiamo finora trattato la semiotica delle passioni come un campo, un capitolo, di ricerca semiotica. Ma ciò è senz’altro insufficiente, riduttivo; né può rendere conto di parecchie delle nostre scelte metodologiche, d’insieme e di dettaglio. Semiotica delle passioni è infatti, anche o forse soprattutto, un approccio alla teoria e all’analisi semiotica. La passione non vi è meramente oggetto, ma presa di posizione, punto di partenza metodologico.
Ciò comporta in primo luogo, in generale, una decisione di partire dalla complessità testuale senza neutralizzarne a priori gli aspetti apparentemente imbarazzanti (complessità testuale che, riteniamo, è la complessità stessa del mondo della vita). Inoltre, poiché la passione è il rovescio dell’azione (l’azione in quanto patita, l’azione vista dal suo ricevente), partire dalla passione impone di non considerare soggetti in isolamento, ma la dualità del rapporto d’interazione (fra attori singoli o collettivi) all’interno del quale vi è sia azione che passione che espressione dell’effetto passionale che ricezione di quest’ultima. E suggerisce di non considerare la relazione agente-paziente come una relazione a senso unico, dominata dallo sguardo dell’agente, ma di saper rintracciare il punto di vista dell’altro, implicito in ogni sviluppo narrativo (racconto è comunque economia di due prospettive) e capace di rivelare aspetti seminascosti, ma non banali, della situazione12. In relazione alla semiotica narrativa che qui assumiamo come modello metodologico privilegiato, leggere i testi a partire dalla passione equivale a privilegiare il momento della sanzione, quella fase dello schema narrativo in cui l’azione del soggetto viene sottoposta al fare interpretativo di un ricevente (che viene a esercitare, la funzione di destinatore-giudice). E ciò comporta, più in generale di nuovo, leggere il soggetto come ri-costruito, la sua interiorità come espressa o rintracciabile a partire dall’espressione, il suo agire come convalidato a seconda di com’è accolto; il tutto in riferimento a regole che possono spiegare quel che succede nel senso di descriverne le motivazioni, ma non prescrivere cosa debba succedere, né come ciascuna azione abbia da essere accolta. Anziché semplice anello di un automatismo deterministico, la passione risulta così una testa di Giano, volta tanto all’azione di cui è rovescio quanto all’azione in cui si rovescia, e punto di partenza in ambedue le direzioni.
E in questo quadro più ampio – nella sua qualità di approccio alle questioni semiotiche – che va intesa la progettualità, la funzione euristica complessiva della semiotica delle passioni, il suo rapporto ai saperi già codificati, alla “ragione”, alla stessa volontà di teoria. In particolare, la luce peculiare in cui appare quest’ultimo rapporto fa – crediamo – parte dei contributi d’interesse generale che la semiotica delle passioni (come atteggiamento, come approccio) può portare.
L’abbiamo forse già detto, ma lo vorremmo ribadire: la passione non è un operatore antirazionale; è, anzi, un operatore che permette la veridizione e quindi la “verità”. Certo, se la verità è un concetto quantitativo, uno-zero, interpretazione estensionale di proposizioni (in una notazione che è simbolismo monoplano, ma del tipo “interpretabile” non di quello semi-simbolico), essa non ha nulla a che fare con la passionalità; ma laddove l’asserzione è riconosciuta come un fare che esprime/propone adesioni, modifica sistemi di attese, articola posizioni allo stesso tempo modali e passionali, la verità dovrà essere anch’essa una nozione – forse più vaga e più elastica: si pensi alle osservazioni di Austin sulla gradualità della dimensione vero/falso13 – ma qualitativa, percezione d’adeguatezza, momento di ricchezza e slancio cognitivi, effetto di senso d’una veridizione che è proprio un fattore passionale ad innescare. In passione veritas? Oppure la verità (d’altronde analizzabile, in una sintassi narrativa degli atti linguistici, e momento di sanzione valutativo della correttezza di un’asserzione/azione e dell’autenticità del soggetto che la compie), è passione essa stessa? La semiotica delle passioni ci sembra andare nella stessa direzione dell’intuizione austiniana che per capire il nesso fra linguaggio “descrittivo” e “valutativo”, fra linguaggio vero/falso e linguaggio-azione, occorra non già discutere il secondo alla luce di un’idea preconcetta del primo, ma il primo alla luce d’una analisi del secondo. Il rapporto delle passioni con la ragione, la teoria, la verità, non si imposta alla luce di nozioni preconcette di queste ultime, bensì rivedendole, alla luce appunto della semiotica delle passioni. A costo di farne, se necessario, “il diavolo a quattro”14.
Tuttavia l’intensità della passione può essere insostenibile, e così pure quella della verità, o quella di un “diavolo a quattro” teoretico. È per questo che spesso grandi intuizioni si cristallizzano eccedendo. È per questa insostenibilità che le passioni portano scompiglio, si creano fama d’irrazionalità; e che può esser difficile convivere con la verità, nel cui continuo sfuggire sembra icritta nostro malgrado una condanna al fallimento, allo scacco cognitivo.
Ma la paura d’un tale scacco (una passione di nuovo!) può esser cattiva consigliera. Osservando le cose con un po’ di coraggio, vediamo invece che le passioni sono sì sempre mobili, e anche che possono perturbare i sistemi di segni, il loro funzionamento; ma ciò che ne risulta disturbato o distrutto non sono i sistemi semiotici, bensì le mere forme di superficie, l’uso dell’una o dell’altra sostanza espressiva. Da un discorso già aggressivo ma controllato il collerico passa a urla, gesti, aggressione materiale: ciò che è cambiato non è la presenza d’una struttura semiotica astratta e sottostante, l’esistenza d’un gioco complesso di competenze modali, investimenti timici, programmi narrativi più o meno compiutamente formulati; è cambiata la sostanza espressiva in cui queste strutture si manifestano in modi e con effetti che sono comunque descrivibili semioticamente. Così le marionette, nei momenti di maggior intensità passionale, passano dalla parola al ballo; il melodramma dal recitativo al canto. È con questo passaggio ad altra sostanza espressiva che generalmente si reagisce all’insostenibilità della passione insieme esprimendo quest’ultima, e rilanciando (se del caso) in altri termini il contratto fiduciario su cui si regge la relazione intersoggettiva.
Certo, a volte ciò che nel parlare comune indichiamo come “irrazionale” in questi fenomeni è non tanto il fenomeno stesso, quanto il fatto che esso può avere delle conseguenze che vanno al di là della soggettività dei partecipanti, e investono l’ancoraggio di questa in individui psicofisici: a un punto in cui non si gode più, come a livello semiotico, di quel correttivo alla fragilità umana che è la reversibilità. Se si tratta di conseguenze che precedentemente allo scoppio della tensione e/o dell’intensità passionale non erano state previste né ritenute desiderabili, l'”irrazionalità” è qui in rapporto al progetto che inizialmente animava e dirigeva la volontà di almeno uno dei soggetti partecipanti: progetto che può fallire a causa dello scoppio passionale, o comunque esserne profondamente modificato, per esempio se riesce ma a un prezzo che a freddo non sarebbe stato giudicato accettabile. (Ciò suggerisce, fra l’altro, di tenere conto del fatto che buone idee e buoni sentimenti non possono risultare efficaci se non una volta inseriti in una strategia passionale adatta).
Stiamo facendo le lodi dell’abilità a manipolare passioni, a destreggiarsi con esse? Sì, e vorremmo rincarare la dose. Infatti se al momento dello scoppio, del divampare dell’intensità passionale si volesse contrastare la tendenza a cambiare apertamente sostanza dell’espressione, e trovare un modo d’espressione adeguato mantenendo in tutto o in parte all’opera il tipo di sostanza espressiva precedente, per far questo può occorrere una grande, raffinata, estrema abilità. Così il linguaggio in poesia. Ma non è lo stesso tipo di operazione, per esempio, anche – in presenza di livelli critici di tensione – impostare un conflitto (individuale o sociale) in modo da non dover passare a determinate “vie di fatto”, da non far “scoppiare” la situazione?
Infine, fare teoria ci sembra un altro genere d’applicazione di questa medesima abilità. Come un rituale deve essere astratto (arbitrario) quanto basta a staccarsi dalla sostanza d’espressione in cui la passione sarebbe stata propensa a manifestarsi, e con ciò essere duro, crudele – ma risultare bene accetto se fornisce una trasposizione, una traduzione riconosciuta per adeguata -, così la teoria ha una sua durezza, quella che è la “forza” apparente del pensiero: astrarre, rappresentare, riformulare, generalizzare i vissuti a un livello diverso e si suol dire “superiore”; ma quella sua forza che qui c’interessa è qualcosa d’altro: sta nel fatto che all’astrazione, all’arbitrarietà si accompagna l’adeguatezza, una condiscendenza nei confronti del vissuto, la capacità di reinscriverlo senza inattivarlo e anzi (si desidererebbe!) ricuperandolo completamente, o almeno, quanto di volta in volta risulti tecnicamente possibile.


Note

  1. Cfr. Pierre Fontanier, Des figures du discours autres que les tropes (1827), in Les figures du discours, Flammarion, Paris 1968, p. 458.torna al rimando a questa nota
  2. Cfr. A.J. Greimas, “De la colère”, in Du Sens II, Seuil, Paris 1983; trad. it “Della collera” in Del senso 2, Bompiani, Milano 1985.torna al rimando a questa nota
  3. Così, non possiamo condividere nella loro globalità le proposte del volume: G. Vattimo, P.A. Rovatti (a cura), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1983, anche se comprendiamo alcune esigenze che vi stanno alla base (per esempio, il rifiuto dell’appiattimento operato sulle esperienze da un pensiero riduzionista, sedicente “forte”; cfr. il contributo di Rovatti “Trasformazioni nel corso dell’esperienza”, pp. 29-51).torna al rimando a questa nota
  4. Non è sensato, né di nostra competenza, dare qui una bibliografia di opere storico-filosofiche sul tema delle passioni. Vorremmo comunque segnalare l’esistenza di una bibliografia marginale rispetto alla storia della filosofia vera e propria, ma ciò nondimeno interessante, che potremmo chiamare di ricostruzione concettuale, o di rivisitazione. Alcuni esempi: A.O. Hirschman, The Passions and the Interests, Princeton University Press, New Jersey 1977; trad. it. La passione e gli interessi, Feltrinelli, Milano 1979; o ancora, per alcune sue parti, il volume di J.-F. Lyotard, Le différend, Minuit, Paris 1983; trad. it. Il dissidio, Feltrinelli, Milano 1985). Due lavori che, in modo diversi, accostano programmaticamente alla filosofia e alla storia delle idee l’approccio semio-linguistico sono: E.M. Forni, Il mito del sentimento: saggio di antropologia filosofica, Cappelli, Bologna 1984; e H. Parret, Eléments pour une typologie raisonnée des passions, Actes sémiotiques – Documents, Groupe de recherches sémio-linguistiques de l’E.H.E.S.S., Paris IV (1982), 37, pp. 5-29: H. Parret cfr. Anche Les passions. Essai sur la mise en discours de la subjectivité, Mardaga, Bruxelles 1986.torna al rimando a questa nota
  5. A cercarne degli esempi, se ne possono trovare in psicologia, in pschiatria, in psicoanalisi (in quest’ultimo campo ne è particolarmente ricca l’opera di Melanie Klein), nelle scienze sociali (tanto su di un piano macro-sociale che sul piano micro-sociale degli studi sull’interazione; da una zona intermedia che interessa ambedue i livelli, segnaliamo l’analisi della passione del “disappunto” in A.O. Hirschman, Shifzing involvements: private interestand public action, Princeton University Press, New Jersey 1982; trad. it. Felicità privata e felicità pubblica, Il Mulino, Bologna 1983).torna al rimando a questa nota
  6. A.J. Greimas, Du sens Il, cit., p. 93.torna al rimando a questa nota
  7. Per la definizione dell’aspetto in linguistica si vedano: J. Lyons, Semantics, Cambridge University Press London 1977, pp. 703-17; B. Comrie, Aspect, Cambridge University Press, London 1976. Per i procedimenti di “aspettualizzazione” da un punto di vista semiotico, si veda A.J. Greimas e J. Courtés, Sémiotique: dictionnaire raisonné de la théorie du langage, Hachette, Paris 1979, pp. 21-22. Descrizioni semantiche di verbi connessi all’attività linguistica, reazioni passionali incluse, sono organizzate secondo curve aspettuali in: Th. T. Ballmer, W. Brennenstuhl, Speech Act Classification, Springer, Berlin 1981.torna al rimando a questa nota
  8. Cfr. C. Zilberberg, Essai sur les modalités tensives, John Benjarnins, Amsterdam 1982.torna al rimando a questa nota
  9. Ci sembra con ciò di poter condividere la polemica di Guido Morpurgo-Tagliabue contro la riduzione di ciò che egli chiama “semantico” e “semantologico” (significati e articolazioni di significati che non instaurano ancora una vera e propria biplanarità) a “semiosico” (il mondo del segno biplanare e saussurianamente arbitrario). Cfr. G. Morpurgo-Tagliabue, “L’ermeneutica come procedimento semantologico”, Teoria, 1, 1981, pp. 43-53.torna al rimando a questa nota
  10. Cfr. Greimas, Courtés, Sémiotique, cit., p. 342-344.torna al rimando a questa nota
  11. Ivi, p. 343.torna al rimando a questa nota
  12. Così Manganelli propone un drago che cerca e attende il suo cavaliere: “Cinquantadue” in Centuria, Rizzoli, Milano 1979. Un analogo rovesciamento di prospettiva riguarda la leggenda di Teseo e il Minotauro nella novella di Borges “La casa di Asterione” in L’Aleph, Feltrinelli, Milano 1959.torna al rimando a questa nota
  13. J.L. Austin, How to Do Things with Words, Oxford University Press, London 1975, pp. 140-45.torna al rimando a questa nota
  14. Ivi, p. 151.torna al rimando a questa nota
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