Un teatro d’opere: i “composti” di J. Kounellis


Da: J. Kounellis, Li Marinari, Catalogo della mostra alla Galleria Franca Mancini di Pesaro, Danilo Montanari Editore, Ravenna, 2007.


 

Le relazioni metriche che riguardano il ritmo e le divisioni dello spazio, sono prossime alla definizione del ritmo in musica e alle divisioni metriche
(P. Boulez)

1.

Kounellis, credo, acconsentirebbe. Ci sono gallerie che non sono un limbo de-contestualizzato, uno spazio asettico di mercato. Gallerie come quella di Franca Mancini, conservano una qualità sociale che manca ai musei ed uno spazio di teatralità dove si spiegano nuove energie e sono possibili gesti dotati di forza performativa.
Di questi gesti, aperti e indicativi, il miglior interprete non è il critico embedded, esegeta integrato all’operazione artistica, ma lo spettatore-critico, destinatario “in anteprima” di una mostra particolare, con le sue strade segnate e la sua problematica identità. Spettatore coinvolto nella rappresentazione, con la libertà di sperimentare immagini e concetti, associazioni di idee (logiche) e associazioni di forze (passionali) e prende il rischio di smarrirsi nel labirinto della messa in scena e di guardare il dito (certo) che mostra la (incerta) luna.
Nella “libera attività” di Kounellis (espressione che preferisco a “produzione”), oltre ad analizzare le singole opere, si tratta di comprendere quel che accade “tra chiodo e chiodo”, nello spazio significante di cui sono i terminali. La parola dell’artista, pur rilevante, non basta: è un intertesto delle opere visive di cui precisa, estende, riduce il significato. La parola di Kounellis – che non ama i titoli – ha una sua maniera affermativa e metaforica, paratattica ed allusiva che va anch’essa interpretata, nelle sue figure e nei suoi silenzi. La sua apparente mancanza di coesione rinvia ad una coerenza profonda di senso e di valore.
Il critico-spettatore può conoscere le sinergie artistiche dell’artista (Caravaggio e Piranesi, Munch e Ensor, Burri, Pollock, Kline, Fontana, De Kooning) e le sue allergie (i minimalisti, i pop, gli Informali, Morandi, Fautrier e Jasper Jones). È però tenuto a scoprire nel percorso della mostra lo sforzo costante di perfezionare la propria lingua per aggiustare il rapporto col mondo e dare “alla propria follia la logica che merita, perché diventi comunicazione” (Kounellis). Anzichè seguire delle istruzioni, lo spettatore, deve eseguire la mostra, come si fa con uno spartito o un libretto dove Kounellis abbia disposto i lemmi della sua enciclopedia e gli “attori” del suo teatro. Un recitativo per immagini.

2.

Soprattutto quando si tratti di un esplicito rinvio alla musica rossiniana, di cui la mostra presso la Galleria Mancini è un intertesto ed una variante.
Il suggerimento o suggestione che viene a Kounellis dal “cigno di Pesaro” non è giocosa ma seria. La tonalità della sua disposizione è drammatica perché Kounellis non ama gli artisti melomani o i musicisti prediletti dagli artisti che giudica “piatti e chiari”: Kandinski, Klee, Matisse o le coppie formate da Berg e Buchner, Webern e Mondrian. A giudicare dalla sua produzione, dove la musica gioca un ruolo di rilievo, preferisce artisti e musicisti “ombrosi” e rilevati come Verdi e Bizet. Tra gli artisti capaci di “far cantare il quadro”, alle chitarre cubiste preferisce certamente gli strumenti musicali di Caravaggio (Concerto, 1595-6 o il Suonatore di Liuto, “il più bel pezzo che facessi mai”). O quelli di Sironi che per lui è un “diapason” della pittura moderna.
Nella sua attività più recente e in questa mostra in particolare, Kounellis rivisita e riformula la propria pittura dove appaiono numerosi strumenti musicali: flauti, pianoforti, violoncelli, violini e contrabbassi. Nel suo recente Atto unico, ad es., troviamo un pianoforte su un “letto” di lamiere (Nabucco, 70). Come nella mostra pesarese, questi strumenti sono presentati più per la loro forma che per le sonorità implicate (che per Kounellis la musica sia “scritta sull’acqua”?); ed associati sempre ad altri oggetti. (bombole di gas, fiamme, macchine da scrivere, lampade a petrolio, o a grandi riquadri neri o bianchi – tele o fogli di catrame). Oppure, in due memorabili “composti” – nel senso barocco del termine – è lo stesso artista ad esser presente: nel 1972 seduto ad un tavolo mentre ascolta con la bocca chiusa e dipinta d’oro una cantante che esegue un frammento della Carmen, e – nell’Omaggio a Morris Louis, 1971, seduto con mano dipinta in più colori, accanto ad un violino dalla custodia aperta su cui posa un frammento bruciato della partitura della Sinfonia del nuovo mondo di Dvorak.

3.

I Composti della mostra pesarese si dispongono secondo una modalità drammaturgica, fanno della galleria un teatro d’opere. Il contrario delle installazioni, che rinviano anche etimologicamente allo “stallo” – sosta e punto morto – (che da “stalla” vengano ironicamente la galleria dei suoi celebri cavalli?) . La scena di Kounellis rappresenta una realtà contrastiva di senso espressa come la narrazione di una realtà trasformabile. Un duetto e un duello. Un percorso drammatico e forse “epico” nell’accezione brechtiana del termine. Un percorso “da chiodo a chiodo” che fa appello più alla ragione che al sentimento, alla consapevolezza che alla sensazione, all’argomento che alla suggestione. I composti si rivolgono allo spettatore-critico con un tono più impersonale che autobiografico, più didascalico che allusivo; non gli chiedono implicazioni soggettive ed esistenziali, ma una distanza critica attiva e una visione generale.
Per questo Kounellis si esprime in una “lingua emblematica” (Corrà) che ha la forza allegorica ricca di “riconoscibili silenzi” (Kounellis).Spetta ed incombe al visitatore riconoscerne le figure
– metafore, allusioni – e le forze discorsive di negazione e di affermazione, intese a tacitare e a interloquire. Dall’entrata della galleria e proseguendo verso il suo interno, possiamo seguire ed eseguire un contrastato percorso di senso: dall’omaggio reso all’eleganza del suono rossiniano de Li Marinari fino alla sua deposizione e superamento. Il formato espressivo prevalente è quello del quadro: Kounellis si considera un pittore anche per il suo uso del frame – porte e finestre in verticale o letti in orizzontale – per le sue capacità di concentrazione dello sguardo.
Le sue porte e le finestre non sono affatto ostruite; sono le cornici costruite di una “pittura” di paesaggio o di interni – che proprio nella finestra e nella porta hanno la loro origine (Stoikita, V.) – con vedute-pietre e personaggi-calchi.
All’entrata della galleria, sulla parete di destra alcuni quadri di uguale formato svolgono la loro funzione “didascalica” nell’idioma singolare di Kounellis. Il fading della grande musica rossiniana si spiega dallo sfondo ricamato, alla fasciatura nera, fino alla otturazione degli strumenti. Poi la sequenza lascia il posto nella parte più alta della galleria, alla dissonanza tra il grande quadro bianco “a carboni” regolari e la massa cromatica delle vele e delle loro pieghe.
(Ai ritmi del vento si sono sostituiti quelli del fuoco? agli strumenti omeostatici a fiato o a corda, i differenziali di potenziale? all’energia naturale quella termodinamica?)

4.

Al di là della valenza allegorica, ci sono tratti di sostanza e di forma che saltano agli occhi e agli altri sensi dello spettatore-critico. Oltre agli strumenti impiegati, ci interessa soprattutto l’uso idiosincratico delle materie, ampiamente rappresentato nel “labirinto” di ciminiere, carboniere e cotoniere dell’Atto unico e de Li Marinari.
L’arte “povera” ci ha distolto dal nostro puritanesimo estetico delle sostanze e ci ha obbligato a prendere in conto una materiologia. Gli artisti esaltano quei materiali e quegli infra-oggetti – residui e reliquati – il cui trattamento comporta il disprezzo sociale di certe categorie di uomini.
L’opera di Kounellis è un importante capitolo di questo immaginario dell'”iletica”, disciplina delle sostanze. Per dirla con Bachelard, l’artista italo-greco è un Vulcanista ma anche un Nettuniano. Un mitologo esperto nel trattamento del metallo, del carbone, del catrame e del fuoco, ma anche dell'(in)-tessuto: cotone, corda, rete, velo e vela. Il frammento di carbone – “infra-oggetto e anticristallo”, per le sue proprietà dure e riflettenti si oppone a quelle molli dei tessuti. Sostanze di cui Kounellis scambia costantemente le proprietà: la tela del quadro è sostituita dal metallo. (E la “pece greca” continua a bruciare nell’acqua.)
Ma nella poetica materiale di Kounellis – per lui “le cose nascono dal buio” – il tizzone ha un caravaggesco privilegio. Il suo è un mondo generato dalla combustione del fuoco, mondo umbratile e fuligginoso che ha un colore di fucina (e rinvia forse, emblematicamente, alle categorie pittoriche del carbocino e dello sfumato). Tetro è il suo teatro, come lo è quello delle incisioni di Piranesi o degli affreschi di Sironi.
Lo stesso “mitismo”, possiede il tessuto di lana o di cotone che troviamo esposto nella nera fascia “negatrice” degli strumenti rossiniani – ma in altre opere la fasciatura bianca ha valore affermativo – e nella accumulazione di vele (la velatura, ancora un’allusione pittorica?)
Nella fucina artistica di Kounellis arde e fischia il Fuoco, responsabile delle azioni e passioni della sua luce. Esplicita o implicita , la fiamma ossidrica – composto di idrogeno ed ossigeno – è la mediatrice tra il mondo rigido dei metallo e delle lamiere e quello pieghevole del tessuto, dei veli e delle vele. Sferra l’energia. Opera sulle contraddizioni della materia: fonde e forgia, taglia e salda; illumina e sporca, muove le ombre e canta- per il suo suono è detta “fiamma cantante”. Gli oggetti sono ritorni di fiamme, congelate a diverse temperature. Nella mostra, un violino si profila su un tessuto ricamato, a sua volta incluso in un lamina rigida che ha il ruolo di una tela.
Nella fucina del Vulcano, – luogo demiurgico della “rêverie de la volontà” (Bachelard) – tra i prodotti della combustione troviamo la traccia del Fumo. Kounellis, che ha detto una volta “difficile spiegare cosa sia il fumo”, non rifiuterebbe forse l’analogia figurale con l’ondulazione delle chiome di Boccioni o di Munch. Il drappo nero che avvolge uno dei quadri “a strumenti” è, forse, un sinonimo della voluta di un fumo. (Lo spettatore-critico ricorda un calco bianco, fumigato e bendato d’un velo nero in, Senza titolo,1973, e una vela adriatica detta “carbonèra”.)
Questa tipologia degli elementi orienta il cromatismo dell’opera di Kounellis, fondata sul contrasto scuro-chiaro (come i burroni di Gordon Pym, in forma di radici delle parole “bianco” e “nero”) e sull’impiego della policromia. I pappagalli di Kounellis vanno compresi sul piano del linguaggio e del volo, ma anche in quanto opposti ai suoi neri corvi appollaiati sul candore dei calchi, (come nella composizione poetica di E. A. Poe, Nevermore). E così, nella mostra della Galleria Mancini, il cromatismo dinamico delle vele si oppone al grande quadro bianco, statico e costellato di carboni.

5.

L’arte genera nuovi percetti ed affetti, ma anche nuovi concetti. E possibile leggere il composto di Kounellis come un anti-Viaggio a Reims: una regale deposizione di Rossini seguita dalla l’affermazione di un altro modo di far arte. Senza la garanzia di superamenti dialettici e di sfondamenti debolisti, restano intatti la possibilità e il rischio di sperimentare. Kounellis vuol ritrovare il potere delle immagini usando delle possibilità drammatiche della tradizione, che è anche la tradizione del nuovo (da Caravaggio e Pollock). Non si sente un contemporaneo e pur vivendo in stato di traduzione tra culture, non gli piacciono i “traditori” e le loro ideologie. La sua “prova d’orchestra”, atto unico di emancipazione artistica, è anche un gesto di dedizione esemplare alla pittura. Nella mostra di Pesaro, Kounellis, ridisegna a partire dalla riflessione “rossiniana”, il suo passato prossimo e quello, ormai remoto, della modernità. Ma nello stesso tempo offre l’indicazione sospesa di una ricomposizione a venire.
(Gli auguro di sciogliere le vele di fortuna del suo Carro trionfale. Per I Marinai, quando si alza il vento ed è sempre tempo di provare a vivere.)


Bibliografia

Bachelard, G., La terre et les rêveries de la volonté, Corti, Paris, 1947, in particolare “Le lyrisme dynamique du forgeron”.

Brecht, B., Scritti teatrali, in particolare “Breviario di estetica teatrale” e “Scenografia del teatro epico”.

Dictionnaire Culturel du Tissu, a cura di Débray, R. e Hughes, P., Babylone – Fayard, Paris, 2000.

Fabbri, P., “Con gli occhi di Horus”, in Mattiacci, E., Danza di stelle e di pianeti, Gli Ori Editore, Prato, 2006.

Fabbri, P., “Colpire il segno”, in Gilberto Zorio, Mostra alla Galleria Franca Mancini di Pesaro, Danilo Montanari Editore, Ravenna, 2006.

Kounellis, J., Catalogo della mostra, Comune di Rimini, a cura di Celant, G., Mazzotta, Milano, 1983.

Kounellis, J., Atto unico, a cura di Corà, B., Fondazione Arnaldo Pomodoro, Skira, Milano, 2006.

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