Azioni e passioni della luce


Da: Maurizio Mochetti, Maser e Laser (catalogo della mostra), Galleria Franca Mancini, Pesaro, 2016.


1. Attachment

La mostra di Maurizio Mochetti alla Galleria di Franca Mancini, nell’ambito del festival del ROF (Rossini Opera Festival) è l’occasione di un appuntamento che prosegue negli anni; un incontro che ha un suo spartito ed esecuzioni estetiche e concettuale sempre originali. Per Maser e Laser, condividerò ancora il ruolo di spettatore critico, che non è un esperto embedded – coinvolto professionalmente all’attività artistica di Mochetti – ma un osservatore dall’attenzione sostenuta, autonomo e senza osservanze estetiche prevenute o preconcette. Non è la “Critica acritica” che nelle accese polemiche degli anni ’70 auspicava G. Celant alla cui monografia si deve la collocazione di Mochetti tra pop, l’arte cinetica e la ricerca minimalista. La visione è sempre divisione, ma le tendenze dell’estetica ci invitano oggi a guardare ai segni e ai composti dell’arte ad una diversa distanza. Osservare è etimologicamente serbare memoria, ma con una diversa prossimità critica: con quello che, con un lessico presentista, potremmo chiamare l’attachment alle condizioni di felicità di un’opera.
La mostra di Mochetti, che esemplifica i tratti pertinenti di una produzione complessa e profondamente pensata, ricorda allo spettatore che ricevere non è un atto passivo e che gli spetta la risposta, un’attiva responsabilità. Alle opere di Mochetti, limpide ed enigmatiche, non basta la divulgazione: pongono questioni che richiedono repliche. La presenza dell’artista, che ha detto nel suo lavoro quel che ha da dire – la sua “verità” -, è l’occasione di una presa di posizione che è parte della sua opera. I suoi eventuali chiarimenti pongono nuove domande: cerchiamo allora la pertinenza della mostra e la verità che ne segue.

2. L’altra luce

Cominciamo dalla luce, che sappiamo tema e operatore della pittura (ricordate i quadri al lume di notte!) e dal titolo della mostra: Maser e Laser. Sappiamo che i titoli seguono le regole retoriche: possono essere allusivi, metaforici, ironici, ecc. ma anche tematici e metalinguistici. Quello dato da Mochetti ha a che vedere con la sua reputazione critica: Maestro della Luce o Re del Laser. Ricercatore delle azioni e delle passioni della luce, della sua natura e della sua energia. Quale luce? Ricordiamno che Maser è l’acronimo inglese, la sigla abbreviata di Microwave Amplification by Stimulated Emission of Radiation, ovvero “Amplificazione di Microonde tramite Emissione Stimolata di Radiazioni”. Il Maser che ha come sua componente un laser, opera nella spazio delle microonde dello spettro elettromagnetico. Il Laser per contro è la Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation ovvero l'”Amplificazione di Luce mediante Emissione Stimolata di Radiazioni”. Una luce coerente, monocromatica e generalmente concentrata in un raggio rettilineo precisamente collimato con un processo di emissione stimolata. Onde di luce che hanno le proprietà della coerenza, monocromaticità e altissima brillanza: una luminosità elevatissima paragonata alle sorgenti luminose tradizionali e persino a quelle costruite come il neon o la bomba atomica – luce innaturale di una cultura scientifica che genera mostri. Il laser, che Mochetti maneggia magistralmente è il prodotto di alti teoremi della fisica ma è già parte delle tecnologie quotidiane – la scienza ermetica dei quanti si trova nelle scatole nere dei nostri DVD. Per questo è ardua la divulgazione della scienza e, nel caso nostro, dell’arte.
Potremmo dire che Mochetti è un autore antinaturalistico – nel senso tecnico dell’estetica – ma non irrealista. Le sue opere rinviano ad una realtà materiale di diverso ordine, più profondo e per noi più segreto. Con Umberto Eco diremmo una ipo-icona, un luminosità suprema ma senza trascendenza.
Accettiamo quindi l’invito a invito a seguirlo nello spazio aperto dalla tecnoscienza e della Galleria.

3. Arte e (tecno)scienza

Una premessa: le nuove tecnologie hanno modificato i regimi di visibilità della scienze e delle arti. L’arte, che era astratta all’inizio e fino alla metà del secolo scorso ha ritrovato le vie del mimetismo e della raffigurazione- (prolifera infatti la scultura). Anche la scienza del primo Novecento per descrivere il modo al di là del meso-iconico usava figurazioni astratte, formule, diagrammi, ecc. Oggi l’immagine digitale con la sua manipolazione sperimentale e comunicativa, ha ripreso parola. I mediascape sono fitti di figurazioni a falsi colori dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo: il telescopico e il microscopico. Con effetti speciali strabilianti anche se a rischio del kitsch visivo e di farci dimenticare che un’immagine scientifica non è isolabile dalle sue procedure di verifica e di scoperta.
Le opere a cui Mochetti ci espone – aerei, parabole, frecce, pinguini, ecc. – sono rigorose e coerenti, con una capacità singolare di figurare in modo inaspettato problemi di teoria del moto e della luce (v. i suoi Mectulle). Cogliendo il nucleo immaginario delle conoscenze più astratte senza divulgare o decorare, ma con libertà e il senso del gioco (v. il titolo) Mochetti rappresenta, cioè mette in scena piccoli esperimenti di pensiero che hanno coerenza e coesione, ma anche un humor della verità (v. i suoi Pinguini in Camouflage) e una libertà che ha un valore suggestivo per quegli scienziati e ricercatori che di Mochetti sono i corrispondenti ed gli amici.
Per Michel Serres, l’arte la sa più lunga della scienza, e la sua tradizione, come quella della letteratura, è certamente più antica.

4. Moti e turbe

Come ha notato Cagli nel suo intervento “musicale” sul moto perpetuo, i composti di Mochetti sono ideogrammi del moto.
Sono gli oggetti paradossali, mobili immobili, solidamente eterei di quello che P. Virilio chiamerebbe una “dromoscopia”. Per sua esplicita ammissione dell’artista, un prototipo concettuale e visivo è il Bluebird, un congegno auto- mobile capace di raggiungere gli 800 km all’ora nel deserto del Nevada. Per arrestarlo si aprivano un paracaduti paralleli al suolo (v. BlueberdCN7). Non è il culto futurista della velocità, anche se Mochetti ne condivide la passione per la macchina e, con la sua esperienza di pilota, per l’aeroplano. I suoi oggetti sono la traccia in surplace di quell’estrema velocità trattenuta che è il suo emblema aerodinamico – come quello di C. Parmiggiani è un labirinto di vetro distrutto. Dalla sua passione per il volo viene a Mochetti la conoscenza della turbolenza dell’aria che sfrutta la portanza aerea. Un fenomeno emergente che rompe le regolarità dei flussi con un ritmo impredicibile. (Celant aveva già parlato a questo proposito di “vortici”). Possiamo allora immaginare l’aereo immobile nella installazione della mostra come un modellino immerso in un’aria vorticosa e turbolenta e indovinarne la vibrazione impercettibile come un supplemento di identità (v. Linea infinita). Perché Mochetti pensa e vede non solo la regolarità delle parabole ma la freccia di Zenone, che vola da ferma in ogni punto in cui è scagliata. È un artista “eleatico” e i suoi fermi-immagine sono oggetti zenoniani.

5. Camouflages

Un tratto tra i più pertinenti della ricerca e delle realizzazioni di Mochetti è l’impiego del Camouflage. Una modalità del visibile che è l’esito di un conflitto strategico nella osservazione. Camuffare è ingannare lo sguardo altrui, sottraendo alla sua vista i propri osservabili: una sparizione ottenuta rompendo con chiazze di colore i bordi riconoscibili degli oggetti e dei soggetti in presenza.
L’esatto contrario del trompe l’oeil: il mimetismo, fermo immagine del processo tattico, inverte la mimesis. Il camouflage è un “simulacro”, cioè un effetto di simulazione, riscontrabile fin dalle forme più semplici della vita biologica per giungere alla predazione animale, alla caccia e alla guerra degli uomini. È significativo che all’origine di una riflessione rigorosa del camouflage, sulle distorsione calcolata della rappresentazione, sia un pittore come l’americano Abbott Thayer e che tra le prime ricerche scientifiche si trovi A. Wallace, l’autore con C.Darwin dell’ipotesi evolutiva della vita.
Con significati diversi il camouflage è stato impiegato da autori come A. Warhol o A. Boetti ed è di piena attualità tra gli artisti più attivisti come reazione alla società contemporanea, la quale non esercita più la repressione, ma mira al massimo controllo visivo, all’intercettazione comunicativa, alla totale trasparenza.
Le realizzazioni di Mochetti, coerenti alle forme e ai suoi temi del volo, portano sul camouflage degli aerei. È noto che l’impiego dell’aviazione ha esteso la guerra al “litorale verticale” dei cieli, oltre al fronte del conflitto. Per occultare le forze in campo si è esteso allora il camouflage dalle armi e agli uomini fino alla totalità del teatro delle operazioni. Per questo fin dalla prima guerra mondiale si è fatto ricorso ai pittori, in particolare ai cubisti divisionisti come André Mare o Raymond Duchamp-Villon – il fratello maggiore di Marcel Duchamp. Come osservava Picasso nel corso di una sfilata di cannoni dipinti in camouflage: “Questo l’abbiamo fatto noi!”. La tradizione artistica del camouflage è proseguita con i futuristi e i surrealisti ed ha contribuito in modo originale al pensiero gestaltico e allo sviluppo della fotografia. Mochetti che ha piena padronanza di queste conoscenze, estende il camouflage agli strumenti di osservazione, gli aerei e ne riporta in piano le modalità cromatiche di mimetizzazione (v. il suo Camouflage, Natter-Pelle 1979)) Non è un colorista, il suo cromatismo è logico e calcolato, un effetto anch’esso della luce diverso dalle modalità tradizionali della pittura: lo specchio che riflette o l’ombra che assorbe. Il suo interesse per il camouflage non è la menzogna tattica ma l’operazione concettuale, la tradizione artistica e la cultura visiva. “La pittura è cosa mentale” avrebbe detto Leonardo.
Per Mochetti l’arte è l’idea, l’inventio e l’immagine è traccia, la freccia del suo passaggio: la costruzione di oggetti-concetti che non sono stati di cose, ma eventi dinamici, mutabili, perfettibili e reinventabili. Così si presenta, nella sua mostra, alla nostra prossimità critica, al nostro attachment per lui.


Bibliografia

G. Celant, Maurizio Mochetti, Skira ed., Milano, 2003.

P. Fabbri, “Turbolenze. Determinazione e impredicibilità”, in AA.VV., Incidenti ed esplosioni. A.J. Greimas, J.M. Lotman per una semiotica della cultura, Aracne ed., Roma, 2010.

— “Semiotica e camouflage”, in AA.VV., Falso e falsi. Prospettive teoriche e proposte di analisi, Edizioni ETS, Pisa, 2011.

J.- M. Lévi Leblond, La velocità dell’ombra, Codice ed., Torino, 2007.

Scienza e cultura, Di Renzo ed., Roma, 2010.

P. Virilio, La strategie dell’inganno, Astherios ed., Trieste, 2000.

L’orizzonte negativo, Saggio di Dromoscopia, Costa e Nolan ed., Milano, 2005.

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