Bussare alla Porta degli Angeli


Da: Bill Viola, 10 opere video single channel 1976-1994, catalogo della mostra a cura di Franca Mancini, D. Montanari Ed., Ravenna, 2011.


 

E quando cominciamo ad aprire gli occhi sul visibile eravamo già da tempo addetti all’invisibile
(G. D’Annunzio)

1. Esperienza/esperimento

La mostra di Bill Viola, rassegna delle sue prime opere di video arte, ci offre la rara occasione di trasformare un’esperienza estetica in un esperimento sul significato. Il Teatro degli Artisti infatti persegue da tempo un progetto di intelligibilità dell’arte contemporanea, per sua natura trasgressiva di ogni forma espressiva e semantica, ma anche delle limitazioni del medium, della cornice, del luoghi privati e pubblici della sua manifestazione.
Libera da codici prescritti, la creatività artistica contemporanea affida ai suoi testi l’esplorazione delle regole di percorso e la elaborazione interattiva dei propri effetti di senso. I codici dell’attuale sistema dell’ arte saranno riconoscibili nella grande durata (Bachtin), ma ci lasciano spesso sospesi tra pregnanza di senso e rilevanza di significato, incerti se trovarci davanti all’invenzione di un linguaggio e al valore di un’esperienza o ad una trovata che vale la pena di essere perduta. Ci domandiamo se è arte.
Siamo dunque confrontati ad una doppia difficoltà: trovare l’accesso alle chiavi interpretative, segnalandone nello stesso tempo la perdita, e scegliere oggetti “teorici” abbastanza recalcitranti da meritare di essere presi in con-siderazione – parola apparentata al de-siderio. Senza limitarci alle scorciatoie esegetiche delle interviste all’artista: seppure preziose, queste non spiegano il senso di un fare artistico, mai del tutto trasparente al suo autore. Fuori dal proposito promozionale, le numerose e intelligenti interviste di Viola si aggiungono alla complessità delle opere, ne allargano il contesto, non ne caratterizzano il testo.
Tutte le difficoltà possono essere felici, nel caso di Viola, uno dei maggiori artisti contemporanei, a cui è dedicata un’innumerevole bibliografia e le cui “immagini […] esplorano la natura del medio fotografico, lo splendore del mondo fenomenico, le categorie della percezione e la vita interiore cognitiva e spirituale dello spettatore” (Youngblood). Uno “strutturalista metafisico”, speculativo e immaginifico, fenomenologo e visionario, paradigmaticamente postmoderno per il suo duplice tratto di illusionismo e di autoriferimento.
L’articolata riflessività Viola è attraversata dal miracolo dell’esperienza visuale – prodigio ed estasi – che investe l’animato e l’inanimato, l’uomo e l’animale, la vita e la morte, l’intensità dello spirito e l’evocazione degli spiriti. E si dà nella sostanza espressiva del video, lingua franca dell’arte contemporanea di cui Viola è il riconosciuto maestro. Per lui infatti, “fare video è come dipingere, fermiamo immagini in movimento. L’artista, che usi i pennelli o la tecnologia, è per me uno sciamano, un mago. Cattura l’energia e riesce a comunicarla in una sorta di neoumanesimo” (o post- umanesimo?). Il videoartista, ispirato dal film sperimentale di Michael Snow e Stan Brakhage andrebbe, a mio avviso, considerato come un regista cinematografico che scrive elettronicamente e restituisce alla ricerca filmica la sua più autentica vocazione, che è poetica e sperimentale.
Ho già tentato la lettura analitica un’opera di Viola presentata alla Biennale di Venezia 2008 del Ocean without a shore. Vi propongo ora, per i quattro minuti della sua durata, di esaminare uno dei video in mostra, Angel’s Gate – fatto di pochi segni elementari, metafore e qualche enigma. Un testo breve, per non perdere il contorno delle immagini, da leggere come un sonetto, con particolare attenzione alla composizione del significato e alla manifestazione visuale e sonora. Nel corso della mostra potrete sempre tornare a rivedere, riascoltare e confrontare.

2. Pertinenza rossiniana

Prima di cominciare, però un caveat che riguarda la pertinenza dei video di Viola in un festival rossiniano consacrato alla musica, la quale non è, si dice, arte visiva, ma arte del tempo. È noto che Viola si è interessato alla musica fin dall’inizio della sua ricerca: “Ho studiato musica elettronica negli anni Settanta, quando era un’avanguardia. Ho fondato una band con David Tudor, il compositore che fu a fianco di John Cage. Da Edgar Varèse (da Reflecting pool, 1997-79, fino a Déserts, 1994) a Wagner fino alla band rock dei Nine Inch Nails, la musica ha un ruolo fondamentale per me. Quando nel 1974 fui assistente di Nam June Paik, il padre della videoarte, scoprii che anche lui aveva studiato musica elettronica a Colonia”.
Si potrebbe dire, come si è fatto, che i suoi video sono gli equivalenti visivi della musica concreta: là dove il tempo ha per materia la sonorità, mentre le immagini sono come onde sonore. Ma c’ è ben altro: un diverso modo di rappresentare lo spazio. L’interesse di Viola per il sonoro è topologico: “ho sempre pensato che il suono contiene molte più informazioni sullo spazio che non l’immagine”. È risaputo che quando lavorava a Firenze, nel 1974-75, con musicisti e videasti, nel laboratorio Art/tapes/22 di Gloria Bicocchi, quel che gli interessava nell’architettura della chiesa di Santa Maria Novella era lo spazio acustico, rilevato con la presa diretta dell’immagine e del sonoro. Come nelle opere successive, così nei suoi scritti. Viola ha sempre considerato il tempo come la quarta dimensione nell’immagine tridimensionale.
Il videoartista si serve a questo scopo di una proprietà tecnologica del video il quale, a differenza della macchina da presa, è un microfono visivo che riprende in diretta le immagini e i suoni. Non c’è montaggio successivo, come nel cinema: l’effetto di senso è ottenuto attraverso la scelta e il missaggio tra diverse camere. R. Bellour, che ha classificato i luoghi esplorati da Viola, ha anche sottolineato il ruolo della colonna sonora e tracciato una tipologia dei tempi: quello reale, quello della registrazione e quello del montaggio finale. il quale produce l’illusione della continuità tra i primi due. Il suono, con le sue pause scandisce gli intervalli tra le immagini, la loro presenza o assenza, introducendo il ritmo peculiare dei video di Viola, coi loro ralenti e alternanze d’immagini saturate e videogrammi vuoti.
Anche il rumore di fondo può passare al primo piano rispetto all’immagine perché per Viola “la durata è per la coscienza quel che la luce è per l’occhio”. L’organizzazione del flusso degli eventi è essenzialmente musicale, l’equivalente prosodico di un componimento poetico.

3. L’analisi

Lo strutturalismo […] deve essere riconsiderato. È vitale
(B. Viola)

Angel’s Gate è un poemetto lirico che non corre il rischio pompier di alcune opere recenti, grandi affreschi digitali più idro- e pirotecnici. Si presenta come un “sognorama”, una successione di videogrammi, dotati di senso proprio ma che prendono nuove significazioni nell’accostamento, successione e scansione.
Per un semiologo è un “segno integrale”. Un piccolo componimento da leggere con la stessa cura con cui la critica letteraria tratta i suoi testi: un procedimento strutturale non improprio ad uno “strutturalista” metafisico.

Ecco lo schema metrico:

0 Il crollo dell’edificio

1 Le immagini ricordo
2 La candela che si spegne
3 Il frutto che cade
4 La foto di famiglia
5 Il macello

0 La reverie

1 Il falco prigioniero
2 Il tuffo
3 L’emersione
4 Il parto
5 Il cancello

Ad una prima sequenza, preliminare – il crollo silenzioso di un grande edificio – segue una filza di cinque sequenze intervallate da interstizi bui. Alla sequenza centrale – Viola sdraiato sul letto che sogna o trasogna, ne seguono ancora cinque, con esplicito intento di prosodia e di rima. Centrale, in tutti i sensi del termine è l’autoritratto dell’artista, che non si espande in autobiografia. Il regista del sogno riposa in piena reverie ad occhi semiaperti. Assorto nella posa di una pausa, respira profondamente, intento nel dormiveglia e ci comunica la qualità ipnotica del passaggio tra la coscienza vigile e il fantasticare. Le altre sequenze che precedono e seguono traspaiono all’occhio e all’orecchio del sogno e della veglia, in uno stato intermedio e variabile della coscienza. Un’istanza lirica e immaginale; l’autore si decentra e si fa piega del mondo: le cose entrano in lui che si muove tra le cose con chiaroveggenza e nitido ascolto. Una metafisica pratica e quasi sperimentale.
Quello di Viola è un onirismo immaginifico, abitato da miraggi: la sua fantasia è volta a cambiare le immagini “comuni”, il loro senso previsto, attraverso metafore e allegorie artificiali o naturali: l’edificio che crolla, il cancello nel sotterraneo, il macello, il frutto che cade, il falco incatenato, il dare alla luce. e così via.
Una immaginazione figurale che rinvia ad una chimica poetica delle sostanze. Viola è affascinato dai misteri e dai miracoli della materia; dalla sua dimensione elementare/elementare: come l’acqua e il fuoco, buoni conduttori dell’immaginario. Per il suo carattere primordiale la materia è transitoria e ambivalente: “se si incontra una trasformazione si può star certi che c’è un’immaginazione materiale all’opera sotto il gioco delle forme” (Bachelard). L’opera di Viola sottoscrive fermamente i propositi bachelardiani: “la materia si lascia valorizzare in due sensi: nel senso dell’approfondimento e nel senso dello slancio”. Nel primo senso “appare come insondabile, come un mistero” e nel secondo “come una forza inesauribile, come un miracolo”. La materia per Viola è l’inconscio della forma e il sognare una forza della natura. Nella vita diurna infatti le cose si collegano alle idee, mentre nella fisica onirica sono le materie elementari a sostanziare i nostri sogni, per rimarginare le nostre contraddizioni. La reverie trasognata di Viola si colloca tra le forme che compongono le sue metafore e le sostanze che le legano.
Ora ascoltiamo il sonoro, col suo periodare inarticolato di brusii, tonfi, respiri ed in particolare quella sonorità di transizione che è tipica dell’opera di Viola: il bordone. Drone in inglese, il bordone è l’effetto di accompagnamento, armonico o monofonico, provocato da una nota o un accordo suonati in modo grave, continuo, sostenuto o ripetuto e che può decidere della tonalità di una composizione. Se la giusta traduzione di still life è “vita silente”, come voleva del Chirico, allora il bordone è la natura morta, tesa e come allucinata, della musicalità.
Il sonoro alterna tra il l’insistente, vibrante bordone e i rumori di fondo in diretta. Il solo, sordo ronzio del drone accompagna l’estinguersi della candela e il frutto di cui udiamo il tonfo. Sentiamo invece in diretta i suoni animare e gemere nel corso del parto, mentre ascoltiamo – da dove? – il gorgogliare amniotico dell’acqua in cui è immerso il bambino. Un missaggio di silenzi – il crollo iniziale – e di diverse prospettive acustiche, come un astratto cubismo acustico che assomma diverse prospettive di ascolto sulla stesse figure: falco, cancello, interiora, neonato, crollo, candele e rami, fotografie.
Il percorso della ripresa invece è nettamente orientato. Mentre nella prima parte del nostro poemetto, la macchina da ripresa è immobile e come impedita oppure si muove verso il basso, a partire dalla raffigurazione del bambino nell’acqua scura, l’obiettivo si libera, punta verso l’alto – verso la superficie dell’acqua, verso il fuori – dal corpo materno o dal sotterraneo- verso l’intensità della luce.
I crolli, le cadute, gli spegnimenti delle prime sequenze sono sostituiti progressivamente da estrazioni somatiche: operazioni e nascite. Poi la catena che impedisce il falco prigioniero si spezza e la figura infantile che ci osservava immersa nel liquido gorgogliante trapassa il limite tra l’acqua e l’aria. Con lui, come lui andiamo verso un nuovo respiro e prendiamo una nuova luce. A differenza delle precedenti, infatti l’ultima sequenza è un soggettiva in movimento in un corridoio buio, diretta verso l’ostacolo del cancello chiuso che viene attraversato come per un liberazione e una nascita seconda. È l’attività trasformatrice della metafora, il suo moonlight (Goodman). Tutti gli oggetti che entrano in questo campo di illuminazione e di chiaroveggenza prendono un dono di trans-apparenza.
Chi conosce lo svolgimento dell’opera e sa le vicissitudini di vita dell’artista può riconoscere in filigrana il “biografema” (Barthes) del piccolo Viola che cade accidentalmente in un lago dove sta per annegare. Salvato, ha affermato d’essere rinato “nato per una seconda volta”, col riverbero religioso che questo enunciato può prendere nella cultura protestante. I veri ricordi non si conservano ma disseminano prima, poi riconfigurano la memoria. La forma poetica, espressiva e semantica, dota l’aneddoto di una seconda vista, gli fa pronunciare un nuovo discorso. Angel’s Gate: al cancello veglia il messaggero che trasforma il trauma infantile in taumaturgia – turbamento dell’animo ed esercizio spirituale sulla condizione umana. Nascere dall’acqua, varcare la soglia: il non senso apparente si palesa pieno di significato, l’alta definizione dell’immagine manifesta un’alta intensità: abbaglio e rumore bianco, rombo e buio.

4. Scultura di tempo

Torniamo a Viola, quale ci appare in mezzo alle immagini che sogna e che lo sognano. In queste strofe audiovisive, il prima e il dopo non è veramente importante perché una qualità della poesia e della musica è scolpire il tempo. Se è vero che la parola e l musica sono lineari e processuali, la loro organizzazione, l’iterazione, la rima, il ritornello generano infine un effetto di simultaneità plastica. In un’epoca di urgenza, in cui nessuno sembra più padrone del suo tempo, Viola lavora su inquadrature cariche di temporalità in un’accezione non cronologica. L’immobilità frequente della sua camera produce, come il circuito chiuso di una televisione, l’effetto di un presente duraturo e di illimitata simultaneità che conservano la fluidità della metamorfosi e la discontinuità della iniziazione. Una animazione interna e un irraggiarsi del visibile. La prosodia poetica di Angel’s Gate con i suoi memorabili ralenti, rende ciclico il transeunte, introduce la rinascita e la morte in un ciclo di senso. Come arabe fenici, i suoi personaggi attraversano la superficie liquida e turbolenta dell’acqua e del fuoco (Fabbri); presi nel flusso e nel riflusso sono carichi di emozioni, le quali sono torsioni di tempo.
Per questo, ma non solo per questo, l’opera di Viola, pur singolare nel linguaggio, non ci sembra trasgressiva. Esala come da un fondo primordiale. Risveglia in noi un segreto di preesistenza, una potenza dormiente nel nostro ascolto abituale, nella nostra visione ordinaria. Al termine non vediamo più le sue immagini ma secondo le sue immagini.
Così possiamo sapere quando è arte.


Bibliografia

Gaston Bachelard, Psicanalisi delle acque, Red edizioni, Milano, 2006.

Raymond Bellour, Fra le immagini. Fotografia, cinema, video, B. Mondadori, Milano, 2007.

Rhys Davis, “La frequenza dell’esistenza, il suono primigenio di Bill Viola”, in AA.VV., L’arte di Bill Viola, a cura di Chris Townsend, B. Mondadori, Milano, 2005.

Paolo Fabbri, “Bill Viola, Ocean Without a Shore”, L’archivio del senso, Quaderni della Biennale, Milano, Edizioni Et al., n. 1, 2009.

Gene Youngblood, “Metaphysical structuralism: the videotapes of Bill Viola”, Millennium Film Journal, 1988-89.
Expanded Cinema, 1970 (per la teoria del cinema uno degli studi più rilevanti nel secondo Novecento).

Holly Rogers, “Acoustic Architecture: music and space in the video installations of Bill Viola”, Twentieth-Century Music, n. 2/2, 2006.

D. Ross, P. Sellars, Bill Viola, New York, Whitney Museum of Art, Flammarion, 1997.

Bill Viola, Vedere con la mente e col cuore, a cura di V. Valentini, Cangemi ed., Roma, 1985.

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