Una Galleria di Interpreti


Da: Grandi Interpreti del Rossini Opera Festival, Catalogo della Mostra, a cura di Franca Mancini, Galleria Franca Mancini, Pesaro, 2008.


 

…l’Opéra, qui réclame les choses qui parlent aux yeux
(Stendhal, Vie de Rossini)

1.

Nei suoi Caratteri (1691), La Bruyère scriveva dell’Opera “la caratteristica propria a questo spettacolo è tenere spirito, occhi e orecchie sotto l’effetto d’uno stesso incantesimo”.
L’Opera, infatti, finche dura, è il luogo del canto e dell’incantesimo; ci sottrae, stregati, al tempo o ci dà il suo tempo da seguire. Deve però saper tornare, al calar della tela, al presente. Dopo il crescendo della sequenza finale, cadono le maschere, si saluta il pubblico, sospeso a divinis e richiamato dal settimo cielo. Ma il silenzio che segue l’ultimo applauso è ancora parte dell’opera che prosegue come un’eco o un riverbero.
La mostra, in cui Franca Mancini raccoglie disegni, foto e collages dedicate ai grandi interpreti del ROF, vuol abitare questo silenzio, intriso della memoria di tutte varianti esecutive che costituiscono il mito rossiniano e il suo rito pesarese.
Ancora una volta, così, le Rencontres Rossiniennes hanno fissato e seguito la loro rotta originale: il confronto delle arti plastiche e della musica, lo scontro e il raffronto tra l’Opera e le opere, gli atti e i quadri, le scenografie e le installazioni. Perseguendo un esperimento originale di traduzione tra linguaggi artistici, che si presenta come sollecitazione e sfida: scambiare tra loro le arti dello spazio e quelle del tempo.
Ricevere per Franca Mancini è il più attivo dei verbi. Negli anni, artisti, italiani e stranieri, così come i teorici e i critici, sono (siamo) stati tutti invitati ad alzars(c)i sulla punta dei piedi – che è la miglior posizione per cominciare un nuovo ritmo e un movimento.
I rapporti certi e misteriosi dell’immagine e del suono sono stati argomentati per figure dai migliori creatori contemporanei, con tele e sculture, scritte luminose, diagrammi musicali e fotografie, specchi e video, macchine e manichini, costumi e giardini, scenografie e ritratti.
Tutte opere che esplorano le divergenze e le sinestesie tra i linguaggi artistici, dove i piani plastico e musicale vivono in reciproca presa, in intercattura. Opere autografe e originali che sono, come la musica, esecuzioni degli spartiti, delle rappresentazioni e delle interpretazioni rossiniane.
Per un quarto di secolo, nel Teatro degli Artisti sono andate in scena citazioni e ironie, trasposizioni e allusioni, interferenze e prelievi. Questa volta la galleria Mancini si presenta come un archivio audiovisivo per la rielaborazione immaginaria della memoria dei grandi interpreti rossiniani: cantanti, registi, direttori d’orchestra. Prime donne e primi uomini, esecutori-creatori perché nella musica ogni esecuzione suscita l’originale. Tutti coloro che come le sirene nell’Odissea ci hanno chiesto di “ascoltare dalla nostra bocca il suono di miele” e di andare “dopo averne goduto e sapendo più cose”. Più ricchi di sapore e di sapere anche sugli interpreti delle diverse messe in scena, le quali sono come le varianti che fanno esistere i miti.

2.

La mostra dei Grandi Interpreti del ROF è dunque multimediale. Accompagnata dalle arie di Rossini, assembla diverse strategie espressive – disegni e fotografie, collages su carta e su specchi – e diversi effetti di senso: la relazione della musica all’immaginario, il ritratto dei protagonisti, la partecipazione dello spettatore.

2.1.

I collages di Paolini, che ha già partecipato alle mostre rossiniane, ripropongono il tema della relazione sincretica tra parola e canto, incarnata nei corpi appassionati delle dive e raffigurata nelle scene costruite sulla ribalta. Con i propri dispositivi, l’immagine traduce col suo ritmo quello della parola e del gesto, rovesciando uno dei propositi che Stendhal attribuisce a Rossini. A Napoli, infatti, “Rossini aveva promesso, una sera di abbandono, di tradurre con un bel duetto quel gruppo scultoreo di Venere e Adone [di Canova] che ammiravamo alla luce delle torce.”
Cantare è parlare in maniera figurata. Per Massimilla Doni, protagonista del “romanzo filosofico-musicale” di un patito rossiniano, Balzac: “nel linguaggio musicale dipingere significa ridestare mediante i suoni il colore di ricordi del cuore e delle immagini dell’intelligenza”.
Paolini immette allora le immagini colorate delle dive tra due spazi contrapposti. Le cornici esatte della ribalta o le inquadrature del palchi – scene che danno sulla scena – e delle nuvole sfrangiate e frattali. Mentre i frames vuoti rinviano alla disposizione rigorosa degli spartiti musicali, le nuvole acromatiche figurano le qualità effusive del canto? Raffigura, meglio ri-figura l’antica alleanza tra parola, musica e immagine che l’opera è nata per rinnovare e che da questa intercattura trae la seduzione? La lirica è un attrattore passionale, voluttà e strazio di essere desiderati e perduti – persino nella Enciclopedie illuminista di Diderot e D’Alambert la voce Opera e quella Passione hanno lo stesso redattore, il cav. de Jaucourt. Una magia bianca che proietta l’intreccio degli affetti sulla profondità prospettica della scena teatrale. Profondità che sembra ormai perduta in una società che pur si pretende “dello spettacolo”.
Ci resta lo spessore del collage.

2.2.

I Ritratti, disegni di Adami o foto dei Mulas, sono come nomi propri e ci danno il piacere e talvolta la sorpresa della identificazione. Valerio Adami ha già esposto per le Rencontres rossiniennes un suo profondo ritratto di Rossini: un esercizio di ammirazione per il musicista che ha l’intento stendhaliano di un “obelisco immenso, simbolo della gloria di Rossini ” (Stendhal lo considerava il “primo uomo”, e lo comparava a Napoleone!).
I disegni di Adami non sono però atti rigidi di designazione e di riferimento. Ci danno il piacere dell’innovazione insieme a quello del riconoscimento. La mimesi è pre-testo: l’icona del viso ne possiede alcune proprietà, ma solo quelle necessarie per esemplificare delle relazioni. Relazioni intime, che il personaggio intrattiene con se stesso e quelle che lo legano o lo separano dagli altri. Attraverso le avventure della linea di Adami – su cui ha limpidamente scritto Calvino – si esplicitano o si celano conoscenze, emozioni, caratteri e disposizioni. Non stati d’animo o della mente, ma inclinazioni al dire, al fare, al suono, al canto e alla rappresentazione. La melodia esprime, come si dice, l’atto della voce. È un caso se nella Vita di Rossini, Stendhal dedica un intero capitolo al ritratto musicale della sua somma interprete, Giuditta Pasta?
Diverso è il ruolo delle fotografie, che sono le tracce costruite di una presenza. Qui l’inquadratura sostituisce col suo frame privato il riquadro della ribalta, del palco o della “purpurea buca” (Montale). Col suo primo piano rivela agli adoratori dell'”idolo cantante” l’esistenza d’una intimità. Le belle foto di Mulas, per lo più primi piani ravvicinati, ci scoprono tratti fisiognomici ed estetici impercettibili anche al binocolo dello spettatore d’Opera. Cade allora la maschera iniziatica del grande esecutore e il medium fotografico converte la passione calda della diva nella seduzione fredda delle star: il dramma diventa psicologia. Si cancellano i segni distintivi delle icone liriche, che sopravvivono ancora nelle foto di scena. Nel ritratto fotografico il sentimento prende il posto della passione, il destino diventa carattere. Penso che Fellini soltanto, nella vestizione cerimoniale del direttore di Prova d’orchestra è riuscito a contenere, se non risolvere, questa ambivalenza o questa contraddizione.

2.3.

Ai media freddi dell’immagine contemporanea, di cui la televisione è il prototipo, corrisponde il medio freddo della massa, molto diverso dal pubblico caldo e sensuale dell’Opera. Eppure gli specchi di Pistoletto riescono nell’impresa di rappresentare gli interpreti rossiniani insieme a tutti quegli adoratori che, per il tempo della riflessione, vorranno trovarsi accanto ad essi. Lo specchio di Pistoletto, che immette lo spettatore rea le immagini stesse dell’Opera, è come uno spartito che aspetta di essere eseguito da chi vuole entrare nel suo gioco speculativo. Vuoto, lo specchio sogna solo se stesso, o restituisce una natura morta fissa: una still life, “vita silente” che si anima davanti allo sguardo. Mentre guardiamo l’immagine del celebre pianista o direttore d’orchestra, siamo obbligati ad immergerci nella profondità dura e fragile della superficie riflettente ed è da questa finestra che ci affacciamo dentro noi stessi.
Come ha visto U. Mulas, in un memorabile scatto, Pistoletto 1972.
Si dice che gli specchi non riflettono abbastanza, ma quelli di Pistoletto, grazie al via-vai speculare a cui le musiche di Rossini danno il ritmo, offrono orecchie ai nostri occhi. A. Bonito Oliva ha ragione di segnare il passaggio dal silenzio degli specchi alla musica, attraverso il rumore della vita.
L’archivio audiovisivo della Galleria Mancini è sostenuto dalla colonna sonora delle arie di Rossini. Non sono solo sfondi musicali o documenti, ma la messa in accordo e in movimento del nostro immaginario, che è un dizionario di immagini. O meglio, e più, l’esercizio di una “ragione sensibile”. Per Deleuze, uno dei grandi filosofi del ‘900, la musica operistica italiana è un’attività razionale, in quanto trasformatrice regolata dell’uomo. A differenza di Wagner, Rossini non deve ricorrere all’anima e alla trascendenza “per instaurare rapporti umani nella materia sonora”: La sua arte musicale è una “danza di molecole sonore che rivela la materialità dei moti che solitamente attribuiamo all’anima […] e che agisce su tutto il corpo come una propria scena”.
Coi propri mezzi visivi, che sono speculativi e speculari, la presente mostra serba la memoria musicale del ROF e anticipa sugli spettacoli a venire. La Galleria, carica di interpreti d’Opera e di musica, mi ricorda la “Gloria N.”, il bastimento adriatico di Fellini ne E la nave va.
Senza il finale naufragio, anzi con la promessa di un approdo felice.


Bibliografia

Les rencontres rossiniennes (1980 – 2005): venticinque anni di mostre del Teatro degli Artisti a Pesaro, a cura di F. Mancini, U. Allemandi Ed., Torino, 2005
– Paolini, G., Il “Teatro” dell’Opera, 1991
– Adami, V., Sul volto estatico, 2000
– Pistoletto, M., Les pechés de jeunesse, 2001

Deleuze, G., Pericle e Verdi, Cronopio Editore, Napoli, 1996

Fabbri, P., “I lumi di Mulas”, in Ugo Mulas, Catalogo della mostra (Roma), Mondadori Electa, Milano, 2007

Starobinski J. , Le incantatrici, EDT, Torino, 2007 (Seuil, Paris, 2005)

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento