Ritorno di fiamma


Da: Alfabeta2, n. 18, aprile 2012.


Sfoglio il centone di Alfabeta Uno con qualche retrropensiero: retrocessione a passo di gambero? Pentimento da figliol prodigo? Rianimazione, con eventuali ritorni d’anima? Collazione di materiali di recupero, scoriografia? Contributo ai viaggi ar e low cost della cultura, col suo equipaggio di parole vaghe? Utile o futile? Retrospettiva o necrospettiva? Il meglio è passato?
Penso che Alfabeta Due sia la risposta che permette di riformulare le domande. Il presente si fa largo tra passato e futuro. Solo con un progetto il ritorno diventa una modifica, il ritardo un’anticipazione, la riscoperta una riattualizzazione. Un ritorno di fiamma. Non si tratta della codifica retrospettiva di un’attività multiforme e decennale ma d’inserire un discorso in un campo di trasformazioni – generalizzazioni, applicazioni – che gli è nuovo. Forse Alfabeta Uno andava dimenticato, come una nave in bottiglia, per ritornare a quanto ha detto e non detto. Andiamo allora a passo di gamberone che, taglia contemporaneamente, con le sue chele, il significante e il significato (Deleuze, Guattari).

1. Facciamo qualche osservazione, un genere antisistematico che a volte semina e a volte raccoglie. Nel retrovisore del secondo Alfabeta, il primo non sembra uno dei ritratt di S. Steinberg dove il viso è un’unica impronta digitale. Era un’iniziativa a seguito del ‘77 non del ‘68. I suoi 114 numeri testimoniano un pensiero nomade, frattale e sopradico. Non una massa, ma una muta. Uno sciame acentrico di discorsi molteplici e connessi: collegando punti diversi si possono tracciare svariati ritratti. Uno stormo fluido e turbolento come la fiamma – i testi, come gli oggetti, sono fiamme congelate nel tempo (Serres). Alfabeta Uno si apriva con un memorabile articolo di Eco “La lingua, il potere, la forza”, dedicato a Barthes, Foucault, Duby e Howard. Una riflessione sulla struttura e la storia che coincide per me con l’impresa innvovatrice dell’Enciclopedia Einaudi (1977-82), La condizione postmoderna di J. F. Lyotard (1979), Semiotica: dizionario ragionato della teoria del linguaggio di A. J. Greimas, e J. Courtès (1979), Della seduzione di J. Baudrillard (1979) e i Mille piani di G. Deleuze e F. Guattari (1980), ponte e porta di mondi reali e possibili e anticipazione di una “Semiotica pura” fino alle memorabili ricerche sull’immagine.
Se cerchiamo corrispettivi e non solo retrospezioni, direi che negli anni tra il’79 e l’82 la rivista ha trasportato molto e importato moltissimo. Un contributo significativo per uscire dal coma irreversibile della doxa marxista e dalla insediata tautologia dello storicismo (post hoc, propter hoc). E resistere alla bronzea legge accademica, il darwinismo dei mediocri. Poiché ogni bilancio comporta almeno due lance, scelgo di puntarne una verso la posizione “transdiscorsiva” di Alfabeta Uno. Ha praticato, permesso e regolato nuovi “regimi di frasi” o “formazioni discorsive” nel frastagliato passaggio a Nordovest tra scienze umane, bellamente occultatate dai catasti e dai contesti della dialettica quantitativa e della storia a senso unico.

2. A questa molteplicità testuale, in cui gli elementi cambiano continuamente di senso rispetto agli altri, il mio contributo è stato sporadico e costante: dall’a. 1, n. 8 (un mio corso al DAMS di Bologna sul potere del segreto nell società della comunicazione) e al n 107 del 1988 (sulla crisi dei metalinguaggi). In quel decennio stavo al di là di Chiasso: insegnavo a Parigi all’Ecole Pratique des Hautes Etudes, co-direttore di Semantica generale, poi professore a Paris V (Sorbonne) e infine al Collège international de Philosophie. Oltre alla partecipazione al comitato direttivo di Traverses, la rivista del Centro di Creazione industriale di Beaubourg – con J.Baudrillard, M. De Certeau, L. Marin, P. Virilio, ecc. – sono stati i seminari del Centro di semiotica e di Linguistica di Urbino che hanno sostenuto la traduzione interculturale franco-italiana che hanno segnato quegli anni. Rileggo in Alfabeta Uno intensi incontri romani tra intellettuali dei due paesi, dibattiti sul nichilismo, il situazionismo, la psicanalisi, la poesia, la cultura di massa, ecc. La ricerca semiotica era promossa da O. Calabrese e le corrispondenze da Parigi da N. Balestrini e M. Ferraris – il primo a recensirvi La condizione postmoderna.
Due osservazioni per non semplificare oggi la complessità di allora.

  1. “L’Intervento Italiano” di J. F. Lyotard, sul n. 32 del 4 anno, (Postmoderno Moderno). Il filosofo, curatore di una memorabile mostra sugli Immateriali a Beaubourg (1985), collaborava allora con G. Baruchello, come Deleuze con Carmelo Bene e Guattari con Milano Poesia. E chiariva icasticamente il carattere non diacronico del suo (s))fortunato prefisso post- che proponeva di sostuire con ana- o ri-, per riscrivere la genalogia, non la storia della modernità. Un proposito e una proposta di senso ribaditi in una successiva intervista con me e M. Ferraris.
  2. L’equivoco circa le inesattezze sociologiche di J. Baudrillard, anch’esse chiarite in un’intervista ad Alfabeta Uno. Questo intellettuale post-situazionista considerava la “bardarie” americana, la cultura italiana e la sofisticazione del Giappone come esperimenti di pensiero, critici rispetto alla situazione francese. La sua non era un’ermeneutica debole, ma una interpretazione sperimentale e violenta. Un pensiero radicale, marginale e anticipatore, che si voleva anagrammatico e anatematico: una sfida per rendere il mondo più enigmatico, non la resa di una realtà assicurata con polizze “chiavi in mano”.

3. R. Thom, molto presente in Alfabeta Uno, avrebbe definito catastrofico il cambiamento di paradigma che ci separa da quegli anni. Non si tratta di inflessioni filosofiche e cambi epistemici d’accento, ma di nette distinzioni di salienza nei significanti e di preganza nei significati. Se gli USA sembravano allora tigri di carta, oggi è la Francia a far figura di “gallo di carta” per l’abbandono della sua lingua e della sua filosofia. Un cambio eterotopico contrassegnato dalla famosa “beffa di Sokal” (1996), già intravista negli ultimi numeri di Alfabeta Uno. L’affermarsi tardivo della filosofia analitica americana, la redistribuzione cognitivista della relazioni tra natura e cultura, l’affermarsi di scientismi apodittici e apodidattici, l’emergenza delle figura dell’esperto hanno rimesso in causa l’intellettuale umanista, erede dreyfusardo della Belle Epoque. Il quale si confronta oggi al mondo dell’En-clik-opedia, dove le cifre e le immagini contano più delle lettere; dove il “fuori campo” dei media non conta più come reale. Dove gli stati sono deboli, il denaro strapotente, il clero e le mafie dilaganti e la società civile ridotta a ONG, imprese e televisioni, la cultura è un supplemento di bagaglio genetico e tecnico. Crescono intanto gli integrismi che prendono il testimone delle ideologie e le chiusure etniche si accompagnano senza contraddizione alla mondializzazione tecnologica. Al collasso dei metalinguaggi e alla precauzione della critica si risponde con una specie di teologia civile del dialogo: ma la tolleranza socialmente corretta è facile nel vuoto delle opinioni. “Dall’oppio dei popoli alla vitamina dell’audience” (R. Debray).
Che fare? Quello che facciamo con Alfabeta Due. Accettare la lezione della modernità riflessiva: non dipende più da noi che tutto dipenda da noi (Serres). Cercare però nuovi modi, sperimentali e vettoriali, di comprendere e comunicare. Proseguire con se stessi e con gli altri una conversazionen fatta di alterchi e alterazioni. Trovare così una convivenza, oltre le connessioni e le connivenze.
Un riscaldamento semantico come effetto di un ritorno di fiamma.

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