Ricordatevi del proverbio!


Postfazione a A. Falassi, Col tempo e con la paglia e altri proverbi toscani commentati, Betti, Siena, 2014.


1.

“Addio, mascherine!”. Così Pinocchio rifiuta l’elemosina alle ripetute richieste del Gatto e la Volpe, diventati “poveri e disgraziati”, ma che lo avevano e beffato e derubato. Il burattino, all’ultimo capitolo delle sue Avventure ha fatto esperienze di vita e messo giudizio: per tre (fatidiche) volte ammonisce gli imbroglioni con toni da Grillo Parlante: “Ricordatevi del proverbio che dice: I quattrini rubati non fanno mai frutto; La farina del diavolo va tutta in crusca; Chi ruba il mantello al suo prossimo, per il solito muore senza camicia“.
Sono proverbi che ritroviamo alla lettera o nello spirito nella raccolta di Alessandro Falassi sulle forme discorsive e semiotiche della cultura toscana, a cui ha dedicato le sue ricerche sulle forme di vita tradizionali e attuali – dalle ritualità festive come il Palio di Siena alle ricette di cucina.
Questa raccolta non è soltanto una collezione “paremio-grafica” di modi di dire. In primo luogo testimonia il gusto di Falassi per le forme linguistiche e visive, brevi e sentenziose, già viva fin dalla tesi di laurea sui densissimi comics dei Peanuts. Poi e soprattutto, nella prefazione di metodo e nella disposizione tematica, Falassi traccia una via “paremio-logica” che interroga ed esplicita le condizioni della ricerca e della raccolta: i proverbi non sono repliche di testi precedenti: sono trascritti dalla lingua parlata e sono rilevati in contesto. Una prospettiva etno-semiotica e pragmatica, non ristretta ai caratteri testuali e al confronto con altre modalità e generi discorsivi. È il frutto della collaborazione con l’antropologo californiano Alan Dundes, studioso di proverbi e coautore della Terra in piazza, dell’insegnamento semiologico e del talento di Falassi nel lavoro “sul campo”.
Il percorsi della ricerca hanno un’evoluzione “punteggiata”: dopo un periodo di intenso interesse per le culture cd. subalterne” e l’impetuosa corrente dei metodi strutturali, lo studio dei proverbi – tutta la folkloristica? -attraversa un periodo di deflazione. Il libro di Falassi ci sembra a tutt’oggi un buon indice di una ripartenza che voglia iscrivere il dispositivo proverbiale in uno vasto spazio semantico e culturale; e ridefinire il proverbio in una riflessione etnosemiotica sul senso comune: le sue forme espressive e semantiche, la letterarietà, la conoscenza esperta.

2.

Semiologia = morfologia grammatica, sintassi, sinonimia, retorica, stilistica, lessicologia ecc. (in quanto il tutto è inseparabile)
(F. de Saussure)

I generi sono formazioni intermedie tra langue e parole, tra stabilità – che non è immobilità – e variazione – che non è stocastica. La tradizione metalinguistica della nostra cultura ha variamente definito la classe discorsiva del proverbio dalla retorica classica (Aristotile) fino alla moderna paremiologia. Per tratti intrinseci e per differenze con altri micro-generi quali citazioni, aforismi, massime, motti, detti, adagi, apoftegmi, cliché, luoghi comuni, esempi, precetti, sentenze, formule, locuzioni idiomatiche, wellerismi, ecc. Lo studio strutturale ha rilevato da tempo le specificità di linguistiche e retoriche, del proverbio: la grammatica e l’impersonalità dell’enunciazione, le figure e la prosodia. L’attenzione prevalente al significante ha mostrato le eufonie e le allitterazioni; le paranomasi; le ripetizioni rafforzative sul piano sintattico; le anticipazioni dovute all’ordine inusitato delle parole; le inversioni e i chiasmi; le strutture ritmiche binarie con proposizioni sprovviste di verbo; i giochi di stabilità e instabilità metrica, l’impiego di rime perfette e imperfette. (La rima che consente al nonsense, lascia prevedere la parola, così come il ritmo la forma sintattica.) L’euritmia generata dai parallelismi più o meno sbilenchi penetra su tutti i piani della manifestazione. A questi tratti retorici, spesso inglobati nella’ onnivora metafora si devono gli effetti di maneggevolezza, chiarezza e ricercatezza ottenuti attraverso omologie non sempre evidenti, ma spesso argute e spiritose – i proverbi ci sono sovente pervenuti attraverso raccolte di testi comici. La brevità e la chiusura del “parema” è dovuta all’inserimento citazionale nel processo discorsivo e conversazionale. Una rottura di frame, rispetto all’isotopia “ordinaria” del discorrere (Goffman). Il proverbio, come nel caso citato di Pinocchio, ha una collocazione co-testuale, con funzione prevalente di coda, di chiusura ritmica di una sequenza interattiva. Tratti che corrispondono alla definizione jakobsoniana semiotica di “poeticità” e contribuiscono alla motivazione e alla stabilità morfologica del proverbio – rigida fino alla esclusione delle varianti – quindi alla robustezza mnemonica di una tradizione sempre attualizzabile. Con economia di mezzi enunciativi – l’impersonale, l’omissione dell’articolo determinativo nei sintagmi ellittici, ecc. si ottiene l’effetto di senso di profondità “arcaica” e di una autorità performativa impersonale e collettiva che non dipende da una passato storico, ma si rivolge ad una efficacia attuale. Nella tradizione anonima dei proverbi confluiscono in modo economico due vene rilevanti e incorporate dell’Esperienza: quella Mondana, sulla natura, selvaggia e coltivata e la società, e quella Esistenziale, sulla vita, le passioni e la morte. Esperienza comune e collettiva a valere nel presente, nell’interpretazione del passato e nell’anticipazione del futuro.
La pretesa autorevole di verità delle sue componenti rappresentazionali e pratiche non corrisponde necessariamente ad uno stato di fatto; il proverbio vale e conta per suo valore performativo. I “paremi” sono strategie simulatorie e trasformative del saper essere e del saper fare, delle azioni e delle passioni collettive. Atti linguistici, regolativi senza essere normativi, che spiegano tutta la panoplia dei modi linguistici: l’indicativo e l’imperativo, l’interrogativo e l’ottativo. Anche se resistenti alle deformazioni e pronunciati quasi ritualmente, godono di elevata flessibilità: possono valere come atti situati su tutti i piani “narrativi”: come mandato al fare (atti commissivi), come corso d’azione (atti esercitivi) e come sanzione (atti valutativi) Sono tra gli “immutabili/mobili” (Latour) in cui è semanticamente incapsulata e pragmaticamente effettuata l’esperienza singolare e (relativamente) traducibile di una cultura. Nonostante i loro tratti salienti, chi non parla una lingua e non è membro competente di una comunità non riconosce sempre i proverbi: l’intonazione differenziale non basta!
Così pensava alla sua cultura toscana Alessandro Falassi: come ad un’ecologia del significato, forma del contenuto di un sapere condiviso.

3.

I testi di questa raccolta sono stati rilevati in contesto. Una nozione ambivalente che proprio l’impiego dei proverbi permette di chiarire. Non si tratta infatti di aggiungere al loro enunciato le condizioni esterne della psicologia, dell’economia e della storia di cui è ardua la delimitazione pertinente – le società rurali in via di sparizione, ecc. In termini saussuriani la langue dei proverbi è una virtualità che prende senso – valore e direzione – nella parole della sua realizzazione. Il senso proverbiale è indessicale: si dà nell’attualizzazione situata degli attori, dei tempi e dei luoghi; secondo le circostanze che contribuisce, nominandole, a definire e classificare. Gli avvenimenti “liquidi” del quotidiano sono variamente costruibili e interpretabili e il proverbio interviene articolando pragmaticamente scene d’osservazione e di azione. A nome di una esperienza generalizzabile, l’ attualizzazione discorsiva, per quanto metaforica, costruisce la propria referenza secondo opportunità; un piano epistemico fatto di ragionamenti pratici; un’attitudine morale ragionevole e verosimile, tempestivamente appropriata alla circostanza. Relativistico (postmoderno?) il proverbio non è giusto in sé, ma (si) aggiusta (a)i tratti salienti della scena comunicativa: quando, come e tra chi si pronuncia. Di qui l’inanità della compilazione letterale di liste di proverbi; un genere testuale che schiva la loro funzione precipua, quella d’un deposito di valori non gestito da expertise colte, ma da conoscitori che ne esplicitano l’uso in modo “confacente”. I proverbi non sono rivolti al sapere, ma affidati alla saggezza.

Potremmo allora ridefinire i proverbi come (i) proposizioni generalizzanti, corpora di sapere e saper fare o prescrizioni virtuali, ritenute comunemente vere e che circolano linguisticamente in morfologie stabili ma “atopiche”; (ii) conoscenze con riferimenti semanticamente variabili applicati a batterie di situazioni che ne attualizzano il senso.
Questa proteica adattabilità, compatibile con la rigida conservazione delle forme espressive ha indotto logicista al futile esercizio di mettere i proverbi in contrasto tra loro. Per Shapin “Sono un incubo per l’empirista logico”; questi dimentica che grazie alla vasta riserva di significati – applicabili senza particolari competenze a un numero impreveduto di casi “naturali” – il potere epistemico delle formule proverbiali è localmente valido ad hoc, in certe circostanze e non in altre; convive quindi con una qualsiasi contraddizione che si pretenda generale. Un oggetto quasi popperiano che compensa la non falsificabilità con l’adattabilità camaleontica alle turbolente circostanze del vivere.
I proverbi, da questo punto di vista sono tra le grandezze semiotiche manifestate che appartengono a quel senso comune – naturale, ovvio, asistematico, accessibile, pratico (Geerz) – di cui la filosofia contemporanea ha intrapreso la riflessione. Un’autentica mutazione epistemica in quanto la logica e il razionalismo illuminista hanno sempre visto il proverbio come la testa di turco di un sapere volgare, incoerente e contradditorio, da rivedere o ricusare. Contrapponendogli l’esattezza del discorso esperto privo di fronzoli retorici e inferenze inesatte. Un dissidio malposto che invita ad approfondire le modalità del discorso proverbiale per ripensare quello dell’expertise.
Anche se non tutti i proverbi sono proposizioni verificabili è certo che mettono in gioco meccanismi di inferenza per giungere a giudizi e a conclusioni “d’esperienza”, in condizioni di incertezza. Non è affatto un indice di “mentalità primitiva”; è un giudicare svelto e frugale che svolge una funzione euristica, quando teorie non ancora formalizzate e informazioni incomplete non consentono gli esiti applicativi e sollecitano disparati mezzi ad hoc. Un bricolage opportunista, concettuale e pratico che ridefinisce le situazioni e orienta senza assolutismo verso scelte e soluzioni. I “paremi” possono essere usati strategicamente per consolidare argomenti e prevalere su controdeduzioni. Danno senso ai segni manifestati usando come premesse la “doxa” delle esperienze accumulate e delle circostanze tipificate, ma possono introdurre riserve a deduzioni logiche sbrigative e premature. Ci sono proverbi “relativisti” che proteggono le generalizzazioni da imprevedute circostanze empiriche e altri che mettono in guardia dalla apparenze “normali” nelle condizioni estreme e singolari (A mali estremi, estremi rimedi; Le eccezioni confermano le regole; Il meglio è nemico del bene, ecc.). Vale qui il principio che se un giudizio è interessante, lo è anche la sua negazione!

4.

Contro lo scetticismo dogmatico dell’expertise il proverbio realizzato, incessante bricoleur, dispone d’una panoplia di ragionamenti e di una flessibilità ermeneutica senza fiat metodologici; una deflazione iconoclasta rispetto alle pretese idealizzate degli accadimenti naturali e morali. Per questo Shapin, storico delle scienze, ha additato il formarsi nelle discipline tecniche e formalizzate di enunciati idiomatici che non si riscontrano nei manuali canonici: “Anche le pratiche apprese nell’attualità del presente hanno i loro proverbi e i loro generi brevi mnemonicamente robusti” (Shapin). In biochimica, biologia delle popolazioni, immunologia, dermatologia, medicina; In giurisprudenza, nella borsa, nel design e nella programmazione di computer; tra imprenditori, manager di risorse umane, ecologisti e giocatori di calcio e in politica “si comincia a notare un ruolo delle forme linguistiche assai simili a quelle documentate dal linguisti nella vita quotidiana” (Shapin). Scienza e proverbi sono articolati in differenze che si somigliano. Un’affermazione che avrebbe il consenso di Huxley, Einstein, Planck, Oppenheimer e Waddington per cui le scienze sono approfondimenti del sensus communis – quello di Semplicio per Galileo e di Watson per Sherlock Holmes – e di R. Thom per cui tutte le metafore controllate sono vere, o meglio, significative.
Non è vero che non nascono più nuovi proverbi.
Questa dimensione creativa ed euristica non si limita a ridurre il diverbio tra expertise letterale e proverbialità retorica: segnala invece come l’uso “metastrutturale” del proverbio sia proprio la figuratività con cui dice un senso in più di quel che letteralmente è detto. Fin dall’inizio della riflessione semiotica, J. Lotman ha mostrato come il dispositivo “poetico” si presti alla trasformazione regolata delle sue componenti e alla produttività interpretativa. La poeticità proverbiale, è parte delle strategie letterarie – “proverb writ large” da E. Burke all’OULIPO – ed è un operatore di conservazione e trasmissione culturale, ma anche di innovazione: vive a futura memoria.

Coda

I proverbi dedicati alla morte concludono significativamente questo libro. “Se la vita è un passaggio – scrive Alessandro – la morte […] diventa un rito di passaggio […] un male naturale o un debito comune [che] aggiunge qualcosa al gusto serio della vita”. Anche questi proverbi ultimi sono tra noi, frammisti ai nostri discorsi e alle nostre vita.
Tocca me, contradaiolo ad honorem dell’Istrice su invito di Alessandro, ricordare le “proverbiali” virtù del ricercatore che è stato e sarà per che lo segue nelle sue ricerche: autonomia, curiosità, coerenza, coraggio, generosità.


Bibliografia

A. Falassi, Folklore Toscano. Articoli e saggi analitici, Nuovo Corriere Senese, Siena, 1980

AA.VV., Tradizioni italiane: codici, percorsi e linguaggi, Università per Stranieri di Siena, Siena, 2001

A. Falassi, Col tempo e con la paglia e altri proverbi toscani commentati, postfazione di P. Fabbri, Betti, Siena, 2014

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G. Berruto, “Significato e strutture del significante in testi paremiografici” in Parole e metodi, n. 4, 1972

E. Burke, “Literature as equipement for living”, in The philosophy of literary forms, 1941

C. Collodi, Le Avventure di Pinocchio, cap. 38

M. Del Ninno, “Proverbi”, in Enciclopedia Einaudi, vol. XI, Einaudi, Torino, 1980

A. Dundes, “On the Structure of the Proverb”, in AA.VV., Strutture e generi delle letterature etniche, Flaccovio, Palermo, 1978

A. Dundes e W. Mieder, The Wisdom of Many: Essays on the Proverb, Univ. of Wisconsin Press, 1994

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C. Lapucci, Dizionario dei proverbi italiani, Mondadori, Milano, 2007
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H. Sacks, “On proverb”, in Lectures on conversation, a cura di G. Jefferson, Blackwell, Oxford, 1992

S. Shapin, “Proverbial Economies”, Social Studies of Sciences, n. 31, october 2001, 731-769

R. Thom, Arte e morfologia. Saggi di semiotica, a cura di P. Fabbri, Mimesis, Milano, 2011

S. Toulmin, Return to reason, Harvard Univ. Press, Cambridge, 2001

C. Vallini, La pratica e la grammatica. Viaggio nella linguistica del proverbio, Istituto Univ. Orientale, Napoli, 1989


Nota

  • Lo scritto deve molto a M. Del Ninno e a S. Shapin. torna al rimando a questa nota
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