Zeroversità


Da: Alfabeta, Roma, n. 1, giugno 2010.


Ci sono due tipi di cinismi: quello di chi non ha il potere di cambiare le cose e constata rassegnato che sarà sempre così; e quello di chi sarebbe tenuto a farle, le cose, ma che arriva ugualmente alla stessa conclusione.
Il secondo cinismo è quello dei governi e dei professori per cui governare e insegnare sono mestieri impossibili e che sarà sempre così. Sembra difficile dar loro torto nella grama situazione dell’accademia italiana, passata dalla stagione della contestazione a quella di un’amara constatazione: tra requisiti minimi di personale e requisizione massima di fondi, le Uni-versità, che si volevano Multi-versità, sono ridotte alla Zero-versità.
L’unico obbiettivo sostenibile è quello d’una crescita sottozero, drogata da additivi e palliativi, a cui la roboante vulgata digitale dei saperi soft aggiunge coefficienti ironici di elusione e delusione. Eppure l’esperienza dovrebbe servire: i paesi oggi emergenti sono quelli che hanno avviato per tempo una politica coerente di studi superiori. L’America non è forte solo dei suoi missili e droni, ma dei suoi campus!
Allora? Rassegnarsi all’informazione – il massimo di spazio nel minimo di tempo- a spese della trasmissione – il minimo di spazio per il massimo di tempo? Non si sono alternative al cinismo dei mestieri impossibili? A pensar bene si fa sempre male?
Propongo di migliorare il nostro (radicale) dissenso politico con l’attuale maggioranza di governo e rafforzare lo (sconsolato) sostegno all’opposizione. Un’altra via è possibile e perfino realizzata: aumentare e di molto la spesa nazionale per l’università e la ricerca! L’ha imboccata la Francia, un paese che aveva lasciato decadere l’insegnamento superiore a profitto delle Grandes Ecoles (ENA, Polytechnique, EHESS, EHEC ecc.). Un modello che in Italia ha fatto, come si dice, scuola ed è l’oggetto di vari tentativi di clonaggio. I nostri stravaganti vicini hanno deciso invece di scommettere sull’insegnamento nelle scuole superiori e sulla ricerca, di proteggere le università in crisi, di non sopprimere posti di lavoro, di costruire edilizia scolastica. Quest’anno investono un miliardo di euro, di cui “solo” 110 milioni nel funzionamento corrente: un aumento medio del 6% dei bilanci universitari, che varia, nelle diverse sedi, dal 3,7% al 13,5%. Il “residuo”, 890 milioni, è destinato all’aumento dei salari, all’edilizia e al finanziamento della ricerca in collaborazione con l’industria.
E solo la prima tranche d’un investimento quinquennale di 15 miliardi di euro supplementari, a cui si assomma il progetto Excellence – sul modello tedesco dell’Initiative Excellence – che ha lanciato un Prestito nazionale di 35 miliardi, di cui 18 destinati alle università e alla ricerca: in capitali investiti e non spendibili.
Un Prestito Nazionale, “oro alla patria” (!) come per una guerra. Un conflitto mondializzato per la costruzione, trasmissione, ricezione, interpretazione e comprensione delle conoscenze nella società della comunicazione. E contro l'”a-simbolia”, la incomprensione dei linguaggi e dei segni, e l'”a-cosmia”, l’incomprensione del mondo della natura. Una decisione che il presidente francese ha preso al di là delle diverse posizioni e interessi. Governare e insegnare si può, ad onta dei cinici e dei fattoidi sulle toilettes di Carlà. Altro che Sarkozy, “Berlusconi in sedicesimo”: la salienza miope dei costrutti mediatici ci scherma la pregnanza dell’evento.
Sottoscrivere un Prestito Nazionale per la conoscenza, la ricerca e l’apprendimento: un obbiettivo sensibile a cui accorderei,senza respingimenti, il diritto d’asilo. Una proposta da far entrare in vigore e in rigore – anche se trovo che “eccellenza” è un termine tossico e mi sta, giustamente, in cagnesco.
Troveremo qualcuno disposto a farlo? Difficile, direte: i francesi, sono laici e Ghibellini e noi Guelfi e papisti, più attenti all’insegnamento privato che a quello pubblico; più affezionati, sembra, ai “simboli culturali”, come il crocefisso e meno quelli religiosi, come il burka!
Io andrei comunque a Chiasso: il senso ci viene dagli altri in forma rovesciata. A me, semiologo, come colui a cui devo queste informazioni, J. Fontanille – rettore dell’Università di Limoges e responsabile delle analisi di bilancio alla conferenza dei Rettori di Francia – importa il valore differenziale e comparativo delle esperienze. Lo sguardo fisso, senza moti oculari, guarda ma non vede.
Se Sparta piange, dicevano i greci, Messene non ride. Oggi direi: se in Italia piange, l’università, almeno in Francia, sorride.

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