“Uno monta la luna”: insegnare/ricercare


Da: E|C, rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici on-line.
Riflessione su “Barthes in-segnante” presente nella raccolta Omaggio a L. Ballerini, di prossima uscita per Danilo Montanari Editore, Ravenna.
Data di pubblicazione in rete: 14 marzo 2010.


 

per Luigi, professore e scrittore

1. La finta barba di Marx

Per Roland Barthes Una notte all’opera, capolavoro dei Marx Brothers, era “allégorique de maints problèmes textuels”1. Un’allegoria soprattutto del discorso didattico. Il semiologo francese, ogni qualvolta cominciava un corso, diceva di sentirsi travestito da una gran barba posticcia, come uno dei Marx Brothers, mascherati, nel film, da aviatori russi. Poi, sommerso dal fiotto delle proprie parole insegnanti – (substitut de la caraffe d’eau à la quelle le muet, Harpo, s’abreuve goulument, sur la tribune du maire de New York) – sentiva la barba immaginaria staccarsi a poco a poco, davanti a tutti.
Questo trac dell’insegnamento ha perseguitato Barthes (e non lui solo): un effetto della sua oscillazione permanente tra brechtismo e buddhismo, tra codice e discorso, tra morale del segno e valore del metodo. Un sentimento ambivalente di fastidio, cioè di autostima e di noia – etimologicamente fastus e tedium – che lo ha spinto a interrogarsi, poco dopo il Sessantotto, sulla “presa della parola” d’insegnamento e di ricerca. All’isteria e all’intimidazione del discorso militante – tu, da dove parli?, le strutture non scendono in piazza! – Barthes ha replicato con lo strumento accurato della tipologia e l’interdefinizione. Una riflessione sulla retorica didattica: perseguita fino al termine della sua attività di insegnamento e di ricerca (prima all’Ecole de Hautes Etudes en Sciences Sociales, poi al Collège de France): il modo di tenere un discorso, di parlare seduto, di fare un esercizio, di scrivere una dissertazione – a partire da una frase o da una parola? dall’etimologia o dalla connotazione?
Vorrei riprendere, cioè variare e/o proseguire questa riflessione, lontana dalla reputazione consolidata e semplificata di Barthes. Senza pretese di attualità o inattualità: l’accademia, come l’economia, ha i suoi cicli di illusione e delusione.

2.1 Penelope e l’Altro

Per Freud insegnare è – insieme a guarire e governare – un mestiere impossibile. Poichè il senso è fatto di differenze – almeno per un semiologo – apprendere è far sì che qualcuno prenda le distanze dai propri pre-giudizi, dal suo risaputo; adotti un decentramento critico rispetto a se stesso; si adatti a nuovi soggetti, nuovi oggetti e punti di vista. Tutto questo è tenuto a farlo autonomamente, eppure sotto un impulso e una guida esterni. ° il noto il paradosso: “siate liberi!”: obbedire all’ordine è contraddirne il contenuto. Per questo la didattica – disciplina empirica e saggezza pratica – è il campo proprio di complesse manovre discorsive. Esige molta perizia retorica da parte del docente, nell’accettare il rischio dell’esperienza. Esporre è esporsi.
Insegnare è un affare di segni, un teatro della parola: se si eccettua il momento silenzioso dell’esame, il discorso docente è per lo più verbale: eloquente fino allo sproloquio. Per Barthes, il Professore è uomo di parola, che tocca all’Intellettuale trascrivere; diametralmente opposto allo Scrittore che opera nel corpo vivo della lingua.

Face au professeur qui est du coté de la parole, appellons écrivain tout operateur de langage qui est du coté de l’écriture; entre les deux l’intellectuel: celui qui imprime et publie sa parole. Il n’y a guère d’incompatibilité entre le langage du professeur et celui de l’intellectuel (il coexistent souvent dans un meme individu); mais l’écrivain est seul, separé: l’écriture commence là où la parole divient impossibile
Non si transita impunemente dalla logosfera alla grafosfera. La parola docente è effimera rispetto alla scrittura, ma è irreversibile ed indelebile – voce dal sen fuggita… È riassumibile – lo stile è irriducibile al riassunto, déni d’écriture, – e quindi trasmissibile. In un contesto regolatore qual’è la classe, può essere ripresa, in tutte le accezioni del prefisso “ri-“: ripresa dall’inizio, dal mezzo o dalla fine; come dicevo… Per Barthes, la figura eponima del locutore-didatta è Penelope.
Nonostante il suo contesto istituzionale – la norma non sta in quel che il docente dice, ma nel fatto che lo dice; nonostante l’impegno impersonale di obbiettività e chiarezza – oblazione di senso e ablazione dell’enunciazione, una certa originalità resta possibile. Rispetto alla delega “trascendente” che lo attraversa, chi insegna – “orateur imparfait” – non è tenuto a denegare il proprio ruolo, ma a differenziarlo, differirlo, singolarizzarlo.

2.2

Non è facile esporre in proprio una parola che ha già un suo progetto di destinazione e anticipa il proprio effetto sugli altri. Questo può avvenire soltanto con la mossa conversazionale che spetta virtualmente al discente – che il suo turno di parola sia o no realizzato: anche il suo silenzio è implicato nel discorso didattico.
La relazione all’allievo – che non va alleviato, ma “elevato”, sopra i media e la media – introduce una turbolenza nei programmi: gli imprevisti della emergenza di senso e della improvvisazione oratoria. “L’Autre est toujours là, qui vient trouer le discours”, osserva Lacan, di cui Barthes loda la perspicacia verbale. Per Barthes infatti: “si quelque sourire répond à ma remarque ou quelque assentiment à mon intimidation, je me persuade aussitot que ces complicités manifestées proviennent d’imbéciles ou de flatteurs […]; moi que cherche la réponse et me laisse aller à la provoquer, il suffit qu’on me réponde pour que je me méfie; et si je tiens un discours tel qu’il refroidit ou éloigne, je ne m’en sens pas plus juste (au sens musical) pour cela; car il me faut bien alors me faire gloire de la solitude de ma parole, lui donner l’alibi des discours missionaires (science, verité, ecc.)”.
Rispetto alla metafora analitica, le posizioni si trovano invertite: è il docente che parla e il discente che pratica l’ascolto, volentieri fluttuante. Eppure non c’è niente di più “transferenziale” di questa transitività. Basti pensare alle domande che seguono un corso e che sono raramente l’espressione di una mancanza quanto l’asserzione di una certezza.
A questo proposito, Barthes ha praticato l’entrisme sémantique di una nuova tipologia. Alle figure del Professore – verboso –; del Tecnico – non sempre impassibile –; del Guru – spesso silente – corrisponderebbero i generi discorsivi dell’Insegnamento, dell’Addestramento e del Maternage.
Per chi è allergico al socratismo maieutico e alle sinergie di quei saperi “saporiti” – quelli che passerebbero per via somatica, senza mediazioni simboliche – due vie restano aperte e un ruolo “psicosociale” (Deleuze) è possibile. Rinnovare e ricercare. Non impartire lo stesso corso e non affidarne la novità alla trasmissione di contenuti per definizione dimenticabili. (È permesso ripetersi quanto basta per non ripetersi del tutto.) Ripartire invece dalla ricerca; per creare non una professionalità, ma una “perizia” – parola che ha la stessa radice di “esperienza” e di “pericolo”.

3. Guelfi e Ghibellini

Sulla scorta di Michelet, autore di predilezione, Barthes divideva i professori tra Guelfi, uomini dell’istituzione e Ghibellini, gente della ricerca. Con una marcata preferenza per il seminario di ricerca, dove il rapporto è di reciproco insegnamento. Relazione non freudiana, ma fourierista, pluralista e non massificata.”L’espace du séminaire n’est pas eodipien, il est falansterien, c’est à dire en un sens, romanesque“.
Certamente è più arduo imparare ad imparare che imparare a ricercare. Soprattutto quando non si pratica lo storicismo inveterato e invertebrato. E quando viene investita la testualità contemporanea, centoni multimodali di frammenti e citazioni, livree semiotiche di Arlecchino.
Davanti a testi postmoderni – “inclassificabili” e “recalcitranti alle metodologie” – la ricerca non deve confondere l’ineffabile con la mancanza di vocabolario descrittivo. Proprio perché il Ghibellino insegna quello che non sa e scopre via via quello che cerca e non sapeva mancasse. La didattica Guelfa è il momento dei Lumi, la ricerca è quello dei barlumi, in cui i contenuti si costruiscono insieme col suo connaisseur. Nel corso della ricerca si possono enunciare propositi non ancora provati e insegnare quello che non si sa ancora. Barthes ne individua e gerarchizza tre spazi: Istituzionale, Transferenziale e Testuale.
La vera responsabilità nella ricerca è il Metodo, che non è un “creodo”, via obbligata in un panorama già “striato”. In primo luogo perché il metodo è insostituibile in quanto “les plus haut degré de conscience d’un langage qui ne s’oublie pas lui-meme” – noi diremmo come metalinguaggio che non dimentica di essere un livello della lingua. In secondo luogo perché il ricercatore lavora e inventa sia a partire che in vista di un metodo; deve costruirsi gli strumenti ad hoc per l’applicazione adeguata al corpus scelto e costruito in funzione del metodo stesso. L’accesso fa parte della significazione – strana idea che sia una impalcatura da togliere, mentre è una scala che non bisogna ritirare! In terzo luogo, la ricerca più innovatrice è quella che crea lacune nel metodo.
Ricercare – il lungo corpo a corpo con le articolazioni e le giunture testuali – non è l’esercizio del cogito ma del cogitamus. Un pensare insieme nella diversità dei punti di vista, attraverso gli aggiustamenti d’un metodo comune. In questo senso ogni ricercatore è relativista: attivatore di relazioni, costruttivista insomma. Anche l’analisi testuale è “refezione”: non è una copia né la replica di un modello: è produttiva e non riproduttiva. Non si limita a passare la parola così come si passa la mano. Anzi: espropria questa parola insieme alle improprietà dell’ascolto; evita l’io docente a profitto di un noi. Il testo è, etimologicamente, una spalliera e un sostegno di questo “attante collettivo d’enunciazione”. Un Noi che non è una dilatazione dell’Io, ma un Terzo Incluso nell’Io/Tu. Nei conflitti delle retoriche, per Barthes, la vittoria spetta sempre ad un Terzo Linguaggio, pronunciato da un Terzo Incluso.
Nella ricerca, discenti e docenti partecipano quindi alla costruzione di un rapporto – conflittuale e contrattuale – di proposte avanzate e rettificate. Per mandare in prescrizione le ipotesi precedenti, che contavano come prescrizioni di lettura. L’Informazione è, ciberneticamente, una rarefazione del senso e non la sua diffusione; è la creazione, ove possibile, di differenze originali.
Uno scopo non ultimo. Per Barthes, la semiotica doveva mettere in opera tutti i trucchi segnici che impediscono alla disciplina di “tomber dans le signifié définitif”. Pensava evidentemente al coordinamento di risultanze molteplici ed aperte nell’esplorazione di quella “x” che sta al centro della parola textum. Emergenze verbali nella moltiplicazione miope dei punti di vista: “peut-etre Mallarmé suggerait-il celà, lorsqu’il demandait que le Livre fut analogue à une conversation”.

4. Giochi e versi

Barthes diceva di amare, tra tutti gli alberi, la palma, perché i suoi rami non puntano verso l’altro, ma ricadono, come un dono. “Vers l’écriture. Les arbres sont des alphabets, disaient les Grecs. Parmi tous les arbres-lettres, le palmier est le plus beau. De l’écriture, profuse et distincte comme le jet de ses palmes, il possède l’effet majeur. La retombée”2.
Nella utopia barthesiana – che auspica una nuova semantica – questa lettera arborescente matura nel giardino sospeso del seminario di ricerca, dove è possibile insegnare quello che accade una sola volta, senza ripetersi. E dove i giochi sono quelli del rapido accavallarsi di molteplici mani (Barthes) o dei salti collettivi e sovrapposti che danno il titolo alla raccolta poetica (che mi è cara): Uno monta la luna3.Poi viene la scrittura: la ricaduta Intellettuale.
Per il moltiplicarsi dei supporti tecnologici – e della loro rapida obsolescenza –, scrivere ha perduto molta signoria: la permanenza documentaria e il suo monito monumentale. Ma non del tutto. Il contratto immaginario dell’insegnamento e della ricerca; il vigore performativo, l’illusione efficace di uno scambio creativo e di una reversibilità possono ancora essere scritti e riscritti.
Il Terzo Incluso della scrittura, quella che emerge dalla ricerca è il Terzo Istruito.


Bibliografia

Ballerini, L.
2001, Uno monta la luna, Lecce, Piero Manni.
Barthes, R.
1984, Le bruissement de la langue, Essais critiques IV, Paris, Seuil.
1971, “Intellectuels, écrivains, professeurs”, ora in Barthes, R., 1984 (da Tel quel).
1975, “Au séminaire”, ora in Barthes, R., 1984 (da Communications).
1975, Roland Barthes par Roland Barthes, Paris, Seuil.
2002, Le neutre, Cours au Collège de France, 1977-78, a cura di Clerc, T., Paris, Seuil.
Consolini, M., Marrone, G. (a cura di)
2010, “Roland Barthes: l’immagine, il visibile”, Riga, n. 30.
Fabbri, P.
1979, “Champs de maneuvres didactiques”, in Actes Sémiotiques. Le Bulletin, vol. II, n. 7, Paris.
1986, “Era, ora, Barthes”, in AA.VV., R. Barthes: i testi e gli atti, a cura di Fabbri P. e Pezzini I., Pratiche ed., Parma.

Note

  1. Tutte le citazioni sono di RB. torna al rimando a questa nota
  2. Qui Barthes cita la traduzione francese d’una poesia di H. Heine:
    Dans le nord un pin solitaire/Se dresse sur une colline aride;/Il sommeille: la neige et la glace/L’enveloppent de leur manteau blanc./Il reve d’un beau palmier,/la-bas au pays du soleil,/qui se désole morne e solitaire/sur la falaise de feu.
    Non è un caso che il senso del segno “palma” sia definito da una differenza di valore; discrimine che non è necessariamente una opposizione e non ingiunge una scelta. torna al rimando a questa nota
  3. Chi per primo saltava sulla schiena di quelli “che stavano sotto” (piegati ad angolo retto, il primo le mani contro il muro, gli altri con le mani sui fianchi di chi gli stava davanti) recitava questa giaculatoria. I due saltatori successivi ribadivano il concetto, modificando tuttavia la figura dell’agente (da luna, a bue, a re). […] La “bravura” consisteva nel reggere quanti più saltatori si potesse. Il crollo dei sottostanti poneva fine al gioco (e alla giaculatoria).
    (Ballerini) torna al rimando a questa nota
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