Introduzione a Una notte con Saturno di F. Bastide


Da: F. Bastide, Una notte con Saturno: saggi semiotici sul discorso scientifico, a cura di B. Latour, Meltemi, Roma, 2001.


1.

Hermetique ne suis, hermeneutique accepte.
(Ermetico non son, accetto l’ermeneutica)
R. Queneau, “Piccola cosmogonia portatile”

Nella Teoria Generale del Montaggio, S. M. Eisenstein chiama “segni confusi” quei fotogrammi “mossi “che danno un effetto d’imprecisione ma anche di movimento dell’oggetto o del punto di vista. Allo stesso modo, gli studi di semiotica oggi offrono una veduta di stallo, ma anche di variazioni continue di “portanza”. Si presentano sotto il segno di Ermes: tra ermeneutica testuale ed ermetismo terminologico, tra applicazioni commerciali e interdefinizione concettuale. Eppure uno sguardo più attento avverte che l’attività in corso non si limita all’elaborazione o alle applicazioni di modelli e che la ricerca ha distribuito in modo nuovo i coefficenti teorici della disciplina. È la Svolta Semiotica, tra i cui obbiettivi c’è la (ri)fondazione di una Retorica generale dei discorsi. Una retorica che non sia accumulazione storica d’argomentazioni e di tropi, definizioni e tassonomie derivanti da teorie logiche e linguistiche disparate, ma disciplina semanticamente fondata e capace di trarre insegnamento dall’esplorazione di testi di varia natura e fattura.
È quanto emerge dalle ricerche della semiologa e biologa Françoise Bastide ed in particolare dai nove studi che presentiamo per la prima volta riuniti in volume. Scelti dal sociologo delle scienze Bruno Latour, sono analisi semiotiche che spaziano dai testi storici di scienza e di tecnologia (di Claude Bernard, dei coniugi Curie, dei fratelli Lumière) a quelli di divulgazione mediatica e pubblicitaria. Con la stessa cura e sagacia, F. Bastide studia un vecchio articolo sul trascolorare dei peli della barba; la parabola di un renologo che si converte ad una ipotesi avversa alla sua; le istruzioni per lavare il fegato in una ricerca sperimentale; l’invenzione d’un procedimento per la fotografia a colori o la scala di Hamilton per vendere dei prodotti farmaceutici antidepressivi. Il pregio di queste ricerche risiede nella doppia, rara competenza di F. Bastide nelle scienze naturali e in quelle del discorso, nel suo sguardo bifocale di scienziato “ordinario” nel paradigma della biologia e “straordinario” in quello della semiotica. Per M. Serres, l’unico occhio del Ciclope è miope per definizione e il difetto delle enciclopedie disciplinari è d’essere circolari (etimologicamente: da “ciclo”): ordinate ad un solo centro. Propone quindi un’Ellittopedia delle scienze della significazione che, come l’ellissi, presenti due fuochi: per le scienze dell’uomo e della natura1. È il proposito implicito nella ricerca di F. Bastide: naturalmente questa duplice competenza, se evita la consueta emiplegia, raddoppia le difficoltà terminologiche e chiede di affrontare questi testi come una difficoltà felice.

1.1.

F. Bastide ha seguito fino alla metà degli anni ’80 lo sviluppo del paradigma semiotico riconducibile a L. Hjelmslev e a A. J. Greimas, imperniato sull’abbandono della nozione di Segno e sulla scelta del Testo come oggetto costruito. La biologa ne conosce con precisione l’atrezzeria narrativa e discorsiva2. Non si tratta di procedere ad analisi semantiche grammaticali e stilistiche dei tesi scientifici (v. Halliday, 1993; Weinrich, 1989) ma d’esplorare i sistemi e processi di signifcazione che sono all’opera nelle diverse formazioni discorsive. A differenza dei letterati – incerti o renitenti sull’applicabilità dei modelli semiotici – F. Bastide riteneva “gli studi delle scienze sperimentali particolarmente favorevoli allo studio delle procedure in corso tra livelli di pertinenza del senso”. Troveremo sotto la sua penna tutta la teoria griemasiana: le categorie semantiche disposte in quadrati di termini e relazioni; le articolazioni sintagmatiche conflittuali e contrattuali dell’enunciato narrativo; l’aspettualizzazione delle azioni; la combinatoria delle modalità e le interrogazioni sul sapere e sul credere; il meccanismo dell’enunciazione e del punto di vista, operatore di discorsività; le tattiche argomentative e paraboliche; le strategie di motivazione segnica cioè il semi-simbolismo; la traduzione tra i livelli del significato. Un ruolo esemplare spetta ad un testo di A. J. Greimas: I fatti casuali nelle cosiddette scienze umane, leggibile in controluce attraverso queste ricerche.
Potremmo chiamare micrologia semiotica il modo di procedere di F. Bastide nello studio delle scritture scientifiche. Se per Heidegger la scienza non pensa è certo però che gli scienziati scrivono ed iscrivono a dovizia. Recentemente Nature approssimava la semiosfera delle riviste specializzate ad un milione annuo di testi e secondo le American Mathematical Reviews, le sole matematiche producono 200.000 teoremi ogni anno! Si aggiunga che la testualità scientifica è fatta di generi diversi, che vanno dal protocollo di laboratorio fino all’abstract, passando per il paper di scoperta, la recensione, il manuale d’insegnamento e l’articolo di divulgazione. Ogni analisi a tappeto sembra impossibile: così come le grammatiche si costruiscono intorno a pochi esempi, anche le generalizzazioni epistemologiche e le tipologie testuali vertono su pochi testi, spesso gli stessi. Eppure ciascuno di questi generi testuali ha un diverso effetto di senso: i manuali presentano risultati inconcussi, mentre gli articoli di scoperta sono ricchi in modalizzazioni e modulazioni e creano diversi contratti di credibilità con i propri destinatari3. Che fare per non ricadere nei grandi e tautologici affreschi dell’epistemologia normativa? Mentre G. Holton, ad esempio, procede ai prelievi testuali per raggupparli in themata, F. Bastide ha preso il partito di “saggiare”, cioè di ponderare il discorso scientifico – con un’analisi di differenti generi di testi brevi4. Per parafrasare Galileo, davanti ad una epistemologia che procede per exempla ficta o usa “una stadera un poco troppo grossa”, il metodo analitico della semiotica invita a servirsi di “una più delicata bilancia da saggiatori”. La scansione testuale si fa in termini generativi: come nella lettura di un codice a barre, una successione di valori-funtivi di tensione enunciazionale va tradotta in testi enunciati di cui vanno poi esplorate le articolazioni. Anche se non caratterizza sempre l’intera struttura dell’articolo, (ma v. l’analisi di C. Bernard), F. Bastide ritaglia, nella sostanza argomentativa implicata nella sensatezza del fare scientifico, un tessuto di minuzie altamente significative. Mirando alla esemplarità più che alla rappresentatività, alla pertinenza più che alla esaustività, queste le ricerche trasformano una debolezza – l’esiguità del campione – in forza. La lettura minuziosa trasforma ogni testo in Gedankenexperiment e mostra quanto gli scienziati sono sottili nei criteri di composizione e scomposizione della realtà fisica e di quella discorsiva. Si rende così evidente – dio è nei dettagli – che testo non esegue un codice prescritto ma che è piuttosto dal testo che si procede (per disimplicazione e rifigurazione) all’ipotesi di un codice soggiacente. La lettura non si fa per semplice applicazione di modelli prefabbricati, ma presuppone la costruzione preliminare di un un co-testo adeguato (v., ad esempio, l’analisi dell’invenzione dei Lumières o degli articoli di stampa sull’incontro con Saturno), cioè di un corpus pertinente, trascelto in una “ellittopedia” presupposta e costantemente ricostruita. Questo modo di vedere rinfresca l’immagine dello scienziato come operatore testuale e intertestuale, con tutti i problemi connessi d’eleganza e d’efficacia, di traduzione e di tradimento. F. Bastide non ha selezionato testi anomali, è lo scienziato “normale” che procede testualmente in modo tutt’altro che standard (v. in particolare il saggio del renologo H. Smith), con una ingegnosità che somiglia al bricolage più che all’applicazione di una razionalità canonizzata. Persino nella frode è all’opera una sagacia che sembra appartenere alla metis, all’intelligenza ingegnosa più che non al logos, al raziocinio formalizzato.
Di qui l’attenzione particolare con cui F. Bastide, oltre alle proposizoni, argomentazioni, generalizzazioni e metafore, scruta le sezioni “materiali e metodi”. Luogo fertile d’invenzioni e di artifici essenziale per comprendere il funzionamento di una scienza “instrumentata”, che ha rotto con le evidenze dell’osservazione naturale e costruisce i suoi oggetti attraverso la delega ad attori non umani, dotati di proprie competenze e strategie di visualizzazione e d’iscrizione. Con sottigliezza scientifica e semiotica, F. Bastide ci segnala i dispositivi intricati di traduzione che scandiscono le tappe tra l’oggetto “reale”(intensivo) e quello “rappresentato”(estensivo), tappe che lo scientismo e la divulgazione si affrettano a cancellare a profitto d’un ingenuo materialismo. Il “fatto” è costrutto e non feticcio o “fatticcio”, per usare la parola-valigia di B. Latour. La “fedeltà” della rappresentazione di stati o processi è funzione della sintassi dei dispositivi (dai termomentri alla micro-fotografia) per catturare tracce d’ogni genere, implicitate dallo scienziato negli habitus di ricerca.
Per la scienza essenziale è la Visualizzazione: come diceva Galileo “la sola vista della figura mi ha chiarito tutto”. Ma per vedere l’invisibile non basta infatti la traduzione oculare, sulla cui interazione con il cannocchiale aveva già discusso il Saggiatore. Il testo scientifico è la manifestazione sincretica di una attività tracciante: parole, immagini e di segni intermedi d’ogni sorta come fotografie e didascalie, diagrammi, schemi, lettere e numerazioni, frecce e asterischi, ecc. Tutta una Grammatologia, più che una iconologia, in cui la Fotografia scientifica svolge una funzione particolare. Le notazioni in proposito di F. Bastide sono originali e penetranti. Negli articoli dedicati all’immaginario (nel senso di dizionario di immagini) scientifico, la fotografia non si presenta come un indice peirciano in contatto diretto con il suo referente, garante di riconoscibiità immediata e di evidenza ultima. È un apparato simbolico complesso, legato alla tradizione culturale della raffigurazione (inquadratura, profondità, direzione di lettura, ecc.) e sottoposto a continue rimotivazioni (come l’uso dei “falsi colori” per accentuare le distinzioni pertinenti) che la semiotica chiama semi-simbolismo (cioè correlazioni tra categorie dell’Espressione e del Contenuto).

1.2.

Questo uso creativo della spazialità planare nel testo scientifico è occultato da un proposito di automaticità e di fedeltà al referenziale che F. Bastide chiama invece dispositivo retorico di persuasione. Come la scienza la semiotica ha i propri oggett invisibili che sono le argomentazioni allusive, le istanze encunciativeimplicite, gli enunciati presupposti. La foto di una molecola, prelevato da un testo in cui si discute una frode, permette un appello ‘diretto’ alla realtà, attraverso la cancellazione del prospettivismo che è iscritto in quegli osservatori delegati che sono i dispositivi d’iscrizione. Non si tratta di referenza, di corrispondenza tra i segni e le cose: anche le posizioni in conflitto fanno appello, ciascuna a suo modo al giudizio “definitivo” della natura. È un effetto di realtà, una strategia di riferimento comune ai testi letterari, che si ottiene attraverso la cancellazione delle tracce d’enunciazione. Ma F. Bastide sa perché e sa che cancellando le tracce si lasciano tracce! Qui sta il suo contributo più originale al funzionamento retorico delle scienze “dure”: nel riconoscimento specifico dei meccanismi polemici e persuasivi di cui è letteralmente intriso il loro discorso. Ci è nota – fin dal capolavoro polemico di Galileo, il Saggiatore – il carattere eristico della retorica scientifica. L’originalità del semiologo è di mostrare come, dalla più semplice delle istruzioni (come lavare un fegato!) fino alla loro forma compiuta, gli articoli esaminati sono scritti non per “dichiarare” il vero, ma per vincere e convincere, per far prevalere la propria posizione o strappare il consenso della comunità dei destinatari. In questo senso almeno è vero che anything goes! Ogni proposizione è una proposta, ogni posizione un’opposizione, ogni prova una controprova. Il linguaggio descrittivo è una argomentazione figurativa che ne replica, ribatte o ritorce un’altra: sillogismi e tropi, separati nalla vecchia retorica, sono reversibili. Di qui l’insufficienza esplicativa di ogni tipologia preconcetta di figure di stile (metafore) o inferenze cognitive (abduzione). Il fare interpretativo è in vista di un fare persuasivo: far sapere è sopratutto far credere chi non ha fiducia o che ha fiducia in altro, come prova il curioso esempio di “conversione onirica” di H. Smith. Ogni testo contiene un contro-testo. F. Bastide lo prova con un piccolo esperimento testuale: esplicitando gli impliciti e i sottintesi di un testo e costruendo una controversia interna: L’obbiettivo è l’efficacia: come oggettivare le proprie prove e soggettivare quelle dell’antagonista. Anche i criteri “estetici” di coerenza, semplicità, eleganza sono argomenti per vincere una diffidenza, ottenere un’adesione che ha la sua forza polemica, sciogliere o stipulare un nuovo contratto di veridizione. La razionalità normativa riconosce di malavoglia questo lato oscuro, vero infrarosso del discorso scientifico. Eppure la specificità della proposizione teorica è dettata proprio dal proposito retorico. Per F. Bastide: “Il carattere persuasivo del testo scientifico si basa su questa struttura che tende per ogni livello a ridurre la scelta che ci si presenta ad una sola possibilità oppure, per restare fedeli all’immagine dell’albero, a rafforzare il ramo scelto e a potare i rami alternativi. La solidità di tale costruzione, nel caso d’un buon articolo, si traduce nel fatto che si possano citarne i risultati riassumendoli in una sola frase”. Ma non è solo questione d’elasticità cognitiva. Il testo scientifico, contrariamente alla sua vulgata, attiva delle passioni particolari come il dubbio e la certezza, ma anche l’attesa e la meraviglia, come risulta evidente nel corpus delle riviste di divulgazione all’occasione dell’incontro tra il Voyager 1 e Saturno. Senza questi requisiti, la divulgazione si riduce ad una esecuzione sommaria di concetti o all’uso di grossolane metafore per un’ipotetico e immotivato lettore che non le leggerà mai. La nuova retorica, semioticamente equipaggiata, propone quindi di tessere un nuovo legame tra il primo e il secondo libro delle Retorica di Aristotele: tra una teoria del ragionamento e una tipologia delle passioni. È un antico lascito: c’è chi sostiene che Cicerone sia stato l’editore del De rerum naturae!
Per M. Serres la polemica toglie forza all’invenzione: a noi sembra che affini lo spirito sagage e l’esattezza. Aggiungeremmo l’ironia, che non manca agli scienziati5, né a F. Bastide sia nella scelta dei testi (il sogno di H. Smith, il cambio di colore della barba di Brown Séquard) o nella lettura dei titoli di Libération e delle scale “pubblicitarie” di Hamilton. Requisito necessario se, come auspica Lévi-Leblond, vedremo svilupparsi una critica scientifica, – come c’è oggi una critica letteraria o cinematografia – capace di monitoraggio semantico e discorsivo.

2.

Che retorica è la vostra?
(Galileo, “Il Saggiatore”)

La prematura scomparsa di F. Bastide, non ha interrotto il progetto semiotico in cui ha giocato un ruolo di segnavia. Le parole date sono state ricevute e le sue ricerche continuano ad essere un “segnale di contestualizzazione” per gli studi semiotici come per quelli di sociologia della scienza e della tecnologia.
Per quanto riguarda la semiotica, prosegue i l’orientamento verso un’analisi discorsiva che va oltre i limiti del discorso letterario, pur conservando ed adattando i concetti comuni narrativi e cognitivi. La ricerca non può ridurre le pratiche scientifiche di senso ad una strumentazione sillogistica uniforme, ma deve operare con una teoria dell’azione ed una strategia dell’enunciazione, esplorando le differenze di argomentazione “figurativa” in gioco nei testi sincretici – articoli o laboratori – dove si costruiscono gli oggetti e i soggetti delle scienze. Anziché replicare l’uniformità dei procedimenti abduttivi (Eco, 1990), va moltiplicata la differenza delle strategie conflittuali e delle tattiche persuasive. In questo modo un testo che apparentemente non presenta “segni particolari”, manifesta la sua singolarità. Era il senso del progetto foucaultiano: sostituire alla storia delle idee un’archeologia del sapere interessata alle “funzioni enunciative” e alle “regolarità discorsive”, al modo cioè con cui il discorso è instanziato e istoriato.
Un principio di precauzione semiotica e l’interesse per la soluzione di rompicapo teorici (la relazione forma/sostanza; enunciazione/enunciato, ecc.) e uno scientismo filosofante diffuso negli ambienti semiotici6 ha trattenuto F. Bastide dalle estrapolazioni epistemiche (ma la lettura de Il fegato lavato di C. Bernard è un piccolo saggio teorico).
Il testimone oggi è nelle mani di Bruno Latour che, nel quadro dei STS (Science & Technology Studies) svolge un programma coerente di rinnovo delle scienze umane alla luce d’una sociologia delle scienze sociali e naturali che ha la semiotica come Organon di ricerca. Un Organon non è una disciplina e neanche un canone: è un segnalatore di posizione e di manovra, un insieme di regole d’uso pratico e d’impiego legittimo. Non promulga leggi necessarie che il pensiero debba rispettare e non somministra modelli “usa e getta”. Dispone invece di indicazioni articolate e interdefinite per acquisire conoscenze e allargare il campo d’applicazione delle nozioni scientifiche. Ci sembra che F. Bastide, a lungo collaboratrice di B. Latour, abbia installato in quest’ambito la sua cabina di montaggio per il rinnovo della retorica del discorso scientifico, ricerca “micrologica”, che ha preso le proporzioni d’un settore disciplinare autonomo7. Latour ha però radicalmente esteso il progetto: da una retorica più debole propone di passare ad una Retorica più forte8. Continuando a servirsi di nozioni come attante, modalità, competenza, enunciazione9, le inserisce in una ricerca sociologica dei fatti e degli artefatti delle scienze naturali. Usa, come F. Bastide, dell’idea di attante per evitare ogni distizione apriori tra attori umani e non umani (animali, strumenti); della nozione di testo semiotico sincretico per porre accanto agli scritti scientifici (dal note-log all’abstract) una Grammatologia di tracce ed iscrizioni generate dagli strumenti di laboratorio; delle tattiche enunciative per evidenziare la costruzione dei referenti testuali e le mosse per farli valere. Per Latour “scientifico” non proviene da “scienza” – la derivazione avrebbe dato “scienziale” – ma da “fare scienza”. L’oggetto scientifico viene costruito attraverso una catena di traduzione10 fatta di osservatori delegati, ibridi umani e non umani. Il laboratorio non interpreta, ma “interpetra” semioticamente parole e cose; è l’intercessore che dà agli oggetti la possibilità di “obbiettare” agli enunciati contrastanti che li descrivono. È sempre possibile creare altre scatole nere o aprire un anti-laboratorio. Infine Latour mostra l’effetto di reale con cui lo scienziato enunciatore si presenta come porta-parola di fatti i quali, – dopo le necessarie controversie e altre prove di forza – finiscono poi per cambiare di statuto ontologico: il processo di de-soggettivazione e di reificazione con cui da indiscussi diventano reali11. Non è il luogo per sottolineare le caratteristiche epistemologiche dei Science & Technology Studies (e dei Action-Net Studies ad essi legati) i quali, via l’Etnometodologia, condividono con la semiotica greimasiana una solida radice fenomenologica. Ma è evidente che l’affermazione del posto “discorsivo” che essi assegnano alla natura è fatta apposta per comportare accuse di relativismo e soggettivismo, di scetticismo e di post-modernismo. Mettere in campo i gettoni di presenza dell’enunciazione e i costrutti del riferimento turba chi soffre di Ontalgia (direbbe Queneau), i cavalieri del vero e del reale, della razionalità incarnata nelle scienze naturali. La “guerra delle scienze” è cominciata a dispetto del fatto che né il semiologo né il sociologo pensano di scambiare l’ovvia relatività delle conoscenze (“la moltitudine dei veri” di cui parla Galileo) per la ragion pigra del relativismo. Anche lo scetticismo può essere attivo e costruttivo.
Nel recente, rumoroso episodio che va sotto il nome di “beffa di Sokal”, l'”analisi semiotica della teoria della relatività” compiuta da Latour su di un testo di Einstein (Relativity, the special and general theory, 1916), viene tacciata di “impostura intellettuale”12. Non solo il sociologo non avrebbe compreso il concetto di relatività, ma si sarebbe reso colpevole di relativismo per aver introdotto le nozioni di “riferimento interno” al testo e di “manovre enunciative”. Per questti autori, naturalmente, la soluzione è separare il nucleo profondo del contenuto fisico dalle strategie retoriche superficiali. Alla semiotica insomma le qualità secondarie della cultura, alla fisica quelle principali della realtà. Ma qui sta il punto: la retorica discorsiva non è un ricaduta esterna d’effetti collaterali. Come fa notare F. Fixari in Sokal lisant Latour lisant Einstein, l’applicazione ad Einstein di una “lettura formale o semiotica … [è] molto lontana dalle decisioni metafisiche sullo statuto del reale, … [e porta] sulla pratica concreta di costruzione dei fatti”13. Un dispositivo confermato nella sua esattezza dal fisico N. David Mermin, a cui era stata esplicitamente affidata la valutazione del saggio di Latour14. Quest’ultimo dimostrava il carattere narrativo del libro sulla Relatività – che è opera di divulgazione – e l’impressione di resistenza alle prove che i semiologi chiamano referente interno, usando strategie di enunciazione e deleghe d’osservatore produttrici d’iscrizioni (diagrammi, tavole, figure, ecc.), in modo non diverso dai racconti di A. Christie15. I “razionalisti” hanno accusato d'”empirismo”, questo paperwork di scienza in azione, in cui riconosciamo i modi della semio-biologa F. Bastide, per cui non c’era incompatibilità tra empirismo e razionalismo. Sono principi che hanno ragione quando ciascuno dà ragione all’altro: l’empirismo ha bisogno d’essere capito, il razionalismo d’essere applicato.
In conclusione: ha avuto luogo una svolta semiotica, che dal segno si è spostata al discorso e dai meccanismi logici di rinvio ai dispositivi di significazione: sistemi di relazioni e processi strategici. Svolta che, se ha perso il segno non ha perso il filo, d’una metodologia delle scienze dell’uomo che contribuisce a rinnovare. Metodologia particolarmente necessaria alla nuova condizione in cui versano queste discipline, spinte verso la conoscenza degli oggetti, come le scienze “dure” lo sonoe verso le pratiche della collettività. Un’epistemologia che non voglia essere pubblicità per le scienze o razionalizzazione della “filosofia spontanea” degli scienziati, deve essere in grado d’inventare il passaggio tra i vecchio e il nuovo. E di render conto di questa novità: il suo oggetto include gli uomini e le cose. Potrà contare sulla semiotica, disciplina al limite frattale tra i discorsi scientifici e no, Arlecchino vestito coi panni di due livree, intercessore e volano per la costruzione di un mondo comune di significati e di valori. La parola “mutuo” viene da “mutare”.


Note

  1. Vedi Serres, 1991. torna al rimando a questa nota
  2. Vedi in bibliografia i suoi contributi a Sémiotique, vol. 2°. torna al rimando a questa nota
  3. Vedi Fabbri e Latour, in Semiotica in nuce, vol. 1°, 2000. torna al rimando a questa nota
  4. Così procede nellla lettura della poesia R. Jakobson: dopo una definizione generale della funzione poetica e degli strumenti appropriati (parallelismi, coupling, paranomasi, ecc.), il linguista procede alla scansione ravvicinata di forme brevi, letterarie e visive. torna al rimando a questa nota
  5. Vedi Alliage, 1992 e F. Bastide e P. Fabbri, 1984. torna al rimando a questa nota
  6. Vedi in particolare i contributi di J. Petitot in Sémiotique, vol. 2°. torna al rimando a questa nota
  7. Vedi per una valutazione complessiva, Knorr Cetina, 1999. torna al rimando a questa nota
  8. È appunto il titolo della prima parte di Latour, 1989. torna al rimando a questa nota
  9. Vedi Latour, 1999. torna al rimando a questa nota
  10. Vedi in particolare Callon, 1986. La nozione è ripresa da M. Serres che ha postulato spesso una filosofia pronominale e modale. Vedi Serres, 1992. torna al rimando a questa nota
  11. Vedi soprattutto Latour, 1992. torna al rimando a questa nota
  12. Per la polemica sul testo di Latour, 1988, vedi in particolare il cap. 3. torna al rimando a questa nota
  13. Il contributo di Fixari sta in Jordant B., 1998. torna al rimando a questa nota
  14. Vedi Mermin D. N., 1997. torna al rimando a questa nota
  15. Sulla narratività nel discorso divulgativo delle scienze e il ruolo dell’eleganza del modello nell’attesa euristica vedi Weinrich, 1989. torna al rimando a questa nota

Bibliografia

AA.VV., Impostures scientifiques, les malentendus de l’affaire Sokal, a cura di Jourdant, B., La Découverte, Paris, 1998.

Alliage, “L’humour de la science”, ANAIS Ed., Nice, n. 11-12, 1992.

Alliage, “L’écrit de la science”, ANAIS Ed., Nice, n. 37-38, 1998-99.

Biagioli, M. (ed.), The Science Studies Reader, London, Routledge, 1999.

Callon, M., “Some elements of a sociology of translation”, in J. Law (ed.), Power, Action and Belief. A new sociology of knowledge?, Sociological Review Monograph, Keele, 1986.

Eco, U., I limiti dell’interpretazione, Bompiani, Milano 1990.

Fabbri, P.; Bastide, F., “Lebende Detektorens und komplementare Zeichen”, Zeitschrift für Semiotik, Berlin, b. 6, h. 3, 1984

Greimas, A. J., “I fatti casuali nelle cosiddette scienze umane”, in Del senso, vol. 2, Bompiani, Milano, 1984.

Greimas, A. J. e Courtès, J. (a cura di), Semiotique 2°. Dictionnaire Raisonné des sciences du langage, Hachette, Paris, 1986.

Halliday, M. A. K; Martin, J. R. (eds.), Writing science, University of Pittsburg Press, 1993.

Jasanov, S.; Markle, G.; Peterson, J. C.; Pinch, T. (eds.), Handbook of Science and Technology studies, Sage, London, 1995.

Knorr Cetina, K., Epistemic cultures. How the Sciences make Knowledge, Harvard Univ. Press, Cambridge (Mass.), 1999.

Latour, B., “Vouloir, devoir, savoir dans un article de sciences exactes”, Actes de la Recherche, Minuit, Paris, n. 1, 1977.
(Trad. it. in Semiotica in nuce, vol. 1, a cura di P. Fabbri e G. Marrone, Meltemi, Roma, 1999)
(Trad. inglese in Technostyle, Canada, v. 16, n. 1, winter 2000)

Latour, B., “A relativistic account of Einstein’s Relativity”, Social Studies of Sciences, n. 18, 1988.

Latour, B., La science en action, La Découverte, Paris, 1989.

Latour, B., “Pasteur on Lactic acid Yeast: a partial semiotic analysis”, Configurations, J. Hopkins Univ. Press, Baltimore, n. 1, 1992.

Latour, B., “Piccola filosofia dell’enunciazione”, sta in AA. VV., Eloquio del senso. Dialoghi semiotici per P. Fabbri, a cura di Basso, P. L. e Corrain, L., Costa e Nolan, Milano, 1999.

Law, J.; Hassard, John (eds.), Actor Network Theory and after, Blackwell, London, 1999.

Mermin, N. David, “Reference frame: what is wrong with this frame?”, in Physics today, n. 50, oct. 1997.

Serres, M., Le Tiers instruit, F. Burin, 1991.
(Trad. it. Il mantello d’Arlecchino, Marsilio, Venezia, 1992)

Serres, M., Eclaircissements. Entretiens avec B. Latour, F. Burin, 1992.

Sokal, A.; Bricmont, J., Impostures intellectuelles, O. Jacob, Paris, 1997.

Weinrich, H., “Linguaggio e scienza”, in Vie della cultura linguistica, il Mulino, Bologna, 1989.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento