Consistere: sostanza e forma


Titolo originale: “Texture: substance and form”, in AA.VV., Bockenheim revisited, a cura di L. Ballerini, Gastronomica, journal of food and culture, n. 2, vol. 3, 2003, pp. 50-63.


0.

Sic fac rostire lac amigdolarum in spitone. Recipe lac bene spissum, et temperat illud cum bono brodio. Post hoc recipe una spongiam, et mitte eam ad spitonem, ita quod calefiat; et tunc infunde illud lac, et volve spitone valde lente, donec lac indurescit; et tunc divide spongiam in duas partes, et manet lac in spitone; et tunc volve spitonem lente. Donec sit coctum. Et erit bonum pro meretricibus

Ricetta è un atto di linguaggio. L’imperativo “récipe” non è un ordine, ha la forza illocutiva d’una istruzione, seguita da una serie di regole strette e di massime indicative. E récipe mi dice Luigi, invitandomi a interrogare come un rebus il singolare testo del Registrum Coquine di Johann di Bockenheim. Per carpire il doppio segreto di questa mirabilium gulae: quello d’un ingrediente, la Spugna Vegetale e la speciale prelibatezza di questo piatto per le Donne di Piacere.
Ma di segreti come questi, il semiologo è cattivo ricettore (o ricettatore). Perché del testo – che è cucina del senso (Barthes) – lo incuriosiscono, la sintassi più del lessico, più degli attori i verbi d’azione. Propongo quindi una mia ricetta. Per esplorare il bricolage che la cucica, come l’alchimia, compie sulla materia e sulla forma del mondo, comincerò col leggere la serie orientata delle sue operazioni di trasformazione. Mi interrogherò poi sui piccoli enigmi che Luigi ci propone, più per ridurli che per risolverli.
A lui giudicare la felicità degli esiti.

1.

Una premessa è necessaria, limpida per chi ha pratica di testi. Mentre per l’enunciatore della ricetta le operazioni sono consecutive, orientate verso la conclusione, per l’esecutore materiale la lettura è capovolta. Lui parte proprio dalla conclusione, cioè dalla paradossale vivanda che intende ottenere – il latte arrostito – e interroga la ricetta per presupposizione, ricostruendo poi la sequenza delle operazioni necessarie alla trasformazione dello stato iniziale.

Sic fac rostire lac amigdolarum in spitone.

1 Recipe lac bene spissum,
et temperat illud cum bono brodio.

2 Post hoc recipe una spongiam,
et mitte eam ad spitonem,
ita quod calefiat;

3 et tunc infunde illud lac,
et volve spitone valde lente,
donec lac indurescit;

4 et tunc divide spongiam in duas partes,
et manet lac in spitone;

5 et tunc volve spitonem lente.
Donec sit coctum.

Et erit bonum pro meretricibus.

La ricetta di Johann di Bockenheim richiede, per la cottura, pochi verbi d’azione: Arrostire, Mescolare, Scaldare, Girare, Imbevere, Tagliare. Verbi di diversa complessità operativa che si collocano nella tassonomia delle azioni fondamentali sulla materia (Leroi-Gourhan). Per F. Bastide, l’ordine naturale di queste operazioni si spiega in un vasto campo semantico, articolato da poche, grandi categorie binarie e gerarchizzate:

Apertura
Destrutturazione
Mescolanza
Espansione
Concentrazione
Prelievo
Strutturazione
Chiusura.

Per la nostra ricetta, si tratta di portare il latte di mandorla – aperto e destrutturato, mescolato ed espanso – ad uno stato finale chiuso, strutturato, secabile e denso. Compattare la liquidità – coagulare al fuoco, che è un procedimento contrario a quello usato per ottenere una zuppa! (Greimas)
Il soggetto operatore che mescola, intinge, gira, riscalda e arrostisce è competente nelle sostanze e forme del mondo, quanto alla loro metamorfosi e transustanziazione. Per arrivare a tagliare in due il latte, la ricetta propone un piccolo algoritmo di programmi orientati e gerarchizzati, come i membri di una lunga frase o le gesta d’un racconto breve. Dalla mescolanza della diversa liquidità del latte e del brodo si va prima ad uno stato gelatinoso, quindi a una sorta di flan che può essere inciso e ripartito.
È quindi richiesto un savoir faire strumentale esplicito o presupposto: spiedi, bollitori, cucchiai (?) e coltelli, che sono attori delegati del cuoco, come le armi degli eroi delle favole, le storte alchemiche o gli apparecchi dei laboratori. La cucina è una fucina atrezzata dove si agisce sulla estensione, i confini e la permeabilità dei corpi.
Letta nella direzione costruttiva, che è quella dell’emittente, la ricetta si presenta come una sintassi di “ingredienti”, cioè di elementi che “entrano” in modo regolato a far parte della vivanda. Questi sono disposti secondo una sequenza logica che tiene conto della proprietà fisiche, come ad esempio il cambiamento di fase del liquido che, da discreto che è (gocce), si compatta al fuoco con diversi gradi di concentrazione (fette). Un’intelligenza sintagmatica, direbbe il semiologo, come quella che troviamo in chimica, nei modi d’isolare, per esempio, il glicoceno. O nella letteratura che cucina soggetti (v. il Bildungsroman), così come la cucina racconta oggetti.
Quanto alla Spugna Vegetale la descriveremo per approssimazione, attraverso alcune propretà sensibili. È porosa, cioè composta di pieni e di vacui in comunicazione; è suscettibile di impregnazione da liquidi, che trattiene; è consistente, cioè resistente al fuoco, ma penetrabile allo spiedo e secabile con il coltello.
Vorremmo insistere, ma mancano spazio e tempo, sul coordinamento delle diverse operazioni – mentre si taglia la spugna imbevuta si deve continuare a girare lo spiedo e intanto il fuoco va avanti, ecc. – non diverse dalle delicate concomitanze tra le lineee d’azione dei romanzi. E sull’esistenza di sottoprogammi fissi (Arrostire allo spiedo) validi per differenti generi di ricette e che si comportano come i motivi nelle letterature folkloriche, nei romanzi feuilleton o nelle serie televisive.
E che dire degli impliciti e sottintesi abituali d’ogni ricetta? Il latte è abbastanza denso; la dose buona: il girare a volte rapido a volte piano (ma quanto?); una volta terminato (ma quando?). Qui invece la ricetta somiglia, più che a una narrazione, ad uno spartito musicale o ad un piano d’architetto: non è un autografo, ma un “allografo”, che il destinatario cognitivo – il lettore – deve esplicitare e quello pragmatico – il cuoco – eseguire (Goodman).

2.

Non intendiamo gettar la Spugna Vegetale. Prima però notiamo un singolare carattere del testo in cui figura. Non è cucina ma meta-cucina: non tramuta prodotti crudi in cotti, portandoli dalla natura alla cultura (come un’insalata o un uovo sodo), ma elabora prodotti finiti, ingredienti già culturalizzati (latte di mandola, brodo). È una sofisticazione sulla cultura, da apprezzare estesicamente – per il piacere del palato (e del parlato) – ed esteticamente – per il suo gusto “gotico” (Jakobson).
Quando il sensibile culmina nel gusto tangibile, merita di essere chiamato sensuale. Per lo Scaligero, ad esempio, quello sessuale non era forse un “sesto senso simile al gusto”? Forse la vivanda di Johann di Bockenheim è l’ingrediente di ben altre ricette.
“Una chiara organizzazione della vita sociale emerse quando il cibo cominciò ad essere scambiato con prestazioni sessuali” osserva l’antropologo (Harris): sembra giunto allora il momento d’introdurre un’incognita del nostro rebus: il piacere delle Donne di Piacere.
Non è la sola affermazione dei destinatari prototipi, a sollecitare la nostra attenzione, ma la rottura del ritmo testuale: il passaggio enunciativo dalla sequenza degli imperativi d’istruzione e dal presente delle trasformazioni materiali al futuro impersonale degli effetti.
Le opinioni vanno da una generica indicazione psicanalitica (latte di mandorle e spugna erettile …) fino alla cura galenica delle malattie veneree attraverso la stimolazione della tiroide. Si noti che deciderne l’isotopia significa anche scegliere il tipo di attore implicato nell’azione, la spugna che di volta in volta è stata identificata in una spongia officialis, sottospecie mollissima (un cono rovesciato con ampia cavità centrale), o una spugna vegetale che implica in trattamento complesso delle fibre della Luffa di cui diremo in seguito.
A cosa ci porta la nostra analisi. È comune sentire che gli ingredienti, come il latte di mandorle e i buoni brodi, abbiano un effetto riconosciuto sulla qualità degli incarnati. Ma come abbiamo visto, la nostra ricetta genera un tratto semantico originale e forse pertinente: la Consistenza. Non si tratta solo d’una proprietà fisica, ma d’un valore che va oltre le proprietà tangibili del mondo ed ha una efficacia riflessiva e transitiva. Riflessiva, sullo splendore delle membra seduttrici delle donne di piacere e transitiva, sull’auspicata consistenza dei membri dei loro clienti.
P. Camporesi, tra gli altri, ci ha abituato all’idea di ricette capaci di ovviare alle inconsistenze maschili per mezzo di prodotti compatti. Nel nostro caso il latte dev’essere denso ma, per prendere consistenza e forma, si deve intingere ed impregnare in una Spugna Vegetale. Questo predicato ci porta lontano dallo Sponge cake, che pur si serve di quei porosi savoiardi imbevuti, i quali offrono peraltro al folklore la bassa metafora sessuale: “intingere il biscotto”. Propendo quindi per la Spugna Vegetale detta di Luffa, “sapore verde” che è il risultato di un trattamento complicato delle fibre di Luffa. Si tratta di una cucurbitacea di paesi caldi ed esotici, il cui frutto peponico – lungo, oblungo e cilindrico – commestibile da giovane e raggrinzito quando invecchia, permette, una volta tolta la scorza, di selezionarne delle fibre intrecciate per farne una Spugna. Vegetale, si noti, come il caglio che serviva a rapprendere il latte e disponibile dunque per calde impregnazioni e l’anticipazione immaginaria di auspicabili tumescenze.
Allora? Nel “Finale” delle sue Mitologiche, C. Lévi-Strauss riaffema l’ambizione fenomenologica di gettare un ponte tra le qualità sensibili e intelligibili: l’analisi strutturale dovrebbe far “emergere nello spirito ciò che già stava nel corpo”. Contrariamenta al luogo comune, per cui non di scienza si tratta, né di filosofia, ma di libre rêverie.
Tra scienza ed arte, l’ermeneutica e la rêverie, la semiotica può forse trovare, ed è un augurio che spera d’essere performativo, il suo posto di disciplina.


Bibliografia

Ballerini, L., “Maestro Martino: il Carnenade dei cuochi”, in Maestro Martino. Libro de arte coquinaria, G. Tommasi Ed., Milano, 2001.

Bastide, F., “Il trattamento della materia”, in Semiotica in nuce, a cura di Fabbri, P. e Marrone, G., vol. 2, Meltemi, Roma, 2001.

Camporesi, P., I balsami di venere, Garzanti, Milano, 1989.

Fabbri, P., “Palatogrammi”, in AA.VV., La cucina bricconcella (Omaggio a P. Artusi), a cura di Pollarini, A., Grafis Edizioni, Bologna, 1991.

Goodman, N., Linguaggi dell’arte, Saggiatore, Milano, 1976.

Greimas, A. J., “La zuppa al pesto”, in Del senso, vol. 2, Bompiani, Milano, 1983.

Harris, M., Our kind, Harper & Row, New York, 1989.

Jacobson, R., “Il luccio alla Polacca”, in Premesse di storia letteraria slava, Saggiatore, Milano, 1975.

Leroi-Gourhan, A., L’uomo e la materia, Jaca Book, Milano, 1993.

Lévi -Strauss, C., L’homme nu, Seuil, Paris, 1971.

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