Scorie di storia


Da: Alfabeta2, 2014.


1.

“…Il trionfo della spazzatura / esalta chi non se ne cura.”
E. Montale, “Il trionfo della spazzatura”, Diario del ’71 e del ’72

Viviamo la fine della storia? Forse, ma non alla fine dei suoi effetti, cioè delle sue Scorie. Ogni processo storico lascia ruderi e residui, rottami, liquami, relitti e frantumi, figuratevi il capitalismo industriale e globale! Abbandonati dalla storia, – lo cantavano i punk e lo teorizzavano i sociologi – ci troviamo sperduti sotto le macerie del muro di Berlino, in mezzo a gas di scarico, immondizie, inquinamenti, veleni e altre nequizie e iniquità ambientali. È il tempo della Scoria: dietrologi tra i detriti, restiamo tra i resti, risiediamo tra i residui, avanziamo tra gli avanzi,- oggi le idee avanzate assemblano gli avanzi delle idee! Non si tratta di frammenti e rovine, che lasciano intendere e rimpiangere una perduta totalità; sono residuati – bellici, civili, commerciali e industriali – rimanenze inurbane, irriconoscibili e senza senso. La discarica non è più il testimone privilegiato, il doppio o l’ombra della civilizzazione, lascito fossile del tempo che fu. La tradizione non è più codice: è reliquato, degradazione del vissuto. Continuando ad accorciare la speranza di vita dei beni di consumo durevoli, ci troviamo sommersi nella materia d’avanzo d’un Post-Modernariato assolutamente contemporaneo, irriducibile al nostalgico vintage. Per le escoriazioni che gli abbiamo inflitto, il mondo diventa un non-luogo immondo. Come scriveva l’antiplatonico Teofrasto – citando Eraclito – “che la splendida armonia dell’universo non sia che un mucchio di residui sparsi alla rinfusa”.
Se la cosa è “roba in sé”, ontologicamente amorfa e indifferenziata, la parola Scoria è semanticamente precisa: designa l'”ex-cremento”, cioè “la parte deteriore e superflua” che rimane dopo la cernita, i procedimenti di vaglio e di selezione – viene da “cernere”, donde il termine Certezza. La Scoria è secrezione, ma di tale entità – isole immense negli oceani, fumi continentali, inquinamenti nucleari – che è lo stesso processo di cernita a esserne sommerso. Quando si getta anche prima dell'”usa e getta”, le deiezioni soffocano le decisioni. L’inconscio collettivo e i nostri incubi sociali sono fatti di questi residui diurni, segni putridi che speravamo transitori. Invece siamo presi nella ganga maleodorante di Scorie di prodotti, merci, imballaggi, uomini, linguaggi scaduti, avariati e ce n’è d’avanzo. Che può farci lo spazzino, con la sua pattumiera – la “poubelle agrée” di Italo Calvino – che alcune lingue politicamente corrette chiamano operatore di superficie? Ci sono Scorie nucleari, come il plutonio, che per decadere richiedono migliaia di anni per cui non sappiamo più in che lingua segnalarli. Intanto i mass media ci trascinano senza sosta nell’accumulo delle loro emissioni white trash. Per non dire delle mode con le loro ammucchiate obsolescenti di desideri morti. Scorie radioattive e storie telepassive, comunicazioni trite e contaminazioni da detrito. Guazzabugli indeterminati di rimanenze scadute e non smaltibili. Il resto non sta davvero in silenzio.
Che fare e che dire? Cosa ci consiglia un’ecologia delle pratiche? Rivalorizzare i disprezzati mestieri di chi tratta le Scorie? Incollare l’infranto o bruciarlo? Isolare tutte le Scorie in un unico luogo, cambiarne i fondi e le fosse biologiche in una smisurata torre o pozzo nero di Babele? Oppure disperderle nell’ambiente, per neutralizzarle? Riciclarle in un processo produttivo esponenziale che usi le discariche come risorse energetiche? Un ripulisti della ragion pura? E che faremo poi delle Metascorie, delle Scorie di Scorie? È l’effetto boomerang: si lasciano ammassi di tracce cancellando le tracce.2.

“La vita oscilla / tra il sublime e l’immondo / con qualche propensione / per il secondo”
E. Montale, Quaderno di quattro anni

Ci sarebbe un’altra via da percorrere. Adattarci allo spreco e al degrado trasformando la quantità in qualità; praticare un’estetica puritana e deodorante della Scoria, come fa l’arte contemporanea, immersa nelle nature morte dei messaggi e delle merci, in un bricolage incessante dell’informe, per trascenderne il trash, riciclarne i rottami. Una visita alla wunderkammer della Biennale per diventare sporchi e malati, ma belli? Invocare la Musa dei ready made, l’undicesima, per cui proponiamo il nuovo nome di CALIA, che il vocabolario definiva erroneamente: “cosa da niente, senza valore, anticaglia”? Del resto – è il caso di dirlo – si vedrà.
In ogni caso italiani vi esorto alle Scorie, anzi ad una nuova Scoriografia. Cerchiamo in questi tempi ultra o post-storici i corsi, ricorsi, i discorsi soverchianti delle Scorie. La Scoria non è naturale e pretende di farsi senza saperlo. Vanno studiati con cura i detti, gli annali e le alte gesta che l’hanno generata, con le sue accelerazioni, accumulazioni, dismissioni, sedimentazioni e rotture. E con metodi rigorosi: Scorie di vita, quantitative, di breve e lunga durata, periodizzate con cura, scorie moderne e contemporanee. Scorie controfattuali e biografia di rimasugli, poltiglia d’infra-oggetti ormai abbietti. Per trarne qualche lezione antidealista e antiplatonica: Scoria magistra vitae?
Che Scorie son queste direte? Via siamo “neorealisti”! Non turiamoci il naso ed entriamo nella junkscape: diventiamo specialisti di abbiettologia. Anche se non siamo alla fine della Scoria – e non vogliamo davvero l’autoestinzione – è vero che quella che viviamo è proprio un’altra Storia.

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